PERCORSI EUROPEI Un’Europa a quattro circoli concentrici?

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PERCORSI EUROPEI Un’Europa a quattro circoli concentrici?

C’è stata una sorpresa, la settimana scorsa, quando Francia e Germania hanno pubblicato il risultato dello studio di un gruppo di lavoro, che ha destato abbastanza scalpore. Infatti, i governi di queste due grandi nazioni hanno istituito un tavolo di lavoro di 12 esperti, capeggiati da Olivier Costa, direttore degli studi politici presso il Collegio d’Europa a Bruges. Con questa mossa i governi dei due Paesi hanno reagito ad un prossimo allargamento dell’Unione europea, previsto per l’anno 2030, innescato dalla decisione di privilegiare l’Ucraina e la Moldova nel processo di adesione all’UE. Naturalmente, la solidarietà espressa all’Ucraina e alla Moldova, che si è sentita minacciata da un possibile allargamento del conflitto russo-ucraino, ha portato alle scontate proteste dei sei Paesi balcanici, dei quali già quattro hanno conseguito lo status di Paese-candidato all’entrata nell’UE, con la Bosnia ed Erzegovina che ha reclamato la sua specifica posizione di Paese minacciato da una guerra civile tra i popoli che ne fanno parte, con un possibile coinvolgimento degli Stati che si reputano come “Nazioni madre” delle etnie serba e croata.

“Adesso è arrivato il momento di cambiare il nostro approccio prudente all’allargamento, grazie proprio all’aggressione subita dall’Ucraina e di includere i sei Paesi dell’area dei Balcani occidentali nella nostra famiglia”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Il grande dibattito sull’allargamento si terrà il prossimo ottobre ed è evidente che il processo di allargamento è ritornato alla ribalta, dopo un quasi ventennio di oscillazioni, tentennamenti e tentativi di rimandare il tutto, dando la precedenza a problemi più scottanti – dalla crisi della Brexit, attraverso la pandemia del Covid fino alla guerra in Ucraina.

Ma in realtà questa iniziativa dei due più grandi Paesi dell’UE non ha tenuto conto del fatto che ormai l’asse decisionale Parigi- Berlino non è che un relitto del passato. Se si vuole dare una spinta decisiva per rimettere in piedi l’UE e farne di nuovo il fulcro di una politica paneuropea, bisogna includere in queste discussioni anche il Paese che si trova in prima linea nel contesto dei problemi europei – è questo è l’Italia, che è lo Stato dell’UE più esposto ai flussi migratori e che proprio perciò merita di essere coinvolto nel processo di elaborazione delle scelte strategiche che l’Unione deve fare nel prossimo futuro. E qui la Francia e la Germania hanno commesso un evidente sgarbo nei confronti dell’ltalia, che in un mondo investito dalle ondate migratorie è la più vulnerabile nell’area mediterranea e merita di avere voce in capitolo nell’ambito delle riforme dell’UE. Il gruppo di lavoro, diretto da Costa, ha così elaborato un progetto per un’Europa a quattro velocità, cioè a quattro circoli: il primo sarebbe il “circolo interno”, dunque i Paesi che costituiscono il nucleo centrale e che sarebbero i Paesi fondatori della Comunità europea – la Francia, la Germania, l’Italia e il Benelux; il secondo sarebbe il circolo dei Paesi dell’UE, dunque i rimanenti 21 Paesi; il terzo circolo comprenderebbe i “Paesi associati”, e qui si fa riferimento all’Ucraina, alla Moldova e ai sei Paesi balcanici – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Kosovo – naturalmente, prendendo in considerazione un esito positivo del processo di riconoscimento internazionale del Kosovo, che ora, dopo il conflitto nel Kosovo del nord, sembra sfumare irrimediabilmente; ed infine, la Comunità politica europea, un’associazione sciolta della quale farebbero parte il Regno unito, la Norvegia, forse anche la Svizzera, la Georgia e l’Armenia, e forse anche la Turchia – tutti candidati potenziali al terzo girone, quello dei “Paesi associati”.

Il rapporto dei 12 esperti prevede anche una riforma radicale della struttura dell’UE, con un numero minore di commissari europei e un Parlamento europeo più snello, con l’eliminazione del veto, assai criticato anche dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, una consultazione dei cittadini europei che si sono espressi proprio sull’abolizione del veto, in quanto elemento che porta alla paralisi del processo decisionale. Che si vede all’opera proprio in questi giorni, quando bisogna formulare una nuova politica migratoria comune di fronte all’esplosione delle ondate dei migranti sul Mediterraneo. Ma oltre allo sgarbo fatto all’Italia, ce ne sono altri di sgarbi verso i “padri nobili” dell’integrazione europea. E qui dobbiamo ricordare ai lettori e agli addetti ai lavori che per due volte degli italiani eminenti
hanno proposto delle riforme che avrebbero trasformato l’Unione europea in una comunità sovranazionale efficace e basata sui cittadini e non sui governi che così spesso ricorrono al veto per salvaguardare i propri interessi egoistici, mascherati dallo stereotipo degli “interessi nazionali”: e qui alludo al progetto federalista dell’Unione europea stilato da Altiero Spinelli nel 1984 (approvato dal Parlamento europeo, ma non dai governi dell’allora CEE) e alla “Tela di Penelope”, la Costituzione europea formulata da Romano Prodi nel 2002. In quest’occasione, si dovrebbe rispolverare il contributo di questi due grandi italiani, che hanno tracciato un percorso europeo, purtroppo messo da parte e sepolto nel silenzio dalla classe politica europea, che adesso cerca in extremis un’uscita dalle crisi che investono oggi l’Europa e tutti i suoi cittadini.

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