Fiume, una città spaccata a metà

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Fiume, una città spaccata a metà

TRIESTE | È incredibile come certe cose accadano in contemporanea a contrastarsi nei loro contenuti, ma anche nella forma. L’oggetto in questione è Fiume, città perduta, come la definisce lo storico triestino Raoul Pupo che, in un affollatissimo incontro presso la libreria Ubik di Trieste, ha raccontato con evidente coinvolgimento di studioso il libro sul capoluogo quarnerino, appena dato alle stampe per la Laterza “Fiume, città di passione”, mentre lontano da qui i leader di Casa Pound meditavano una “marcia su Fiume” per ribadirne l’italianità. Fuori tempo massimo diremmo noi, ma anche fuori dal contesto storico perché, come ha detto Pupo, la città non è mai stata irredentista, cercava una sua autonomia, perché inserita in un contesto completamente diverso: spaccata a metà da un fiume, porto d’Ungheria, con una multiculturalità forte, essendo le tre componenti, italiana, croata e ungherese, molto presenti.

La componente italiana

“A Fiume si diceva che anche il più stupido degli uomini parlasse quattro lingue”, ha ricordato lo storico. “Alla fine della Grande guerra, la componente italiana cercò una sponda nel governo italiano per evitare di finire sotto i croati, ma nel 1918 alle elezioni vinse Nitti, che non era d’accordo di accollarsi questo problema. L’Italia era debole perché aveva vinto la guerra, non senza difficoltà evidenti. Aveva contro gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna. D’Annunzio a quel punto è l’ultima risorsa.
“Il Vate a Fiume si diverte – ha raccontato Pupo, che consiglia di leggere nel libro tutte le varie amenità che circondano la sua permanenza nella città – pensa che Fiume sia il suo punto di partenza. Decide di compiere il suo capolavoro, fare uno Stato a sua immagine e somiglianza, a quella di un poeta. Fiume polo d’attrazione delle avanguardie dell’epoca. Festa e frenesia continua, rivoluzione esistenziale di coloro che non si riconoscono nelle regole e vogliono vivere fuori dalla regole, un po’ come è stata la fantasia al potere del ‘68, insomma sesso, droga e rock & roll”.

Dopo i primi entusiasmi, l’imbarazzo

“E i fiumani?”. Ha chiesto Giulia Caccamo, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Trieste, che interloquisce con Raoul Pupo. Come vivono gli italiani della città quarnerina quest’esperienza?”.
I fiumani, dopo i primi entusiasmi, vivono con imbarazzo la situazione che si è a un certo punto fatta economicamente pesante. Sono disponibili a un compromesso di autonomia che eviti cioè l’annessione alla Croazia. Ma D’Annunzio, che perderebbe così il suo ruolo, manda tutto all’aria. Poi capita che nel 1920 Wilson perda le elezioni, cade il veto degli Stati Uniti, gli europei sono spaventati dall’instabilità dell’Italia, Giolitti, che nel frattempo è subentrato a Nitti, contratta con i serbi e la questione di Fiume si chiude assieme a quella di Zara, unica città che rimane italiana nella Dalmazia, la quale passa invece alla Jugoslavia. Racconta ancora di come Mussolini non vorrà essere insidiato a destra da D’Annunzio e che sostanzialmente lo emarginerà, schierandosi con Giolitti. Fin qui la storia di quegli anni difficili, ormai nota, ma che nel racconto di Pupo mantiene una vividezza non comune e che non manca di rimarcare sempre come l’esperienza di Trieste e Fiume siano diverse pur avendo molti punti in comune.

