«La musica è un legame con le nostre radici»

La musicologa, cantante e direttrice artistica dell’Ensemble Dialogos, Katarina Livljanić, presenterà alla Chiesa Luterana di Largo Panfili a Trieste l’opera «Giuditta»

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«La musica è un legame con le nostre radici»

Zara, Chiesa di San Donato. Un canto polifonico riempie gli spazi, si sprigionano emozioni. Una bambina ascolta, interiorizza, decide inconsciamente una strada, quella che la guiderà nella vita alla ricerca di dare a quel canto tutti i significati possibili attraverso lo studio, l’analisi, la composizione, l’esecuzione.

 

Katarina Livljanić, fondatrice del Dialogos Ensemble sta narrando la sua vicenda artistica, quella bambina è diventata una grande artista, una docente a Parigi e a Basilea, dove attualmente vive. Avremo modo di conoscerla da vicino il 29 gennaio quando terrà un concerto alla Chiesa Luterana di Largo Panfili grazie all’impegno della Comunità croata di Trieste. Lo spettacolo era già in calendario in altre date, ma la pandemia ha costretto l’organizzatore ad alcuni rinvii.

”Questa volta speriamo di farcela” sottolinea Katarina Livljanić, che raggiungiamo nella sua casa svizzera, potenza dei social.

Da Zara al mondo, una strada costellata da successi, sempre nel nome di questa musica antica di grande fascino.

“Ciò che colpisce è la magia delle voci che riescono a creare una specie di orchestra, la più antica che conosciamo. A Trieste presenteremo una vicenda del 1500 nella quale si sublimano la storia e le tradizioni che ho voluto musicare per offrirla al pubblico in tutte le sue sfaccettature. Pensiamo a questo mondo arcaico in cui musica popolare e musica liturgica permettono di creare una linea del tempo. La musica medievale, che è mia materia di studio, aveva un uso ben più vasto, era veicolo di conoscenza e di dialogo. Sono sempre stata affascinata dal ruolo dei cantastorie che girando anche le contrade più remote portavano notizie sul mondo conosciuto”.

È a loro che si ispira la storia di Giuditta, tratta da un testo di Marko Marulić/Marco Marulo che lei presenterà a Trieste?

“Solo in parte. Accanto alla musica dei cantastorie c’è anche quella liturgica che caratterizza quel periodo, l’opera che propongo è un insieme di questi elementi, naturalmente mediata dal mio approccio al tema”.

Ma come avviene il suo incontro con il maestro Marulić, considerato oggi il padre della letteratura croata?

“In una lunga serata, durante un viaggio lontano da casa, frugando tra i volumi di una grande biblioteca universitaria, trovai un frammento di testo di uno sconosciuto scrittore medievale croato. La bellezza del suono arcaico della mia lingua materna, modificata dal prisma dei secoli, mi accompagnò per giorni. Era una storia in forma di dialogo tra anima e pensiero, scritta in uno stile sorprendentemente audace, più facilmente attribuibile a James Joyce che non a un anonimo prete campagnolo della Dalmazia del XVI secolo. Rallentai il ritmo della lettura, cercando in tal modo di rinviare la fine della storia. Ero consapevole del fatto che questa scoperta sarebbe riemersa un giorno come parte di un nuovo progetto musicale, anche se l’idea dell’opera che ne sarebbe scaturita era ancora in uno stadio embrionale. Come trasformare quello strano testo in un’esecuzione scenico-musicale? Ho continuato a scavare, in particolare nella raccolta dalmata Vartal del XVI secolo, contenente numerosi dialoghi allegorici. Durante la lettura, appariva sempre più evidente il legame del testo ritrovato con la poetica di Marko Marulić (al quale in Vartal vengono attribuiti alcuni testi). Nella ricca opera di Marulić esiste uno scritto che raccoglie in sé in modo particolare tutta la ricchezza e il vigore della sua poetica: l’incredibile storia di Giuditta”.

Chi è Giuditta e perché la ritroviamo in molte opere nel corso della storia, anche musicale, un esempio su tutti il Nabucco verdiano?

“La storia è tratta da testi biblici. La storia è quella di una donna capace di compiere un gesto estremo per salvare il proprio popolo. Un incredibile gesto epico che apre la strada a infinite interpretazioni”.

La Giuditta di Maruli Marulić è scritta in un linguaggio antico, comprensibile al pubblico d’oggi?

