Pola. Decoro urbano, monta la protesta

Il tentativo dell’amministrazione cittadina di fare ordine sul piano estetico è stato interpretato alla stregua di un attacco frontale: le guardie comunali hanno stilato dei verbali in cui sono stati elencati tassativamente gli elementi esterni da togliere nell’arco di tre giorni

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Pola. Decoro urbano, monta la protesta
Un’immagine tipica del centrocittà: l’estetica lascia a desiderare. Foto: DARIA DEGHENGHI

Il nuovo Regolamento sull’arredo e il decoro urbano colpisce ancora. Non è bastato il problema degli edicolanti, che in gennaio si sono visti vietare la vendita di bibite e caffè da asporto e poi revocare il divieto in via provvisoria. Adesso sono sotto tiro anche i negozianti del centro storico. Il motivo è presto detto: le tende, le insegne luminose, le tavole pubblicitarie, i menu, le luci al neon e quant’altro sono semplicemente troppo appariscenti, troppo poco uniformate e tendenti al disordine quando non al kitch propriamente detto. Onestamente non serve essere del mestiere per accorgersene. Da diversi anni in qua alcuni commercianti fanno a gara per attirare a sé i clienti e toglierli alla concorrenza. A lungo andare le facciate si sono lentamente tappezzate di pannelli pubblicitari esageratamente vistosi. Per comprendere il concetto basta fermarsi davanti a una di quelle rivendite che praticano il prezzo singolo, del tipo “tutto a 10 euro”. Della facciata non rimane libero nemmeno un centimetro quadrato di superficie perché è coperta da cima a fondo di carta plastificata di tutti i colori dello spettro solare. E le lettere e le cifre compaiono a caratteri cubitali, neri e bianchi su sfondo colorato. Un disastro. In particolare certe nuove attività e soprattutto le gelaterie di recente apertura sembrano competere in questo senso. Impossibile non farsi notare. Alcune hanno optato per i personaggi dei fumetti, altri puntano sullo stile classico, o romantico, inglese o francese, ma poche sono arredate con gusto. Poi con le insegne al neon la sera la città sembra un luna park. Ma anche i fast food non scherzano. Le fotografie dei tranci di pizza e del kebab – davvero brutte – coprono le facciate e colpiscono la vista dei passanti a ogni pie’ sospinto. A momenti il centro storico sembra un bazar.

La mancanza di gusto nell’allestimento delle vetrine è un problema

Vetrine, striscioni, insegne…
Ora la nuova delibera sull’arredo e il decoro urbano abbraccia ogni elemento tecnico esterno dei locali commerciali e non solo più tavolini e ombrelloni, ma anche vetrine, portoni, striscioni, insegne, targhe, oggettistica da esibizione, tende, parasoli, coperture e altre strutture consentite, cantieri edili, condizioni di occupazione del suolo pubblico e via elencando. Nelle scorse settimane negozi e botteghe artigiane sono state invitate a inviare una o più fotografie delle vetrine all’assessorato agli Affari comunali, che poi ha inviato sul posto le guardie di turno. Queste ultime hanno steso dei verbali in cui sono stati elencati tassativamente gli elementi esterni da togliere nell’arco di tre giorni: qualsiasi pubblicità dalle tende parasole, fosse pure solo l’intitolazione dell’esercizio (tipo Ottico Tal-dei-tali, Orefice Tizio, Gelataio Caio e Abbigliamento Sempronio), le insegne al neon, le tabelle con il menu del giorno, la targa dell’attività, gli striscioni. Gli esercenti della vecchia scuola non sono insorti, ma ci sono rimasti male. Un gelataio, la cui famiglia esercita nello stesso locale da 70 e passa anni, ci ha detto di non comprende come la sua attività sia sopravvissuta a tre Stati diversi e ora non sia più gradita alla nuova amministrazione comunale. Quello che secca, a sua detta, è il modo con cui si fanno avanti: il divieto tassativo, l’ingiunzione di togliere tutto il corredo nell’arco di tre giorni, cancellare ogni segnale d’identità visiva con un colpo di spugna.

Nessuna pubblicità è ammessa sulle tende, neanche la denominazione del negozio

Vicini, gli uni contro gli altri
Anche l’ottico colpito dallo stessa ordinanza dice di non comprendere. Perché non va più bene la denominazione del negozio: i clienti che cercano l’ottico devono pur sapere dove trovarlo. Idem per l’orefice. Niente da fare. La denominazione dell’attività può restare solo sulla vetrina, con caratteri esibiti dall’interno, possibilmente appena visibili. Non è possibile tenerla nemmeno sulla tenda parasole. Quelli che il nome lo avevano stampato sulla tenda con nastro adesivo, hanno già provveduto a toglierla, gli altri sono furiosi: come si fa a ordinare, pagare e montare una tenda nuova in tre giorni? Questo è davvero troppo. E poi, tra un commerciante e l’altro sono iniziate le guerre di… vicinato: il gelataio che ha avuto l’ingiunzione insorge contro quello che non l’ha avuta, quello che l’ha avuta per primo si sente come un criminale ed è offeso perché “i suoi hanno lavorato onestamente da tre generazioni”, quello, infine, che s’impunta e cerca l’arbitrio della Soprintendenza ai beni culturali (vuole che gli dicano espressamente qual è la definizione esatta del concetto di “decoro urbano”). E alla fine tutti si chiedono chi sarà mai quel funzionario che deciderà che cosa è bello e che cosa non lo è?

Un’insegna a ventaglio davvero difficile a digerirsi

Ricorsi in serie
Infatti i locali di via Sergia sono tutti in fermento. Quasi nessuno ha tolto le insegne e tutti hanno fatto ricorso all’assessorato competente. Sono volate anche parole pesanti e mezze minacce. Il tentativo dell’amministrazione cittadina di fare ordine in centro sul piano estetico è stato interpretato alla stregua di un attacco frontale, per giunta sferrato in pieno agosto, nella stagione di punta, quando “non c’è tempo per pensare alla colorazione delle tende e alla pubblicità perché si lavora”. Ci fossero state delle anticipazioni, magari, un minimo di dialogo… Insomma, il tempo per preparare a dovere la riforma o quello che voleva essere la nuova normativa sul decoro e l’arredo urbano. A giudicare dall’aspetto in cui abbiamo trovato ieri mattina le facciate e le vetrine dei negozi possiamo concludere solo una cosa: come al solito, hanno fatto marcia indietro i più docili, gli artigiani, i più anziani e cioè i negozi che comunque erano i meno vistosi dal lato estetico. Quelli a cui probabilmente la misura era indirizzata si ostinano a voler fare di testa propria. Scrivono ricorsi su ricorsi, insistono ad avere l’autorizzazione per la tenda, per lo striscione, per la tabella o l’insegna luminosa… Nessuno si è ancora piegato all’autorità comunale ineluttabile. Il problema non sembra di facile soluzione. Non fino a quando le due parti avranno imparato a dialogare. Non fino a quando al divieto perentorio si opporrà una resistenza altrettanto assoluta.

Al bando anche le immagini dei tranci di pizza e del kebab

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