Giacomo Scotti. Il «vizio» di scrivere

La silloge premiata, che ondeggia fra l’infanzia e la vecchiaia del letterato e poeta 94enne, è un ponte fra due Patrie

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Giacomo Scotti. Il «vizio» di scrivere
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Nell’edizione 2022 del Concorso d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima”, nella categoria Letteratura (intitolata a Osvaldo Ramous), nella sezione dedicata alla Poesia in lingua italiana, il premio premio è stato vinto da Giacomo Scotti con la silloge “Poesie del tramonto”. La motivazione della giuria è la seguente: “Immagini rese evidenti da una squisita sensibilità linguistica, dal marcato senso del ritmo e da un uso sapiente delle strategie della versificazione”. Giacomo Scotti è un letterato e intellettuale estremamente prolifico del nostro panorama culturale e probabilmente non esiste connazionale che non ne abbia sentito parlare o che non lo abbia letto. Il premio del 2022 conferma la qualità e maturità della sua “penna” e indica che, nonostante l’età avanzata (94 anni), Scotti è un poeta che ha ancora tanto da dire.

Quante volte ha vinto al Concorso “Istria Nobilissima”?
“È una domanda difficile. Mi sembra di aver vinto già la prima edizione, ma sfogliando recentemente un’antologia, ho contato almeno 25 premi, sia per la prosa che per la poesia, ma anche per la saggistica letteraria. Ho scritto anche di proverbi, cantilene popolari e produzione popolare dell’Istria e del Quarnero. Uno dei miei difetti, se così si può chiamare, è quello di voler scrivere di tutto. Ho scritto una trentina di volumi di favole e oltre 200 tipi di altro tipo. All’inizio avevo iniziato a scrivere per arricchire la produzione letteraria della CNI, poi il vizio mi è rimasto. Se resterà soltanto una poesia, ne sarà valsa la pena”.

Trascorrere la vecchiaia in modo tranquillo
Nella sua produzione poetica lei esprime emozioni scaturite dai “viaggi” dal passato al presente. Di che cosa parla la silloge premiata all’ultima edizione del Concorso?
“Lasciai la mia terra partenopea nel 1947, all’età di diciannove anni, e in tutte le mie sillogi e antologie poetiche, come ad esempio ‘Lacrime e perle’ del 2019 o ‘Fra due mari’, del 2022, esprimo emozioni legate a questa esperienza. Dalla poesia alla favolistica, dalla narrazione alla saggistica storica, si rispecchia la mia ‘crocifissione’ tra l’amatissima Patria italiana, l’altrettanto amata Croazia e più concretamente le terre istro-quarnerine. Anche la silloge che ha ottenuto il premio nella sezione dedicata alla Poesia del Concorso d’Arte e Cultura ‘Istria Nobilissima’, ‘Poesie del tramonto’, ondeggia fra l’infanzia e la vecchiaia, fra i due amori per le due Patrie. I mari Tirreno e Adriatico sono affratellati e, con essi, i popoli che vi si specchiano. Se dovessi riassumere, dunque, quali sono le colonne portanti della silloge che mi ha portato il premio ‘Osvaldo Ramous’ nella sezione della Poesia direi che al centro c’è l’uomo che sente il peso della vecchiaia e che parla con la morte. Suo unico desiderio è che la vecchiaia trascorra in modo tranquillo e pacifico. Una piccola parte della raccolta paragona la vecchiaia alla giovinezza e all’infanzia. Questi due mondi si allacciano l’uno all’altro nella mia poesia”.

Il ritorno all’infanzia è dettato dalla nostalgia del passato?
“Questo viaggio a ritroso nel tempo succede a tutte le persone della mia età. I ricordi più recenti, lo dice anche la scienza, sfumano più facilmente, mentre quelli più lontani nel tempo, legati all’infanzia, vengono filtrati e rimangono quelli più belli. Anche se non posso dire di aver avuto un’infanzia spensierata, mi ricordo ad esempio dei primi amori, all’età di dodici anni. La mia infanzia è stata molto dura. Persi la mamma all’età di due anni e il papà a dodici, per non parlare di un fratello maggiore, sottufficiale a Capo Matapan, affondato con l’incrociatore Zara. Nel filtro della memoria, però, si cerca di illuminare persino le morti e di parlare delle cose belle legate ai miei familiari”.

Nei suoi quasi 95 anni di vita, ha dei rimpianti?
“Non direi. Non rimpiango nulla, perché anche quando sono arrivato oltreconfine, ho trovato qualcosa di bello. La guerra aveva distrutto tutto, ma dalla fame vissuta durante l’infanzia, qui trovai da mangiare, persino dei dolci. Quindi in tutte le mie scelte, nonostante la durezza di alcuni anni, sia politicamente che fisicamente, per me che avevo avuto un’infanzia tribolata e di fame, ad ogni passo in avanti mi si apriva un mondo nuovo, che io conquistavo giorno per giorno per farlo diventare mio. Per fare un esempio, soltanto a Fiume ho cambiato ben diciassette indirizzi, ma in ciascuna abitazione ho tentato di farne una casa ospitale e di portarvi l’Italia”.

