A 100 anni dall’impresa dannunziana. Retaggio di decenni di pensiero unico

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A 100 anni dall’impresa dannunziana. Retaggio di decenni di pensiero unico

L’uso pubblico e strumentale della storia ha poco a che fare con la riflessione storiografica, la quale deve considerare tutte le tessere, esaminare le fonti più diverse, accantonare le enfatizzazioni e bandire il sentimentalismo, le posizioni personali o, peggio ancora, quelle avanzate per partito preso. Non c’è sordo peggiore di chi non vuole sentire; lo abbiamo colto con le palesi prese di posizione di coloro i quali ritengono si possa raccontare la storia saltando interi capitoli solo perché non vanno a genio, ossia non coincidono con le proprie convinzioni, il sentimento nazionale, l’appartenenza politica e/o ideologica. Sono aspetti di cui nella ricostruzione storica possiamo e dobbiamo farne a meno.
La storia è oggetto di studio, ricorda, si commemora. Le pagine del passato adriatico non sono state sempre immacolate, infatti contengono anche i periodi plumbei, le tragedie e le lacerazioni che in un’area di contatto e cerniera tra aree linguistiche, culturali e nazionali diverse ha conosciuto pure momenti di collisione.

Studiare i tempi andati non modificarli

Nella ‘faglia’ adriatica le scosse telluriche, rappresentate dall’idea di nazione e dal nazionalismo e in seguito dai progetti totalitari, produssero effetti catastrofici. Per cogliere i nessi, gli sviluppi, le degenerazioni e gli strascichi dolorosi non siamo chiamati a soppesare le sofferenze o a ricercare la ‘maledizione’ originaria. Eppure, taluni, dall’alto di non si sa quale ‘superiorità’, si arrogano di propinare, con modo di fare molto invasivo, una visione unilaterale, viziata, faziosa e impregnata di moralismo. Il passato non dobbiamo giudicarlo con il metro odierno, umanamente, da persone con una maturità e sensibilità diverse, certamente, tuttavia questa dimensione non deve inquinare il discorso storico, giacché i problemi, gli episodi ed i loro protagonisti appartengono a stagioni che non sono le nostre, altresì noi siamo in grado di studiare i tempi andati ma non possiamo modificarli, le operazioni meschine che si muovono in quella direzione devono essere classificate tranquillamente come inutili.

Visioni incomplete

Esaltazioni e reticenze, glorificazioni e occultazioni, lungo l’Adriatico orientale, evidentemente, si fa ancora fatica ad esaminare la storia e proporla alla cittadinanza. Oltre al confronto tra gli addetti ai lavori, com’è giusto che sia, è altrettanto doveroso e opportuno rendere fruibili i risultati della ricerca, della riflessione, della revisione – che non ha una connotazione negativa, anzi è l’essenza del lavoro storiografico a patto non sia funzionale a qualcuno –, presentare cioè la storia in tutte le sue articolazioni, che piacciano o meno, in quanto sono parte integrante dell’ambiente in cui viviamo. Nessuno pretende giudizi di valore (quelli devono, semmai, rimanere nella sfera privata), riteniamo, invece, indecente censurare, impedire, anche goffamente, pretendendo l’uso del bavaglio, il lavoro di chi si occupa del passato, di tutto, per ricomporre un libro al quale sono state strappate troppe pagine e superare la vulgata, contro quel lavaggio delle menti che, ahinoi, ha forgiato una visione incompleta, priva di equilibrio e contraddistinta dalla malafede. È compatibile che la stragrande maggioranza degli abitanti odierni delle città e cittadine sappiano poco (e male) o nulla della storia dei luoghi in cui vive? Essere consapevoli della cultura in senso lato e dei percorsi storici di un territorio è sinonimo di civiltà. Il tempo è galantuomo, la storia celata sta lentamente emergendo e non solo per merito della Comunità nazionale italiana. Parimenti si assiste a rigurgiti di nazionalismo puro nonché a posizioni grezze e anacronistiche che si commentano da sole. Decenni di dominanza e di pensiero unico hanno lasciato un’eredità non facile, tanto che alcuni ambienti s’illudono di poter tuttora ‘indirizzare’ gli interessi e le iniziative di valorizzazione del passato in nome di un ‘patriottismo genuino’ che intravede spettri in ogni dove. Una targa sulla facciata della casa natale di Nazario Sauro a Capodistria, ad esempio, ha tutto il diritto di venire affissa, non sarebbe ‘propaganda’ ma ricordare la storia, proprio come nel 2007, in concomitanza con il bicentenario di Garibaldi, sulla facciata di Casa Lovisato a Isola, è ricomparsa la lastra marmorea dedicata a quel geologo, garibaldino e irredentista, che come tante altre era stata eliminata negli anni Cinquanta del secolo scorso.

