LO SPECCHIO Gli abbracci perduti

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LO SPECCHIO Gli abbracci perduti

La piazza antistante la cattedrale di Colonia era affollatissima in quel giorno di luglio, a tal punto che era difficile districarsi tra la folla. Affollatissima e molto rumorosa. Sopra le teste dei presenti, turisti e residenti, spiccavano dei cartelli scritti in inglese sollevati da alcune persone di tutte le età: “Free hugs!”, cioè “Regalo abbracci!”. Lì per lì non compresi che cosa stesse accadendo, ma tutto mi fu chiaro in un battibaleno: quelle persone non chiedevano nulla, semplicemente offrivano abbracci a chiunque li desiderasse. Gratuitamente. Funzionava. Confesso che sulle prime rimasi piuttosto perplesso e anche imbarazzato di fronte a dei doni così cavati dal solito e un tantino stravaganti, ma mi ricredetti quando capii che in quelle “offerte” non v’era alcun secondo fine. No, non finii tra le braccia di nessuna di quelle persone – la guida che ci accompagnava nella visita alla città aveva il suo bel da fare nel cercare di tenere compatto il nostro piccolo gruppo che in quella baraonda rischiava di sfilacciarsi e ci invitava a restare uniti –, ma quanto vidi mi spinse a rifletterci su e, più tardi, a documentarmi.

Non era un’iniziativa dovuta a qualche persona originale, quanto il riflesso di un messaggio di apertura e ottimismo che, originatosi a Sidney nel 2004, si era diffuso, grazie alla Rete, a velocità sorprendente un po’ ovunque nel mondo. Lo scopo era assai semplice: offrire in modo assolutamente disinteressato degli abbracci a chiunque in luoghi aperti al pubblico e frequentati da pedoni. Il successo dell’iniziativa, anche se racchiude in sé delle componenti legate al contatto fisico, quindi al pudore e al rispetto della propria e altrui individualità, ha avuto un successo travolgente e continua a rinnovarsi un po’ ovunque.

È specchio di un bisogno spesso sottaciuto: quello, appunto, di abbracciare e di essere abbracciati. Se ci pensiamo un momento, l’abbraccio è il primo gesto che la mamma compie nei confronti del bambino che ha appena dato alla luce, come se la madre volesse dire inconsapevolmente al piccolo: ti ho lasciato andare da me, ma ti riaccolgo, ci sono. Dall’adolescenza in su è un segnale di affetto, di confidenza, di contenimento, di rassicurazione, a volte di addio, eppure non è sempre facile da esternare.

Distogliete per un momento gli occhi da queste righe. Chiedetevi chi abbiate accolto in un abbraccio recentemente. In che occasione? Perché? Inoltre: quand’è stata l’ultima volta in cui siete stati abbracciati? Da chi? Perché? Trovate difficoltà ad abbracciare, a essere abbracciatati? Che cosa potreste fare per riattivare questa modalità di comunicazione forte che mette in contatto due corpi, ma non solo?

La pandemia ci ha bloccati a lungo nell’esternazione di gesti significativi. È tempo di riappropriarsene. Con delicatezza e coraggio. Facendolo vivremo meglio.

*psicologo – psicoterapeuta,
già dirigente del Servizio Sanitario Nazionale
e docente di Psicologia all’Università
degli Studi di Udine

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