La società produce gente senza casa

Il Centro coworking ha ospitato la conferenza «Realtà parallela» sul tema dell’emarginazione sociale

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La società produce gente senza casa
Ivana Sokolov spiega i pregiudizi e come superarli. Foto: Daria Deghenghi

La chiameremo Anna. È una donna sola di 78 anni, è stata truffata, le hanno portato via la casa (suo unico avere) e l’hanno raccolta dei conoscenti alla stazione degli autobus dopo cinque giorni e cinque notti in strada. Dopo un periodo di ospedale (due stent cardiaci), ha trovato riparo al dormitorio di via Altura. La pensione di appena 318 euro non basta per rifarsi una vita: non alla sua età e non nelle sue condizioni di salute. Infatti sta ancora lottando per la vita. Andrea aveva 29 anni ed è morto intossicato dopo essere stato rilasciato dal carcere senza documenti, senza assicurazione sanitaria, senza soldi e senza possibilità di accedere alle cure mediche (terapia sostitutiva) che gli avrebbero salvato la vita. Un giovane Rom di 24 anni dalle facoltà cognitive ridotte, non ha le capacità mentali di tenersi un lavoro per più di due mesi anche quando glielo servono su un piatto d’argento. Vissuto senza madre con padre violento, non ha altro riparo che il dormitorio. Ex professore, 65 anni, due lauree, truffato, rimasto senza averi, soffre di sindrome postraumatica, solo: tutte le notti cerca riparo in via Altura. Questi non sono che pochi esempi a titolo illustrativo perché la struttura di cui stiamo parlando ogni notte riceve una trentina di sfortunati, di giorno un’altra trentina più tutti quelli che passano di là per farsi una doccia o lavare i panni perché in casa sono rimasti senza corrente elettrica.

L’esercito degli invisibili
Dall’apertura in qua, il dormitorio ha offerto soccorso a 130 persone di tutte le età e condizioni di salute: 9 sono pensionati con mensilità inferiori ai 400 euro, quattro sono donne di media età con problemi di salute, senza possibilità di lavorare, abbandonate dalle rispettive famiglie, sei sono tossicodipendenti in terapia sostitutiva che ogni tanto “ci ricascano” e non hanno ancora trovato la forza di farsi curare per rompere il circolo vizioso, cinque sono alcolisti di lunga data tra i 50 e i 65 anni, ma un particolare salta all’occhio: il 10 per cento di tutti gli utenti del dormitorio possiede un titolo accademico, chi una e chi due lauree. “La nostra società produce gente senza casa”, ha detto Varja Bastjančić, la “mamma” del dormitorio “Rachem” di via Altura, angelo custode dei tossicodipendenti, dei senzatetto, degli “invisibili” di Pola. Lo ha detto proprio così, senza mezzi termini, nel corso della conferenza “Realtà parallela” tenutasi nel Centro coworking e promossa nell’ambito del progetto “Il faro della solidarietà” concepito a livello nazionale dalle associazioni che in varie città croate (Zagabria, Pola, Parenzo, Spalato e Osijek) stanno lottando contro i sintomi e le cause dell’emarginazione sociale, ma soprattutto contro l’ignoranza, la mancanza di sensibilità e i pregiudizi di quanti nella vita hanno avuto più fortuna.

Varja Bastiančić.
Foto: Daria Deghenghi

Senza casa non è un’identità
Quali sono i preconcetti di cui soffriamo un po’ tutti, compresi i dipendenti pubblici? Ecco l’elenco fornito dall’assessore alle Politiche sociali Ivana Sokolov e dalla stessa Bastjančić: sono tutti alcolizzati; hanno scelto di fare questa vita; sono solo un peso per la società; sono sporchi, non si lavano; se sono stati abbandonati anche dai figli, ci sarà pure un motivo; se avessero lavorato, si sarebbero comprati una casa come abbiamo fatto noialtri; i Rom vivono in strada dacché mondo è mondo; vivono a spese dello Stato perché non hanno la voglia di lavorare; visto da dove arrivano, Pola per loro è l’America. Sbagliato. Nessuno sceglie di ammalarsi, nessuno sceglie di vivere in strada, nessuno sceglie di essere abbandonato dai parenti, tutti possono avere bisogno di aiuto prima o poi. “La condizione di senzatetto non è un’identità, non ci definisce come persone e non è parte del nostro carattere. Chi ha una casa non si chiama ‘contetto’ perché disporre di un’abitazione è solo una contingenza, una condizione temporanea e non un’essenza, una personalità. Sono convinta che come società siamo maturi per sostituire una volta per tutte i termini come ‘barbone’ e ‘clochard’ con la definizione più dignitosa di ‘persona senza dimora’ che denota una situazione di provvisorietà e superabilità”, ha detto Varja Bastjančić, convinta che le parole contano perché feriscono e perché, più che mero costrutto linguistico o astrazione concettuale, sono un punto di partenza e la condizione stessa della considerazione della persona che abbiamo davanti.

