Pola. Gli acquisti (tanti) fatti in poltrona

Fiorisce la vendita online con consegna, veloce e asettica, a domicilio. Si compra letteralmente di tutto

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Pola. Gli acquisti (tanti) fatti in poltrona

Un furgone dietro l’altro s’accostano al marciapiede che divide il parcheggio dall’area pedonale del cortile di un grande condominio polese, che in questo caso si trova nel quartiere di Siana. Ma lo stesso scenario si ripete da un capo all’altro della città, da Stoia a Veruda, da Monteparadiso a San Policarpo. L’autista scende dalla sua cabina corona-free, individua il cliente col quale si è dato appuntamento in precedenza via telefono, apre la portiera del mezzo per estrarvi il pacco contrassegnato da un codice unico corrispondente ad un unico acquirente: lo scambio è immediato, sterile, a prova di virus. Tutta la manovra dura mezzo minuto, nessuno si parla, nessuno si avvicina oltre quel tanto indispensabile per passarsi il pacco, nessuno si guarda in faccia. E poi tutti lì a strofinarsi le mani con l’antibatterico-antivirale liquido tascabile. I pagamenti – è chiaro – sono stati effettuati on-line al momento stesso dell’ordinazione. I contanti non… contano più un fico secco, anzi, tutti ne aborrono. Arrivederci e via il prossimo. C’è la coda dei furgoni e la coda dei clienti nei parcheggi di tutta la città, ogni giorno, tutte le mattine. Prima il furgone giallo delle Poste, poi quelli diversamente colorati, bianchi o rossi, delle varie società di trasporti e consegne a domicilio. Che di questi tempi possono anche dirsi soddisfatti per come vanno gli affari.
Così si compra ai tempi del coronavirus, in condizioni asettiche o quasi. Incredibile quanta strada può fare una nazione sulla via adigitalizzazione del commercio in poche settimane, sotto la sola spinta di un microorganismo patogeno contro il quale non abbiamo altro strumento di difesa se non il rudimentale isolamento sociale. Dentro, nei furgoni, c’è di tutto. Uno sarebbe tentato di pensare che si compri più o meno lo stretto indispensabile: medicine, alimentari, articoli di prima necessità, soprattutto articoli per l’igiene personale e della casa. E invece no. Dalle viscere dei furgoni in coda si estraggono anche pacchi di libri e riviste, giocattoli, elettrodomestici, articoli tessili, calzature. Sì, tantissime calzature, soprattutto scarpe da ginnastica griffate, costose, le sneakers di ultimo grido. La nostra perplessità comincia a turbarci sul serio. A che diavolo servono tante sneakers nuove di marca se nessuno va da nessuna parte? L’autista non trova il fenomeno in collisione con l’etica dell’e-commerce ai tempi della pandemia e commenta allegro: “Si vendono più scarpe da ginnastica adesso di quante ne vendevano prima in negozio”. Caspita. Sarà la noia, oppure le invadenti pubblicità in rete a sprigionare tanta voglia di shopping? Probabilmente entrambe. Quel che è certo è che, seppure cambino i modi di fare commercio, non per questo cambia la voglia o la necessità di farlo in primo luogo. Se mai, smetteremo di comprare al primo sintomo di un progressivo calo del potere d’acquisto. La crisi economica che cova all’ombra della pandemia deve appena manifestarsi in tutta l’angoscia che sarà in grado di provocare.

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