Ridurre l’uso dei concimi chimici favorendo quelli biologici

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Ridurre l’uso dei concimi chimici favorendo quelli biologici

PARENZO | L’emissione di gas a effetto serra è un problema di dimensioni globali, per cui la comunità internazionale, con la Convenzione dell’ONU in materia di mutamenti climatici, siglata a Rio de Janeiro nel 1992, ha concordato la sua necessaria riduzione. Tale Convenzione è stata accolta anche dal Sabor croato, con apposita legge del 1996 e dal Protocollo di Kyoto del 2005.

L’agricoltura di tipo intensivo concorre sia direttamente sia indirettamente all’emissione di gas a effetto serra, ossia d’ossido d’azoto, metano e anidride carbonica. Da qui la proposta di ridurre l’uso dei concimi minerali, a favore di quelli biologici. Partendo da questi presupposti, l’Istituto parentino per l’Agricoltura e il Turismo, ha portato a termine nei giorni scorsi il progetto “Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra utilizzando rifiuti urbani e agricoli nella produzione vegetale – Redgreenplant“. Hanno partecipato all’iniziativa l’Istituto parentino, in qualità di capofila, l’Università di Zagabria con la Facoltà d’Agricoltura e l’Istituto Ruđer Bošković, il Politecnico di Knin, l’Ateneo spalatino con la Facoltà matematico – scientifica, l’Istituto Jožef Stefan di Lubiana, l’Università di Udine e il METRIS – Centro per la ricerca sui materiali della Regione istriana. Del progetto e dei risultati conseguiti, abbiamo parlato con il responsabile dell’iniziativa, il direttore dell’Istituto parentino, dott. Dean Ban.

Quanto è durato il progetto e quali sono stati i risultati e le conclusioni a cui siete giunti?

“Il progetto è stato portato avanti nell’ambito del Programma governativo della Repubblica di Croazia di sostegno alle attività di ricerca e di sviluppo riguardo ai mutamenti climatici per il periodo 2015 -2016, in collaborazione con il Ministero della Tutela dell’ambiente e dell’Energetica, il Ministero della Scienza, il Fondo per l’efficienza energetica e la Fondazione croata per la scienza. Abbiamo lavorato per due anni.
La finalità principale del progetto era quella di verificare la possibilità di usufruire dei rifiuti agricoli e urbani nella produzione agricola e di capire se la fanghiglia estratta dal collettore delle acque reflue e dai filtri fognari, come pure gli scarti della lavorazione delle olive, potevano essere usati quale concime biologico, ossia come integratore del suolo agricolo. Nel procedimento abbiamo fatto uso di due tecnologie: il compostaggio e la piralisi, con cui s’ottiene il carbone biologico, da sfruttare a fini agricoli. I risultati finali dovevano poi essere conformati ai termini di legge.
Le nostre ricerche hanno dimostrato che i citati sostrati possono essere utilizzati senza alcuna conseguenza negativa per la salute umana, in quanto non abbiamo notato residui o patogeni superanti i limiti legali di tolleranza concessi. Spero che i nostri risultati serviranno alla comunità sia locale sia nazionale, al fine d’influire sul miglioramento delle leggi vigenti in materia di gestione dei rifiuti e tutela ambientale, per uniformare le normative nazionali a quelle europee, meno severe delle nostre.
Il progetto tende alla tutela delle nostre risorse, ma anche a verificare gli effetti d’uso dei due sostrati. Ci siamo posti degli interrogativi a cui abbiamo dato delle risposte. Altre questioni sono insorte nel corso delle indagini, ma a queste dovremo rispondere in seguito. Quest’iniziativa ha avuto un riscontro di collegamento con gli intenti dell’Accademia nazionale delle Scienze agrarie, che ha riconosciuto i nostri sforzi tesi alla promozione del sapere biotecnico agricolo e del compostaggio dei rifiuti a cui, seppure molto attuale, si sta guardando ancora con sospetto. Con le nostre indagini siamo riusciti a dimostrare che l’uso dei rifiuti compostati non è affatto dannoso per la salute umana. Inoltre è molto utile. Abbiamo dato delle indicazioni sulle modalità di sfruttamento agricolo, anche se esistono pure degli altri usi. Sappiamo che la produzione agricola senza l’uso di concimi minerali non presenta grosse rendite. Se non vengono usati in modo adeguato sono inoltre inquinanti. La loro produzione non è costosa, ma emettono dei gas che generano problemi di rilevanza mondiale”.

Questi materiali ricavati dai rifiuti hanno quindi delle notevoli potenzialità. In Istria ci sono delle quantità ancora inadeguatamente smaltite. Il loro uso agricolo diminuirebbe di molto quello dei concimi minerali?

“Per il momento purtroppo dobbiamo fare riferimento alle normative nazionali vigenti, che limitano il loro uso. Credo che questo vada cambiato, perché gli effetti negativi del loro uso non sono proprio così grandi, come abbiamo dimostrato. Noi abbiamo sperimentato l’uso di una quantità dieci volte superiore rispetto a quella consentita dalla legge (1,6 tonnellate per ettaro di superficie), ovviamente in condizioni d’estremo controllo, al fine di evitare possibili inquinamenti. Abbiamo dimostrato che i patogeni inquinanti e gli altri agenti danneggianti non erano presenti.
In queste sperimentazioni abbiamo usato il crauto cinese, un indicatore vegetativo che ama cogliere tutto ciò che non vale, e lo si può consumare fresco, per cui lo abbiamo usato, per verificarne le reazioni, e l’esperimento ha dato risultati accettabili”.

A suo parere, è più conveniente trasformare gli scarti delle olive in concime organico o in benzina, a cui si sta pure tendendo?

“Questo probabilmente è un problema di mercato e di capacità produttiva. A tale proposito noi abbiamo fatto uno studio, dal quale è risultato che la lavorazione dei composti è costosa e difficilmente sostenibile senza il cofinanziamento europeo. Tecnologicamente la questione non è stata risolta. Da qui anche molti degli interrogativi che ci siamo posti, rimasti senza risposta. Eppoi non abbiamo studiato ancora altri derivati di rifiuti urbani. Queste sono indagini molto costose, e un fondo di 2 milioni di kune come quello da noi avuto per la realizzazione di questo progetto non basta. Nessuno al mondo ha indagato ancora tutta la materia”.
Il progetto dunque è stato portato a termine con successo, fornendo delle basi su cui l’agricoltura nazionale di tipo biologico potrà consolidare il suo cammino.

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