Marin Miletić. Avere il mare dentro

A colloquio con lo stimato biologo ricercatore dell’Istituto Energetico «Hrvoje Požar» di Zagabria e membro del team in seno al Programma Interreg Italia-Croazia nonché ex alunno della SMSI di Fiume

0
Marin Miletić. Avere il mare dentro
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Interlocutore piacevole, gentile, simpatico, partecipe e intuitivo nonché professionista serio, preparato, dedito e fortemente appassionato al suo lavoro. Tutto ciò è Marin Miletić, affermato biologo e ricercatore dell’Istituto Energetico “Hrvoje Požar” di Zagabria, ex alunno della SMSI di Fiume, che ha letteralmente affondato la sua curiosità nel mare, leitmotiv della sua esistenza, nel quale ha sempre cercato e trovato ricarica, purificazione, pace, come pure ispirazone per i suoi studi e le sue preziose ricerche. Dopo essersi diplomato, ha conseguito la laurea in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Trieste, alla quale sono seguiti il dottorato sulle metodologie di biomonitoraggio e qualità ambientale, un Master e una miriade di corsi di formazione in Croazia, Slovenia, Italia, Spagna. Con alle spalle una decennale esperienza di ricerca nelle sedi più rinomate del settore, oggi si occupa di sostenibilità presso il suddetto istituto zagabrese e fa parte del team del Programma di cooperazione territoriale europea transfrontaliera Italia-Croazia. Lo abbiamo incontrato per fare due chiacchiere in merito al suo percorso professionale, agli studi, alla sostenibilità, al viscerale amore per il mare e la ricerca.

Dopo aver terminato la SEI “Dolac”, ha iscritto l’indirizzo educativo-istruttivo della SMSI. Immagino che siano nati e maturati proprio lì i suoi interessi?
“Esatto. All’epoca – generazione 1985/86 – se ne potevano iscrivere quello alberghiero e quello scelto da me, a conclusione del quale sono diventato ufficialmente un collaboratore all’insegnamento di classe. In tale contesto, l’unica esperienza effettuata è stata quella relativa al Liceo, dove una ventina d’anni fa ho insegnato biologia per un semestre. Devo ammettere che mi piacque molto e mi trovai veramente bene con i ragazzi. In realtà insegnare è stimolante, in quanto ci si rende conto di come stiano loro in quanto a conoscenze e si cerca di dargli qualcosa. È uno scambio. Relativamente agli interessi, sapevo di voler continuare gli studi, ma non avevo ancora ben precisa l’idea di quale Università frequentare. Concluso il percorso alla SMSI, per poter fare subito il servizio militare, mi iscrissi pro forma alla Facoltà di Marineria di Fiume. In seguito decisi di andare a Trieste e studiare Ingegneria chimica ma, dopo un anno, capii che non avendo una testa da ingegnere, effettivamente non faceva per me e passai a Scienze naturali. Era il 1988 e nonostante i miei interessi vertessero verso l’Ingegneria ambientale, che all’epoca non si offriva, il programma si avvicinava maggiormente agli stessi spaziando dalle materie ambientali a quelle biologiche. In realtà mi piaceva tutto ciò che avesse a che fare con il mare, con i pesci, con gli organismi marini e altro”.

E poi?
“Sei mesi dopo il conseguimento della laurea, avendo intenzione di proseguire gli studi, colsi l’opportunità di partecipare a una ricerca relativa alle barriere artificiali nel Golfo di Trieste. In quel periodo le stesse ancora non esistevano, ne stavano mettendo una e cercavano persone atte allo studio del loro sperato impatto positivo sull’ambiente marino, le specie e la biodiversità. Vinsi una borsa di studio post-laurea ed entrai nel progetto, nell’ambito del quale, facendo immersioni, potevo capire se la barriera attraesse i pesci e in che modo. In tale contesto, seguendo le tipiche procedure scientifiche, facevamo svariati filmati tesi a osservare i pesci che si aggregavano attorno alla barriera, raggiungevamo i cosidetti “punti bianchi”, ossia le zone fuori da quello che si supponeva potesse essere la loro attrazione, effettuavamo statistiche. Io uscivo anche in mare insieme a un pescatore, con il quale facevamo delle pescate. Vinsi anche il bando di concorso per l’ammissione ai corsi di dottorato di ricerca sul biomonitoraggio e, in seguito, ricevetti un’altra borsa di studio relativa allo studio dei pesci d’acqua dolce del Friuli. Devo dire che, considerato che si trattava di tematiche che mi interessavano molto, le soddisfazioni non sono mancate”.

