INSEGNANDO S’IMPARA Una primavera in rosa

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INSEGNANDO S’IMPARA Una primavera in rosa

In apertura citiamo una battuta che, risalendo al 1994, è più anziana di molti nostri lettori. “Che cosa hanno in comune Michelangelo, Enzo Ferrari e la nazionale di calcio irlandese? Hanno tutti lasciato un segno sull’Italia!” Per quelli che non hanno capito il riferimento, ricordiamo che il 18 giugno di quell’anno l’Irlanda sconfisse l’Italia 1-0, nella partita d’esordio del gruppo ai mondiali di calcio tenutisi negli Stati Uniti. Occasioni simili capitano raramente agli irlandesi (nel calcio ovviamente, perché nel rugby i ruoli sono invertiti) per cui se la sono goduta fino in fondo.

Vent’anni dopo, in circostanze diverse, sarebbe stato il turno dell’Italia di lasciare un segno sull’Irlanda, e lo avrebbe fatto nel modo più colorato e allegro possibile. Il 9 maggio del 2014, infatti, il Giro d’Italia prendeva il via da Belfast. Qualcuno, si chiederà come mai una manifestazione sportiva che presenta “Italia” nel titolo, svolge la sua tappa iniziale all’estero? E perché no? È ovvio che è sempre una cosa bella quando lo sport getta un ponte tra i Paesi e fa da linguaggio comune tra le nazioni, e probabilmente farlo comporta anche diversi vantaggi economici sia per il Paese d’origine che per quello ospitante. Sta di fatto che dal 1965 al 2022, quattordici edizioni del Giro sono iniziate all’estero, come anche molte edizioni del Tour de France e della Vuelta spagnola.

Ad essere sinceri con le edizioni del Giro del 1965-66 non si è andati troppo lontano, rispettivamente a San Marino e a Montecarlo, mentre nel biennio 1973-74 si partì da Verviers in Belgio e dalla Città del Vaticano. Dopodiché non ci furono puntate straniere per più di un ventennio. La pratica è ripresa nel 1996 (e continua tutt’ora) con intervalli di 2-4 anni tra una partenza estera e l’altra, spaziando per l’Europa (Olanda, Danimarca, Francia, Grecia, Ungheria) e nel 2018 anche Gerusalemme.

Così nel 2014 il circo rosa arrivò in Irlanda del Nord e fu una botta di vita fenomenale di cui, a distanza di quasi 10 anni, si parla ancora. Il primo giorno la gara di cronometro a squadre si svolse interamente in città su un tratto di poco meno di 22 km, tanto per scaldarsi. Il giorno dopo, iniziava la tappa vera e propria su un percorso di 218 km che, partendo e arrivando a Belfast andava su dritto fino alla costa nord per tornare lungo il litorale orientale che è uno dei tratti più straordinari della regione. Il terzo giorno il Giro abbandonava il capoluogo nordirlandese e per trasferirsi ad Armagh e coprire 187 km fino a Dublino. Da notare che il Giro quell’anno si concludeva a Trieste, per cui ci fu più di uno studente che mi fece notare la “strana coincidenza” di una manifestazione che iniziava nel mio luogo di residenza attuale e finiva nella “mia” città italiana. (Come se io avessi qualche potere in materia. Ma, magari!)

Per noi italiani l’effervescenza dei festeggiamenti cominciò anche in anticipo con una pièce teatrale sulla vita degli emigranti italiani a Belfast della regista italiana, ma sposata con un irlandese (anche se vivono in Francia), Alessandra Celesia intitolata “Grazie Italia!”. L’evento, che aveva attratto moltissimi connazionali come anche molti amanti della lingua e cultura italiana locali, finì in una scatenatissima festa animata da un DJ italiano e con musica esclusivamente italiana. Fu bellissimo sentirsi parte, anche solo per un momento, di quello spirito comunitario che oltrepassava i confini dell’individualità e attraversava il tempo e le generazioni. Essere italiani in quei magici tre giorni significò guadagnare punti senza fare nessuno sforzo. Dappertutto si sentivano frasi in inglese tempestate di “giro”, “grande partenza”, “maglia rosa”, “tappa”. Incredibile anche l’effetto di straniamento che produceva la città pronta per la gara, con i circuiti stradali riorganizzati e ampie zone chiuse al traffico. Ma l’effetto più eclatante fu la marea di rosa che per un po’ permeò tutto, dai grandi cartelloni pubblicitari fino alla capillarità dei ragazzini di 11-12 anni con le unghie fucsia laccate dalle mamme. Uno spettacolo! Il rosa è un colore così piacevolmente ammaliante e vibrante, soprattutto nella tonalità accesa del Giro (niente confetto per i ciclisti) anche se non sempre gode le simpatie del pubblico maschile. Ebbene per quasi una settimana nessun abitante irlandese si negò un tocco di pink. La parola d’ordine, di addobbarsi in tinta con l’evento, si diffuse con l’efficacia di un tam tam e chi non aveva qualcosa di suo andò a frugare negli armadi di mogli, amiche e fidanzate.

Neanche gli ospiti, che arrivavano numerosi in quei giorni, avevano dubbi sulla straordinaria portata della manifestazione: dall’aeroporto tutto tappezzato di poster del Giro, ai taxi accuratamente decorati, con i tassisti improvvisamente esperti anche di “grande partenza”. Il tocco finale a Belfast fu l’edificio del municipio illuminato di cremisi, mentre nelle zone rurali si pensò bene di far tifare il Giro anche alle pecore, diventate nuvolette rosa per l’occasione. Un magnifico regalo irlandese per i ciclisti impegnati a gareggiare.

E il tempo? Si mostrò clemente? Macchè! Era prevista pioggia e pioggia fu. Il primo giorno a Belfast il semi-sereno del mattino si trasformò presto in pioggia battente, ma il numerosissimo pubblico rimase stoico al suo posto, come per dire “qui la pioggia ce l’abbiamo ogni giorno, il Giro no”. Lo stesso atteggiamento venne espresso l’indomani dai nordirlandesi allineati lungo la tappa di “casa loro”. Eroicamente imperturbabili con il sorriso in faccia, come per compensare alla pioggia e al freddo con il calore del loro entusiasmo.

Tre giorni passano in fretta, ma il retrogusto di pura gioia e ottimismo continuò ancora per parecchio tempo e ci volle un po’ per rimuovere tutti gli striscioni posti a supporto della gara, tra cui quello che secondo me riassume in poche scarne parole il carattere sardonico della gente di Belfast “Pedala come se l’avessi rubata!”.

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