Pluralismo significa rispetto

Dal momento che – per nostra fortuna – non abbiamo la facoltà di modificare il passato, una società consapevole, matura e intellettualmente aperta deve condannare chi usa due pesi e due misure per rammentare ciò che fu, censurando le parti che non aggradano. Pluralismo significa anzitutto rispetto. Le memorie non saranno mai condivise, perché sono il risultato di itinerari differenti, talvolta diametralmente opposti o semplicemente avvenuti in un contesto che non è quello di appartenenza, sebbene attinente ad un ambito sociale comune. L’esame del passato non procede per scompartimenti stagni; se lo studio o la narrazione nelle forme più diverse non si riduce ad un’operazione apologetica, gli episodi storici ed i suoi artefici devono affiorare, i percorsi unilaterali e settari hanno depauperato sia la conoscenza sia la consapevolezza. A Parenzo, facciamo un esempio per tutti, sulla facciata della scuola elementare italiana, attigua all’ex chiesa di San Francesco in cui dal 1861 fino a quasi lo scadere del XIX secolo si riuniva la Dieta provinciale dell’Istria, una targa esclusivamente in lingua croata (del 1968) rammenta che in quella sede il vescovo e fautore del risorgimento nazionale croato, Juraj Dobrila, si batté per i diritti nazionali dei croati dell’Istria nonché per l’applicazione della lingua croata negli affari pubblici. Tutto vero, ma perché non ricordare, anche, che proprio colà i deputati italiani votarono ‘Nessuno’ nel momento in cui erano stati invitati a esprimere i due esponenti che avrebbero rappresentato la provincia istriana al Consiglio dell’Impero a Vienna? Dopo più di mezzo secolo da quella targa, dare dignità al risorgimento nazionale italiano sarebbe opportuno, oltre che intellettualmente onesto. Per amore della verità e perché costituisce il retaggio di quella città e più in generale dell’Istria. Gli storici sono liberi di affrontare il passato integralmente e di tutte le anime di questo spazio geografico o sono chiamati ancora a svolgere l’ingrato ruolo di ‘cantori della patria’?
Che determinate rievocazioni storiche, nate dall’impulso della politica, non siano disinteressate è fin troppo ovvio, non siamo tanto ingenui da non cogliere il nesso, non comprendiamo, invece, chi grida allo scandalo. Il centenario dell’impresa dannunziana che si innesta al problema di Fiume offre un esempio manifesto. Come tanti episodi anche questo non fu lineare, fu un momento della questione adriatica in cui le diplomazie internazionali, proprio di fronte a quel nodo, si trovarono in un’impasse, infranta da un gesto di disobbedienza con il fine di risolvere quel viluppo e spalancare le porte ai reggitori fiumani, quegli stessi che avevano manifestato esplicitamente la loro volontà di unirsi all’Italia, si ricordi il proclama del 30 ottobre 1918. Altro che occupazione di una città croata! Il Consiglio nazionale di Zagabria mosse l’esercito in direzione del ‘corpo separato’ in concomitanza con il suo abbandono da parte del governatore ungherese, con la chiara finalità di accorparlo allo Stato degli sloveni, croati e serbi in fase di costituzione, la cui leadership annoverava aspirazioni e desiderata territoriali.