La società produce i senzatetto
Ma è d’obbligo tornare sul fatto che la società croata contemporanea produce, per non dire “sforna” persone senza dimora. Sono dati di fatto e non impressioni. Fino a trent’anni fa non c’era nessuno che dormiva, come si usa dire, sotto i ponti. Ora è normale trovare la gente sulle panchine nei parchi e nelle stazioni dei treni o degli autobus. Cioè: “è normale” ma non dovrebbe esserlo. Come siamo arrivati a questo punto? Una prima ondata di sfratti e di persone finite in strada si è verificata in seguito allo scandalo dei mutui indicizzati al franco svizzero. Una seconda ondata massiccia è coincisa con la pandemia da Covid-19, i lockdown, i licenziamenti del 2020. Senza dire del fallimento del cantiere navale e dello sfratto degli inquilini dell’ostello per operai. A un certo punto, Pola si è trovata costretta a gestire tra una cinquantina e un centinaio di persone senza lavoro o senza casa o senza entrambi. La reazione tempestiva dell’assessorato di Ivana Sokolov ha ammortizzato il colpo con tutta una serie di interventi andati a buon fine ma la lezione è stata difficile. Di colpo Pola si è resa conto che la povertà ha assunto proporzioni ben più spaventose di quelle che eravamo soliti fronteggiare in passato.

La casa prima di tutto
Ma la lezione ha sortito fortunatamente anche qualcosa di buono. Studiando il modello di Lisbona, copiandolo e adeguandolo alle necessità locali, Pola è stata la prima città in Croazia a lanciare il suo Programma di Housing First (HF), una forma d’appoggio della comunità ai suoi soggetti più fragili che in alcune città d’Europa ha già dimostrato di funzionare con un indice pari al 90 per cento di successo e solo il 10 per cento di recidivi. Si tratta di sistemare le persone senza dimora in alloggi presi in affitto a spese degli enti locali e solo una volta risolto il problema del tetto cercare di aiutarli a recuperare la dignità umana, l’autostima, la salute, un aspetto fisico gradevole e poi anche un lavoro. Il concetto verte su un appoggio incondizionato: prima viene l’alloggio e poi tutto il resto, ai ritmi e alle possibilità che l’utente è capace di sostenere. “Qualcuno ha bisogno di due, anni, qualcun altro di cinque. A ciascuno il proprio tempo, l’importante è non porre condizioni in partenza perché si produce l’effetto contrario”, hanno spiegato gli esperti. Prima si sbagliava proprio in questo senso: per entrare al rifugio era richiesta la sobrietà. Ma il cervello umano non funziona in questi termini ed ora la strategia e l’approccio sono invertiti. Prima viene la casa e la certezza che nessuno ti butta fuori al primo campanello d’allarme. I primi fruitori del servizio sono già cambiati nell’aspetto e nel morale. Dopo una prima fase di stupore e di gratitudine, prima o poi viene fuori anche la voglia di cambiare, di camminare con le proprie gambe e di lasciar perdere le stampelle fornite dalla società. La “casa prima di tutto” e le altre forme di prevenzione e assistenza – ha concluso Varja Bastjančić – non sono una spesa, sono un investimento. Dare un tetto a chi sarà poi in grado di farcela con le proprie forze costa effettivamente molto meno che pagare le conseguenze della povertà estrema e delle dipendenze (gli ospedali, i tribunali, i penitenziari, i servizi sociali ecc.). Finita la conferenza, sempre nell’ambito del progetto “Il faro della solidarietà” che vale 64.000 euro è stata inaugurata in piazza Primo Maggio la mostra “Dietro alle quinte” (Iza kulisa), un’esposizione di lavori artistici realizzati dai nostri concittadini provvisoriamente senza dimora.

La conferenza “La realtà parallela” tenutasi negli ambienti del Centro coworking.
Foto: Daria Deghenghi

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