Piazza Foro, il cuore in frantumi della città

Stando a Đeni Gobić Bravar, restauratrice del Museo archeologico istriano, la strada da segure è quella di una ricostruzione molto più duratura, scegliendo la pietra calcarea a prova di lesionature e distacchi ricreando il Forum antico

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Piazza Foro, il cuore in frantumi della città
Un panorama scheggiato davanti al Palazzo municipale. Foto: SRECKO NIKETIC/PIXSELL

Piazza Foro si sta sbucciando come la pelle dopo scottatura. Nulla di nuovo sotto il sole di Pola e davanti agli edifici della Città, storici per eccellenza: Tempio d’Augusto e Palazzo municipale, sede del potere politico-amministrativo e deliberativo-esecutivo che, desiderio probabilmente sì, ma “potere” (finanziario), non ha per rimediare in maniera immediata agli errori del passato. Prima di arrivare alle soglie del Duemila, la legislatura di allora aveva purtroppo deciso di rivoluzionare e modernizzare piazza Port’Aurea, togliendole la pavimentazione di austriaca memoria, tappezzandola di nuova pietra arenaria e interventi al cemento con corrimano in acciaio nichel. Un analogo destino era stato riservato a piazza Foro, che, fino ad allora, con le pietre ereditate dall’imperial e regio mondo si mostrava molto autentica e austera. Fortunatamente, l’estro della rivitalizzazione e recupero, spinto da progettazioni azzardate e poco confacenti a questi centralissimi angoli urbani, non si era propagato anche in direzione di via Kandler, che ancora conserva quella sua vecchia strada, qua e là rotta e sconnessa, ma pur sempre originale e autentica e in miglior stato di quella rifatta a nuovo. Non per nulla crea ambiente suggestivo, sui generis e, ogni tanto, finisce per fare da coulisse per riprese cinematografiche di registi in cerca di luoghi che ancora respirano di identità propria.

La differenza c’è e si vede
Perché nell’arco di vent’anni o poco più l’aspetto delle lastre che coprono le principali piazze di Pola è più disastroso di altre risalenti a un secolo fa? Le ragioni ci sono e le spiegazioni in merito ci possono venire fornite da chi di competenza. Đeni Gobić Bravar, restauratrice del Museo archeologico istriano di Pola, esperta in interventi di conservazione dei materiali in pietra fa presente una questione di fondo: “Al momento dei recuperi delle pavimentazioni pubbliche, la Città avrebbe potuto optare per due differenti modalità di restyling: ripristinare la tecnica edilizia usata su suolo pubblico dall’antica Roma, con lastre in pietra calcarea, come splendida e solida superficie con ottima resa estetica. É prevalsa invece la copertura in pietra arenaria. La medesima che venne adottata ai tempi austroungarici. E la differenza c’è e si vede.”


Piazza Port’Aurea: tutte le screpolature di una pavimentazione che non regge.
Foto: GIULIANO LIBANORE

I difetti della pietra arenaria
A questo punto si apre un secondo quesito: come mai l’arenaria austriaca ha dimostrato comunque un maggior grado di sopravvivenza nel tempo rispetto all’arenaria di fine XX secolo? L’arcano si svela con delucidazione aggiuntiva. Dice Đeni Gobić Bravar che l’arenaria è abbondantemente utilizzata per l’uso edile, per le costruzioni, l’arredo urbano i pavimenti. Si presta volentieri a molte lavorazioni, poiché la superficie si presenta facilmente lavorabile ed è impiegata soprattutto per pavimentazioni di strade e luoghi pubblici, ma anche rivestimenti interni. Fin qui tutto bene. Essendo classificata come roccia tenera, però, se ne consiglia l’uso per progetti che non richiedono una particolare resistenza meccanica, ma piuttosto ambienti di prestigio, punti vendita e locali pubblici. Le pavimentazioni in arenaria infatti non devono essere particolarmente sollecitate da carichi importanti. Si dirà allora che abbia sbagliato anche l’ingegnosa Austria? Non in ugual misura degli ingegneri-progettisti odierni. La restauratrice dell’ente museale specifica che “l’arenaria austriaca era stata estratta dalle famose cave di Aurisina a Trieste, le cui origini si perdono nella notte dei tempi”.

La cava di Aurisina
Stando a fonti disponibili, i primi cenni storici relativi a questa cava risalgono alla Roma imperiale, quando, si ipotizza, enormi blocchi di materiale venissero caricati su navi di trasporto con l’ausilio di scivoli appositamente scavati sul fronte della scogliera. La cava venne riattivata nel 1845 sotto l’Impero austroungarico per la costruzione di importanti opere pubbliche. Successivamente, grazie ai suoi impianti, fra i più completi e tecnologici dell’epoca, la cava di Aurisina potè partecipare con eccellenti risultati, al rinnovamento edilizio di Vienna, Budapest Praga, Monaco di Baviera e Trieste. L’esperta in materia di pietre, a questo punto, esce con una supposizione: evidentemente, le lastre collocate da Pola vent’anni or sono, non avranno la stessa origine e resa, non presentano la medesima struttura e consistenza e nemmeno un’uguale modalità e qualità di lavorazione.

Ripegare sul sicuro
Cosa concludere a questo punto? Đeni Gobić Bravar mette ovviamente al bando l’utilizzo del granito e altre soluzioni molto pratiche, ma da obbrobrio per Pola. Come suggerito, la strada insicura per le piazze di Pola potrebbe essere quella di eguagliare meglio e alla lettera i materiali e l’industriosità austriaca, oppure ripiegare per una ricostruzione molto più duratura, sintonizzati con l’ambiente romano, scegliendo la pietra calcarea a prova di lesionature e distacchi ricreando il Forum antico, ripristinando una necessaria condizione di fruibilità, vale a dire una pavimentazione eccellente che resista nel tempo, idonea ad assicurare una funzionalità strutturale di resistenza ai carichi a cui è, e sarà sottoposto. Sarebbe questa la via più costosa, ma a lunga scadenza la più conveniente, per non dover rifare sempre tutto da capo.
Sia come sia. Per ora l’amministrazione si sobbarca tutti gli obblighi di manutenzione e custodia di quel che (di brutto) è dato. Lungi dall’eseguire rappezzi bituminosi, tuttavia si è sempre più spesso costretti a spazzar via e a rimuovere gli strati e i granelli di arenaria sfaldata. E dire che siamo in zona pedonale. Figurarsi il degrado che avrebbe comportato un transito veicolare.

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