La damnatio memoriae

Oggi nessuno mette in discussione l’appartenenza di Fiume alla Repubblica di Croazia, ma è una sgarberia mutarle i connotati. La lettera di riscontro del primo cittadino di Fiume a quanti in Italia si propongono di ‘regolare’ il ricordo dei fatti del passato – spostando questa volta l’interesse anche agli avvenimenti successivi alla Grande guerra – palesa quel retaggio sopra menzionato. Il medesimo si è premurato di sottolineare che “la costa croata e Fiume sono croate”, leitmotiv ricorrente presso quanti vedono una persistente minaccia all’unità dello Stato. Ostinarsi con il paraocchi a vedere solo ciò che comoda non è segno di maturità; ha sottolineato il ruolo dei partigiani nella liberazione della città, sorvola, però, sulle conseguenze di quell’ingresso nel capoluogo quarnerino. Oggi fenomeni di quel tipo si definiscono urbicidi. Di esempi ce ne sono tanti nel vecchio continente sconquassato dal secondo conflitto mondiale e dalle sferzate successive. E la storia fiumana? È stata calpestata, deformata, mistificata, ha perso diritto di cittadinanza, i personaggi illustri sono stati in buona parte ribattezzati e divennero croati, oppure furono colpiti dalla damnatio memoriae. In uno spiazzo prospiciente la Fiumara, Eneo o Rječina, si erge l’imponente monumento dedicato alla liberazione (che riproduce la T di Tito), oggi anch’esso è la testimonianza di un’epoca – che piaccia o meno – ma questa non deve offuscare tutte le altre. Eppure determinate manifestazioni che si distanziano dal ‘perimetro’ di quanto è ‘permesso’ sono etichettate come ‘provocazioni’. Così è stato con la performance artistica, cioè la linea rossa tracciata da Davor Stojnić, promossa dal Museo d’arte moderna e contemporanea, corrispondente al confine del 1924 tra il Regno d’Italia e il Regno dei serbi, croati e sloveni, che ha sollevato non pochi vespai, e che lo stesso artista ha definito “frutto dell’ipocrisia dei gruppi politici”. E Piazza Zanella? Benché l’intitolazione sia stata approvata dall’Assemblea municipale, abbiamo assistito a ‘mobilitazioni’ contrarie e ad opinioni poco favorevoli, poiché sia l’autonomismo da questi incarnato sia il suo antifascismo non conterebbero molto di fronte alla sua italianità e contrarietà ad un’eventuale annessione di Fiume alla Croazia. Un ragionamento che sa molto di processo alle intenzioni. Chi si ostina a boicottare qualsivoglia iniziativa organizzata in occasione dell’anniversario dannunziano, in quanto colto alla stregua di un’“offesa” alla Croazia (perché l’impresa è interpretata solo come un episodio impregnato di nazionalismo e imperialismo) è in malafede oppure palesa una smisurata ignoranza storica.

Quali «vergognosi accadimenti»?

A Fiume quali ‘vergognosi’ accadimenti si sarebbero consumati? La storiografia può e ha gli strumenti per analizzare (serenamente) l’esperienza dannunziana sia come singolare esperimento politico sia nei suoi eccessi. Il fenomeno dev’essere osservato in tutte le sue sfaccettature, senza dimenticare anche il vissuto di quanti si sono trovati ‘dall’altra parte’, poiché c’erano anche coloro che vagheggiavano la Croazia, ma non può costituire una sorta di divieto sacrale o un episodio storico da deplorare sic et simpliciter. Le nostre riflessioni ricorrono alla storia perché costituisce l’unico strumento in grado di considerare eventi articolati di tal fatta. Gli episodi consumatisi nel contesto successivo al primo conflitto mondiale vanno inevitabilmente raffrontati con altri analoghi registrati entro la cornice del dissolto impero austro-ungarico, evidenziando le peculiarità e differenze. Ma, soprattutto, va evitata la confusione, lasciando stare gli stati e i confini di oggi e ricordando – punto fondamentale – che la Fiume del 1918-1919 non è quella successiva al 1945. Questo è un dato di fatto, non un’opinione.

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