Suppongo che il suo dottorato avesse rappresentato qualcosa di innovativo e forse anche diverso per l’epoca?
“Esattamente. Fu una ricerca per cui i miei amici mi prendevano anche un pochino in giro in quanto verteva sullo studio delle orecchie dei pesci, nello specifico degli otoliti, che sono degli ossicini, o meglio, degli accumuli calcificati abbastanza grandicelli in proporzione alla loro testa, che oltre a servire come organi sensoriali per la percezione dell’equilibrio, sono strutture di carbonato a forma di anelli concentrici chiari e scuri grazie ai quali si può determinare l’età dei pinnati. In effetti, a modo degli anelli di accrescimento dei tronchi degli alberi, se studiati e contati quando si aggregano, il che dipende dalla stagionalità, forniscono l’età con un’approssimazione abbastanza buona. Gli anelli chiari e scuri testimoniano le fasi di crescita (veloce per quelli chiari, in genere nei periodi più caldi, e più scuri per quelli a lenta deposizione, come i mesi invernali). Trattandosi di carbonato di calcio con un po’ di materia organica, studiavamo anche il modo in cui vi si depositavano altri elementi, nello specifico i metalli pesanti, per poi definire quanto potesse essere inquinato o la concentrazione del metallo nell’ambiente in cui un pesce specifico viveva. A tale riguardo, raccoglievo i pesci d’acqua dolce, dei fiumi e di transizione fiume-mare”.

Come si svolgeva la ricerca a livello pratico?
“Nei fiumi i pesci si raccoglievano con gli elettrostorditori, ovvero tramite una scarica elettrica che li frastornava, in seguito alla quale venivano a galla e li raccattavamo con una retina. Terminata l’osservazione li si ributtava nell’acqua. Purtroppo, nel caso della mia ricerca, considerato che bisognava effettuare le esamine su una parte dell’orecchio, si poteva fare una stima dell’età del pesce soltanto post-mortem”.

Di che cosa si è occupato portata a termine la stessa?
“A studio e dottorato conclusi finirono anche i finanziamenti, per cui per un periodo cercai in giro progetti interessanti che potessero fare al mio caso. Individuai un concorso bandito dal Governo ellenico, che metteva a disposizione delle borse di studio per i ricercatori croati i quali, non essendo ancora all’epoca la Croazia nell’Unione europea, avevano un accesso limitato agli stessi rispetto a oggi. Contattai un professore cretese e feci domanda per effettuare uno studio inerente all’impatto delle reti a strascico sul fondale marino presso il Centro Ellenico per la Ricerca Marina (HCMR). A conferma ricevuta, presi armi e bagagli e mi trasferii a Creta, dove mi trovai talmente bene che vi rimasi per oltre quattro anni, concentrando le mie ricerche prevalentemente sui policheti, comunemente noti come vermi marini, grazie ai quali è possibile comprendere il sunnominato effetto. In quel contesto, visto il mio pallino per la chimica, studiai anche l’accumulo dei metalli pesanti, soprattutto sotto le acquaculture. A un certo punto, però, nel 2008, mi stancai di quel tipo di vita, la quale mi portava a sollecitare di continuo nuove sovvenzioni e dipendere da determinate situazioni, senza nessuna sicurezza, con vari periodi di pausa fra un progetto e l’altro, fra uno studio e l’altro, senza avere quindi una precisa cognizione di cosa sarebbe stato il domani”.

Tutto ciò la portò a dare una svolta alla sua vita professionale?
“Direi proprio di sì, in quanto decisi di tornare a Fiume e passare dalla dimensione della ricerca a quella dell’applicato. Aderii al bando di concorso relativo a un progetto europeo gestito dall’Università di Fiume focalizzato sulla Cleaner Production (produzione più pulita), ovvero sull’efficienza energetica in senso abbastanza ampio. Nello specifico lo stesso era teso all’approfondimento dell’utilizzo delle risorse quali l’acqua, l’energia, la riduzione e il riciclaggio dei rifiuti da parte delle aziende e di altri enti. All’epoca, una quindicina di anni orsono, queste tematiche non erano ancora così avanzate in Croazia come lo sono oggi, per cui il tutto si presentava come molto interessante. Me ne occupai per due anni lavorando nel frattempo anche in qualità di libero professionista”.

Mi sembra di capire che la sfida relativa alle dimensioni della sostenibilità la coinvolse molto?
“In effetti, era ed è tuttora per me una vera e propria sfida, in quanto tutti a parole la promuovono e asseriscono di volere risolvere le problematiche a riguardo, ma le difficoltà nascono nel momento in cui bisogna passare ai fatti e quando bisogna tirare fuori i soldi. Inoltre, non dimentichiamo il discorso delle abitudini, che sono già radicate e la gente non è tanto propensa a cambiarle. In tale contesto, è importante lavorare seriamente e formare i giovani, capaci di acquisire usanze nuove, diverse, maggiormente idonee ai miglioramenti che si cercano di introdurre, i quali, a loro volta, facendo da modelli, possono influenzare e di conseguenza educare gli adulti”.

