Un universo lirico pervaso da spiritualità

Nella Biblioteca civica e Sala di lettura di Pola è stata presentata la silloge di Umberto Druschovic, poeta pluripremiato il quale narra l’amore nelle sue più diverse sfaccettature

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Un universo lirico pervaso da spiritualità
Il pubblico mentre ascolta... “le parole del vento”. Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

La musicalità dei versi e la poeticità della musica si sono alternate in un perfetto e composto equilibrio, l’altra sera alla Biblioteca civica e Sala di lettura di Pola, in occasione di un più che apprezzato incontro letterario assieme allo scrittore italiano Umberto Druschovic e la sua raccolta di poesie “Le parole del vento”. Il merito di averlo reso possibile spetta all’istituzione polese e al suo Servizio bibliotecario centrale per la Comunità Nazionale Italiana, coordinato da Liana Diković che, affiancata dalla direttrice Nadia Bužleta, ha dato il benvenuto all’autore e agli altri due coprotagonisti della serata: l’arpista triestina Elisa Manzutto e la giornalista, traduttrice e critica letteraria Vanesa Begić, che ha egregiamente intavolato un piacevole dialogo con l’autore.

Tutto è partito dai doverosi convenevoli di presentazione degli ospiti. Umberto Druschovic, piemontese di nascita, valdostano d’adozione, ma con radici balcaniche, greco-turche e francesi, si occupa di poesia da oltre 30 anni. Nel 2003 esce la sua prima raccolta “I colori dell’acqua”, più volte andata in ristampa. Recentissima la nuova raccolta “Le parole del vento” curata dall’Editrice Accademia Barbanera”. Le sue poesie hanno ottenuto finora oltre 50 premi nazionali, innumerevoli secondi e terzi premi, premi speciali e molteplici altri riconoscimenti in ogni parte d’Italia.

Un connubio emotivo
La triestina Elisa Manzutto invece è laureata in Scienze politiche, diplomata TTCT in didattica dell’arpa irlandese presso il Comhaltas di Dublino (Irlanda). Dal 2015 si dedica all’insegnamento dell’arpa celtica e della propedeutica musicale, alla presentazione dello strumento negli asili, nelle scuole elementari, medie e superiori e all’insegnamento curricolare della musica. Tanto di credenziali sono bastate per capire in anteprima la qualità di quanto proposto, attraverso l’intimità e l’emozione espresse dalla lirica accompagnata dal suono etereo e cristallino delle corde d’arpa. Il connubio si è dimostrato talmente intriso della sua naturalezza da far risaltare appieno i pregi dell’opera che la critica d’arte Angela Ambrosini ha sottolineato nel prologo de “Le parole del vento”, definendola quale “silloge coesa, solida, pervasa di spiritualità”. Ed ecco scoperto che “l’universo lirico di Druschovic si organizza principalmente intorno a un paesaggio che, seppur dipinto in uno spazio prospettico concreto, è racchiuso in una dimensione di eternità. Lo sguardo radicato nella bellezza imponente delle montagne e dei villaggi valdostani, fortemente teso a salvaguardarne l’autenticità dal disfacimento in un finto progresso, si posa tenace su una realtà ultra-fenomenica che forse a un lettore frettoloso potrebbe di primo acchito sfuggire”. Messa invece al bando ogni possibile frettolosità, al nostro pubblico non è stato concesso di cullarsi ad un livello di comoda superficialità, ma di entrare lentamente nel micro e macro universo profondo di pensieri da condividere con l’autore ottenendo l’opportunità di renderli quasi propri nei momenti di riflessione, durante un quotidiano vivere che ha bisogno di comprenderne la complessità e la difficoltà, cui raramente si riesce a sfuggire.

La bellezza dell’attimo
L’ouverture musicale ha introdotto il discorso poetico cominciando dalle radici che l’autore ha colto per raccontare il “piccolo cortile” della sua infanzia, dai muri della stalla ancora “pareti del mondo” e con quella scala come “arcobaleno che segna i confini del mondo”. Poesia delicata la sua, altrettanto quanto il suono dell’arpa, da quanto ha fatto notare Vanesa Begić, che ha approfittato dell’occasione al fine di celebrare la poesia italiana, quale eccelsa e tra le più potenti al mondo per melodia e argomenti trattati. Tornando ad Umberto Druschovic, nonché a proposito di radici ed evocazione poetica, l’intervistatrice ha simpaticamente giocato anche con le origini multietniche ed estetiche dello scrittore, già banchiere divenuto poi protagonista di un viaggio artistico-spirituale. Avanti a ragionare per scoprire che poeti di “mestiere” non si può essere ma diventare, cogliendo la bellezza o l’inquietudine dell’attimo, fino a divenire narratori dai temi più disparati: l’amore nelle sue più diverse sfaccettature, la natura quale tacita conservatrice del ricordo di uomini e tempi andati, gli ambienti della memoria, il presente che li cancella inesorabilmente, il futuro su cui riflettere, il sentimento d’allegria e di sofferenza che a volte si concentrano anche in un medesimo verseggiare lirico, erede di quel grande patrimonio poetico trasmesso dalla letteratura italiana.

Amore, vita e morte
L’altra sera si è riusciti a dimostrare quanto un’anonima pietra, un banale albero, un’insignificante panchina, una cara bambola di stoffa recuperata dal soffitto, possano guadagnarsi un’anima attraverso una metaforica rivalutazione poetica, da muti testimoni di sussurri voci e richiami della gente che fu, di villaggi estinti, di famiglie disperse per il mondo, di un mondo montuoso, ma anche marino da rispolverare con compunta nostalgia. Ed ecco che resta soltanto il vento con le sue parole a dialogare assieme a dimensioni care e remote. Quanto al dialogo dell’autore con il pubblico, lo spunto fornito ha permesso di spaziare dalla tematica delle radici, all’introspezione, alle personificazioni attribuite alla natura ai suoi eventi e manifestazioni, fino al sentimento dell’amore, del dolore per la perdita di una persona cara e alla consapevolezza del mistero della vita e della morte. Davvero un concerto poetico. Applausi tanti, mentre alla biblioteca restano disponibili per il prestito “Le parole del vento”. Un grazie a chi le ha scritte.

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