“La lingua è quella dalmata del XVI secolo che, unita alla musica, esprime un messaggio universale. I nostri spettacoli sono accompagnati dalla traduzione simultanea nella lingua del Paese in cui si svolgono, ma spesso la scena si commenta da sé. Con Giuditta abbiamo girato il mondo, 55 repliche, un’esperienza unica. Mi piace pensare che ci sia un approccio intuitivo e spontaneo, così come dev’essere nella musica. Il timore è di scivolare in un approccio troppo analitico, di mera analisi storico-scientifica che produrrebbe freddezza, per fortuna con Giuditta questo non accade, ci si lascia trasportare, avvolgere, avvincere”.

Il frontespizio della “Giuditta” di Marulić

Che cosa significa presentare oggi un autore come Marulić?

“È ciò che sentiremo a Trieste, ovvero un’opera molto particolare che si sviluppa attraverso un personaggio molto interessante che va studiato, letto, capito tenendo conto del tempo a cui appartiene. Siamo nel 1500, i concetti erano molto diversi da quelli che vigono oggi. Per esempio, la definizione di appartenenza di un popolo, la lingua d’uso, la musica stessa: ma siamo anche dentro a una ricorrenza, nell’anno di Marko Marulić, iniziato nell’aprile nel 2021, si chiuderà nel 2022, ciò che si celebra è la stampa a Venezia nel 1521 dell’opera stessa. L’autore è un grande intellettuale, un umanista, uomo rinascimentale che opera a tutto tondo, padroneggia una cultura meravigliosa, scrive in latino, in italiano e in croato. È capace di esprimersi in modo esemplare in diverse lingue. La sua Giuditta è l’esaltazione della donna biblica che uccide il nemico, Oloferne, per salvare il suo popolo. Un personaggio al quale sono state dedicate musiche bellissime, vedi lo stesso Vivaldi. Mentre leggevo e rileggevo il testo di Marulić, la prosa in me ha iniziato a cantare, perché si tratta di una scrittura di per sé molto musicale, è stata una normale conseguenza. Oggi Marulić è la storia che insegna, il passato che continua a macinare sensazioni, sentimenti, è il mito che spesso rifugge da riferimenti cronologici, è il desiderio di sconfiggere il nemico, inteso in senso lato, che può albergare all’esterno ma anche dentro di noi, di grande attualità”.

Ma cosa resta del canto medievale nella realtà musicale odierna, di cui forse non abbiamo coscienza?

“È la forza delle nostre radici, pensiamo alla capacità evocativa del canto a cappella presente nella musica popolare, dalle klape dalmate, al canto della costa istriana, che a sua volta ha ispirato tanta musica classica di valore universale. È un’interazione senza tempo che continua a far parte del nostro mondo, perché è un modo di conoscere e comunicare”.

Lei insegna, quindi ha modo di lavorare con i giovani. Come si pongono nei confronti della musica antica?

“Considero questo incarico a Basilea in Svizzera una grande fortuna, insegno canto medievale e rinascimentale, per me una sfida e una gioia. I miei studenti sono motivati e convinti visto che hanno fatto questa scelta, ma non è difficile coinvolgere anche il resto del pubblico giovane. La musica è un linguaggio universale, è un libro aperto sulla storia d’Europa e del mondo, è soprattutto un legame con le nostre radici. Non spiego mai molto durante le performance, preferisco che la reazione di chi ascolta sia immediata e il più spontanea possibile. Per i giovani studiosi c’è tanto da esplorare nelle biblioteche, nei testi antichi, per certi versi non ancora intonsi. Basilea per loro è una tappa obbligatoria per la presenza della Schola Cantorum Basiliensis, fondata nel 1933, che attrae appassionati da tutto il mondo. E posso dire che i miei studenti rappresentano veramente una meravigliosa diversità di popoli, da questo punto di vista è un’esperienza di grande spessore”.

Trieste già la conosce, quindi è un felice ritorno?

“Certamente, sono molto concentrata sullo spettacolo nel quale ci saranno al mio fianco Albrecht Maurer (viella e lirica) e Norbert Rodenkirchen (flauto e piffero doppio). L’esecuzione si avvale dei soprattitoli in italiano, con la consulenza linguistica di Bratislav Lučin, la regia è affidata a Sanda Hržić. Ma, spente le luci, voglio passeggiare lungo le rive, fermarmi a sorseggiare un caffè, incontrare gli amici, godere delle atmosfere che caratterizzano la città, sentirmi circondata da luce e suoni di un mare che è anche la mia casa”.

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