Trieste e Fiume, uno sviluppo diverso

Alla domanda del pubblico, attento e curioso, di come mai le due città ebbero nel ‘700 uno sviluppo diverso, Pupo racconta che alcuni suoi colleghi stanno indagando sulle motivazioni che portarono Trieste a diventare una grande città emporiale nell’Impero, mentre Fiume ebbe uno sviluppo più modesto. Le ipotesi che si avanzano, ma sono realmente soltanto ipotesi al momento, è che la piccola nobiltà triestina del ‘700, dedita prevalentemente ad attività agricole, non si fosse interessata ai progetti di sviluppo del porto franco che l’editto del 1719 di Carlo VI aveva attivato. Fu così che una moltitudine di imprenditori, commercianti e finanziatori giunse da ogni dove, si creò una città nuova e alla fine i nuovi arrivati sarebbero diventati i nuovi padroni della città. A Fiume invece la nobiltà sarebbe stata più forte, limitando l’accesso ai nuovi interessi e bloccando di fatto lo sviluppo o perlomeno controllandolo a proprio vantaggio e riducendolo di portata. E poi nell’800 Trieste era il porto dell’Austria, mentre Fiume dell’Ungheria e nello scacchiere europeo dell’epoca il peso austriaco era indubbiamente maggiore di quello magiaro.

L’azione di Casa Pound è senza senso

“Fiume ha smesso di esistere, almeno nella dimensione in cui noi ce la figuriamo”, ha detto Pupo. Ecco perché, riandando all’incipit di questo scritto, non ha comunque più senso l’azione di Casa Pound, se mai manifestazioni di questo tipo abbiano avuto motivo d’esistere e ne dubitiamo”.

Città perdute

“Fiume – ha proseguito lo storico – fa parte di quel grande numero di città perdute, cambiate nel ‘900 dopo la crisi degli imperi.
Königsberg (oggi Kaliningrad), Leopoli, Salonicco, Smirne hanno cambiato volto perché si è modificato il contesto in cui erano collocate. Città cancellate e uccise dalla storia, presidi che significavano per il territorio che le aveva create. Alcune si sono riprese, basti pensare a Dresda, che completamente ricostruita, dopo la fine della Guerra fredda è rinata. Fiume è bella e interessante dal punto di vista della cultura italiana, ma anche un po’ l’emblema dell’urbicidio e della resilienza. Fiume non ha mantenuto il collegamento con il suo passato – ha ricordato ancora Pupo –, gli italiani sono andati via. Oggi Fiume è un’altra città, più grande. Ed è comunque un buon segno che si voglia fare riferimento a un suo passato attraverso la nuova toponomastica, che prevede anche i nomi italiani nel centro città”.

Rivoluzione sanguinosa

La storia della Seconda guerra mondiale è un altro grande affresco nel racconto di Pupo. “Nell’autunno del ‘43 Fiume cessa di essere sostanzialmente italiana, Trieste resta in questo stato fino al ‘54, ed è subito chiaro che la prima resterà jugoslava e finirà ogni idea di autonomismo. Il potere jugoslavo conduce una rivoluzione sanguinosa, con la liquidazione dei nemici del popolo e la costruzione del regime comunista. Per i fiumani è venuta l’ora di abbandonare, prima i figli e poi le famiglie. Orietta Moscarda – ha ricordato Pupo – recentemente ha trovato un documento interessantissimo, dal quale si evince come l’Ozna fece di tutto per far sparire tutti gli autonomisti”. E poi, come un fiume in piena, lo storico ha raccontato della fratellanza, del sogno dei monfalconesi, della scissione tra Tito e Stalin, dell’Isola Calva.
La prof.ssa Caccamo ha concluso raccontando di una recente visita assieme ai suoi studenti alla Comunità degli Italiani di Fiume e dell’avere nel colloquio con la sua presidente riportato una sensazione strana, a cui Pupo ha trovato risposta affermando come “i pochi italiani rimasti siano come soldati in trincea di un presidio ridotto ai minimi termini per mantenere l’italianità”.

Sopravvivenza a rischio

Con lo Stato italiano, apprendiamo oggi, che continua a minare questa battaglia affermando di volere tagliare le poche ultime risorse destinate al giornale in lingua italiana che significa la sopravvivenza della nostra cultura a Fiume, e non solo.

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