Rapporti con altre minoranze
I ponti che anche lei ha contribuito a costruire, con l’Italia, si stanno rafforzando o meno?
“Io come uomo e come scrittore sono sempre stato contro le barriere. I ponti tra le due sponde dell’Adriatico si sono ristretti alla sola Croazia e a parte della Slovenia, ma gli altri Paesi vi hanno rinunciato. L’unico rapporto che ho con le altre comunità nazionali sono i rapporti che intrattengo con le minoranze ungherese, montenegrina e macedone a Fiume. Questo mi dispiace perché mi sono sempre impegnato ad allacciare rapporti con tutti, grazie anche alle traduzioni in italiano dei poeti più famosi. Il mio amore per la Macedonia, ad esempio, è nato il giorno in seguito al terremoto di Skopje del 1963, quando ci siamo recati lì con le brigate volontarie per pulire le macerie e assistere i sopravvissuti. Nello scavare un palazzo di fronte alla stazione ferroviaria mi è stato detto che era stato trovato il corpo senza vita di una poetessa che io avevo tradotto. Questo legame di solidarietà umana mi ha fatto innamorare della città e della cultura macedone”.

Maturazione poetica
Nel corso della sua produzione letteraria lei ha assunto sfumature sempre più intimistiche. Ciò è dovuto all’affinamento linguistico o, piuttosto, a un bisogno esistenziale ed espressivo?
“Con gli anni l’uomo matura, diventa più saggio, e si specializzano pure gli stili della scrittura. Con l’età e l’avanzare della vita si perfeziona anche il modo di scrivere. I miei versi e racconti hanno assunto via via toni più pacati, scavano più a fondo, sgorgano dalla memoria e dal cuore. Il cuore li detta, il pensiero li elabora, li trasforma in poesia. In altre parole, non basta l’ispirazione, ci vuole lo studio, l’esperienza. È questa la ‘fatica’ del poeta, dello scrittore. Scrivere, in letteratura, significa dare alla parola il potere di essere accessibile, comprensibile, evitando le banalità”.

La terza età porta una maggiore introspezione?
“Per me è il periodo della vita della solitudine. Le persone con le quali intrattenevo contatti, sia telefonici che via e-mail, non si fanno più sentire e con ogni probabilità non ci sono più. Lo stesso vale per i miei amici e conoscenti più cari. Ovviamente questo mi rattrista. Scrivo poesie per mantenere viva la mente in questa solitudine resa ancora più grande dal Covid-19. La poesia per me è una medicina e mi sono commosso per il riconoscimento ottenuto. Se penso ad altri letterati, poco più giovani di me, come Claudio Ugussi, Nelida Milani Kruljac o Isabella Flego, mi rendo conto che la mia generazione ha ancora tanto da dare”.

Creare legami
Secondo lei, qual è il futuro delle nostre terre?
“La stessa domanda mi era stata posta pure nel 1994, durante la Guerra patriottica, da un giornalista italiano. All’epoca ero vicepresidente dell’Associazione dei pacifisti d’Europa e avevo fondato a Fiume l’associazione ‘Duga-Arcobaleno’ per portare dall’Italia aiuti umanitari. La guerra non era solo fisica, ma anche psicologica, con vittime da entrambe le parti. Quella volta dissi che solo l’Europa può salvarci e lo penso tuttora. Ho fatto di tutto per far entrare la Croazia in Europa e avvicinarla agli altri Paesi europei. Ora ci troviamo nello Spazio Schengen. La vicinanza e la libera circolazione sono almeno in parte una garanzia di pace, ma anche la fase dell’entrata deve avvenire senza portare rancori”.

Come cambierà la nostra posizione di italiani in Croazia?
“L’ho sempre detto e lo ripeto che dobbiamo essere l’anello che unisce. Siamo una minoranza numericamente in declino, ma dobbiamo dimostrare alla maggioranza che con l’amicizia si possono creare legami. Un anello che unisce può essere anche la letteratura, tipica della minoranza italiana. Se le altre minoranze ballano il kolo o hanno altri usi e costumi, noi italiani sappiamo e dobbiamo scrivere. È una nostra caratteristica tipica e un patrimonio da sostenere, anche tramite pubblicazioni”.

Che cos’è per lei la poesia?
“La poesia è uno sfogo ideale dei sentimenti. Non racconta, come la prosa, ma attinge dai ricordi per parlare della vita. La mia è una poesia di vita”.

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