«Requiem»: monumentali, eteree pagine

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«Requiem»: monumentali, eteree pagine

FIUME | Dieci minuti di applausi e acclamazioni per il “Requiem” di Verdi, concerto di Ognissanti – come tradizione vuole – eseguito martedì sera nel Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume con le forze del Teatro fiumano e la partecipazione del Coro della Radiotelevisione croata. Sul podio il neo direttore principale dell’Orchestra Yordan Kamdzhalov e i solisti Kristina Kolar (soprano), Ivana Srbljan (mezzosoprano), Aljaž Farasin (tenore) e l’ospite Johannes von Duisburg (basso). Quella dell’altra sera è stata indubbiamente un’interpretazione forte, di questo terrificante capolavoro verdiano; interpretazioni di quelle che scuotono e che possono indurre alla riflessione, strappandoci alle piccinerie del quotidiano e dall’orizzontalità prosaica della vita inducendoci a quesiti circa la vita, la morte, il senso di tutto, del …dopo”.

Rileviamo alcuni di cronaca per inquadrare il tutto. Dopo il successo di “Aida”, Verdi si ritirò per un lungo periodo dal teatro d’opera. Non smise tuttavia di comporre e il lavoro più importante di questo periodo è appunto la Messa da Requiem, che composta da Verdi in occasione occasione del primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, per il quale il Maestro aveva grandissimo affetto e venerazione. La Messa da “Requiem” fu eseguito il 22 maggio 1874, nella Chiesa di San Marco a Milano. Il successo fu enorme e la fama della composizione superò presto i confini nazionali.
Molto si è discusso sulla presunta teatralità di queste pagine, ma il discorso sarebbe troppo lungo. Certo è che Verdi visse questa “tematica” in maniera profondamente umana. Come l’uomo che trema inorridito alla prospettiva della dannazione eterna (“Dies irae), che supplica la misericordia divina, e con dolorosa estasi invoca l’Agnus dei.
Questa musica, percorsa da una terribilità michelangiolesca, c’induce a considerarla come l’equivalente in musica dell’apocalittico Giudizio Universale del geniale Buonarroti, e ci richiama – per forza e spessore – altresì immagini e terrori di quel dantesco capolavoro che è la “Divina Commedia”.
Yordan Kamdzhalov si sta rivelando una mente superiore. L’osservazione delle celesti sfere, lo stupore davanti agli astri – Kamdzhalov si occupa di astronomia e di fisica – gli avranno rivelato la misura dell’universale, dell’infinito, inducendolo a cogliere pure la verticalità, l’aspetto trascendente del tutto, che fa fremere, sussurrare, scuotere ogni particella del tessuto musicale verdiano. E da questa posizione di superiorità di visione crediamo gli derivi la comprensione e padronanza a trecentosessanta gradi di queste pagine.
L’inizio del “Requiem”, così sottilmente dosato e perfetto nei particolari, ci ha ricordato l’interpretazione di Karajan. Insomma, il Maestro ha offerto una prova magistrale nella gestione di queste monumentali quanto eteree pagine, plasmando gli esecutori, con una gestualità ora minima, ora tagliente e drammatica, secondo il senso e l’espressione del pensiero musicale. Non sarebbe dispiaciuto in “Hostias” e in “Requiem aeternam” un approccio ancora più estatico, meditato e immateriale (abbiamo a che fare con l’“altro mondo”).
Protagonista del concerto è stato il coro, ottimamente istruito da Nicoletta Olivieri e Tomislav Fačini, che ha brillato “dannatamente” e poderosamente nel “Dies irae”, nelle sottili trame contrappuntistiche del “Sanctus” e del “Libera me”. Valida l’orchestra (si faccia attenzione all’intonazione) e i solisti. Squisita Kolar nel “Agnus dei” e negli acuti. “… in die illa ttrrremennnda”, ci voleva però molto più terrore in quest’ultima parola, e in genere più drammaticità da parte delle voci femminili. Ivana Srbljan si è un poco “risollevata” nella seconda parte. Dovrebbe lavorare ulteriormente con un cantante, o pedagogo italiano. Bel fraseggio e sentimento ha palesato Aljaž Farasin. Attento agli acuti. Pubblico entusiasta.

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