A Roma, omaggio a un grande di Sebenico

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A Roma, omaggio a un grande di Sebenico

ROMA | Si è aperta a Roma nel palazzo Falconieri, sede della prestigiosa Accademia d’Ungheria a Roma in via Giulia, una mostra su Fausto Veranzio, uno dei più noti figli di Sebenico del Rinascimento. La mostra, organizzata e promossa dall’Ambasciata croata presso la Santa Sede, è un progetto realizzato dalla Biblioteca nazionale e universitaria di Zagabria, dal Museo tecnico “Nikola Tesla” e dall’Accademia croata delle scienze e delle arti.

Fausto Veranzio, appartenente a una famiglia patrizia di Sebenico, è stato una figura del Rinascimento italiano, croato ed europeo tipica del suo tempo: compiuti gli studi di filosofia, legge, fisica e meccanica presso gli Atenei di Venezia e Padova, a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento fu cancelliere presso la corte dell’imperatore Rodolfo d’Asburgo, a Praga e a Pressburgo. Quando morì sua moglie si fece prete e nel 1594 divenne perfino vescovo di Csanad, in Ungheria.
Dopo una vita dinamica e avventurosa, si stabilì a Venezia, nel 1594, dove, fino alla morte nel 1616, scrisse e redasse le sue opere principali: trattati filosofici ed etici in latino, lavori letterari in croato. Ma resterà conosciuto per due opere principali: un trattato su opere meccaniche tecniche, le “Machiane novae”, in cui ha riportato i progetti di 47 nuove invenzioni sulle tracce di Leonardo da Vinci, a partire da marchingegni per l’agricoltura, piani di ponti e macchine industriali, fino al progetto di un paracadute, che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo a fianco di Leonardo e di Tycho de Brache. Il suo secondo “Magnum opus” è stato il primo dizionario comparato di cinque lingue – il latino, l’italiano, il tedesco, il dalmata e l’ungherese –, il Dictionarum quinque nobilissimarum Europae linguarum. La lingua dalmata, poi, si è evoluta nella lingua croata, ed è perciò comprensibile che Veranzio venga celebrato anche come un’icona della cultura croata. Se ne “appropriano”, però, anche gli ungheresi, come ha rilevato all’apertura della mostra a Roma l’Ambasciatore ungherese presso il Vaticano, Eduard Habsburg-Lothringen, guarda caso un conte del ramo Asburgico, fiero di esserne un discendente. L’Ambasciatore croato, Neven Pelicarić, ha illustrato il posto di Veranzio nel Pantheon degli illustri croati, mentre il professor Adriano Papo, presidente del Centro studi Adria-Danubia di Trieste, ne ha elogiato la figura multiculturale, tipica del Rinascimento, di un genio versatile che ha arricchito molte branche della scienza e della cultura.
La mostra è servita da introduzione a un convegno, al quale hanno preso parte la dottoressa Tatjana Petrić, direttrice della Biblioteca nazionale di Zagabria, Markita Franulić, direttrice del Museo tecnico “Nikola Tesla” di Zagabria, e la dottoressa Marijana Borić, dell’Accademia croata delle scienze e delle arti, nonché la dottoressa Anja Nikolić Hoyt, lessicografa.
Fausto Veranzio, sopranominato anche “il Leonardo di Sebenico”, ha così avuto un degno riconoscimento dal pubblico romano, testimone egli di un tempo nel quale la creazione umana non aveva confini e l’Europa era la “repubblica del genio”, come disse a suo tempo Erasmo da Rotterdam.
L’esposizione rimane aperta fino al 7 dicembre.

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