In effetti basterebbe poco e non si dovrebbero modificare di tanto le nostre abitudini per vivere in modo più sostenibile, non crede?
“Sono d’accordo, però le persone dovrebbero essere messe nelle condizioni di farlo, il che dipende da coloro che decidono, i quali dovrebbero fare da esempio agli altri”.

In merito al suddetto campo ha anche effettuato delle specializzazioni…
“Tra il 1997 e il 2013 seguii svariati corsi di formazione e specializzazione inerenti allo stesso presso gli Atenei di Fiume e Salamanca (in Spagna), a Ptuj (in Slovenia), in Italia e conseguii un Master relativo alla gestione delle biomasse e alla produzione delle energie rinnovabili presso l’Istituto di Agricoltura e biotecnologia in seno alla Facoltà di Agricoltura dell’Università di Milano, organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). In concomitanza a quest’ultima esperienza, il 2012 rappresentò un importante momento di passaggio a un’altra dimensione professionale in quanto venni assunto in qualità di biologo ricercatore all’Istituto Energetico “Hrvoje Požar” (EIHP) di Zagabria, dove lavoro tuttora e in cui mi occupo di ricerca applicata, nello specifico degli impatti che i sistemi energetici o le fonti di energia rinnovabile hanno sull’ambiente”.

In che modo tutto ciò è collegato al suo coinvolgimento nel Programma di cooperazione territoriale europea transfrontaliera Italia-Croazia?
“Lo stesso non è esattamente connesso ai succitati campi, ma è parallelo agli stessi. Ci sono arrivato per conto mio, per puro caso, nel 2014, quando la Regione Veneto avviò il nuovo Programma Interreg Italia-Croazia e cercava personale da inserire all’interno della sede del Segretariato Congiunto a Venezia. Devo dire che avere partecipato alla creazione del progetto sin dall’inizio, affiancato da un piccolo nucleo di altri colleghi, è stato molto interessante e davvero stimolante. L’abbiamo visto crescere e oggidì, anche visto che è stato uno degli Interreg con maggiore dotazione finanziaria, si sta dimostrando notevolmente valido. Dato che il Programma richiede progetti transfrontalieri tesi al collegamento e noi ci avvaliamo di quello marino, la sua singolarità consiste nell’essere esclusivamente tale, ossia non delimitato da un confine terrestre, quindi in qualche modo per me è come tornare alle origini. Oggi con i colleghi ci incontriamo bimensilmente a Venezia e siamo quotidianamente in contatto, nonché ci impegniamo tantissimo per seguire i vari programmi Italia-Croazia relativi alle numerose attività che portiamo avanti. A tale proposito siamo anche presenti sul territorio che delimita entrambe le sponde dell’Adriatico, dove partecipiamo alle inaugurazioni e alle promozioni delle stesse. La cosa bella è che, nonostante non sia prescritta in quanto vi si entra per merito, all’interno dell’Interreg la quota rosa è molto presente, apprezzata e valorizzata, nonché richiediamo l’impatto positivo ai cosiddetti principi orizzontali, i quali includono la parità di genere, le pari opportunità, la non discriminazione e lo sviluppo sostenibile”.

Che significato ha per lei il mare?
“È fondamentale. Il solo vederlo mi dà calma e serenità per cui, abitando a Zagabria, vengo spesso a Fiume”.

Vanta un ricco e variegato curriculum professionale. Si può dire soddisfatto del suo percorso professionale e delle esperienze accumulate finora?
“Sono molto contento. Devo ammettere che coniugare il tutto a volte non è semplice, ma va a periodi. Il mio lavoro in effetti dev’essere una passione, perché altrimenti non lo si potrebbe svolgere. A tratti, proprio in quanto sempre sollecitato dalla ricerca, non riesco a distinguere dove finisce lo stesso e in quale momento inizia lo svago. Talvolta, però, diventa psicologicamente difficile non tracciare questa linea e stare sempre lì a pensare a cosa e come fare”.

Le manca qualcosa?
“Non mi dispiacerebbe tornare a occuparmi di ricerca di base. Considerati i miei tanti impegni ed essendo un po’ uscito dal giro, non so se ciò sarà possibile, ma non nego che ne sarei felice, ovviamente non staccandomi mai dal discorso mare”.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display