ANGOLI CITTADINI Palazzo Duimich ha perso la giocosità

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ANGOLI CITTADINI Palazzo Duimich ha perso la giocosità
Palazzo Duimich come si presenta oggi. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Andare alla scoperta di Fiume, delle sue vie, dei suoi rioni, della storia e degli angolini più nascosti, come rilevato in svariate occasioni, è un’esperienza affascinante e, per molti versi, illuminante. In tale contesto, rimanendo sulla scia delle tante splendide architetture, sia quelle pubbliche che private, realizzate dai lungimiranti architetti Giulio Duimich e Yvone Clerici, non potevamo non raccontare della palazzina più all’avanguardia della seconda metà del secolo scorso. Trattasi della villetta plurifamiliare sita nella parte meridionale del capoluogo quarnerino, nello specifico in via Valscurigne (oggi via Primo maggio, civici n. 3 e 5). A detta di Julija Lozzi Barković, professore ordinario di storia dell’arte della Facoltà di Filosofia, nonché responsabile del Centro per il patrimonio industriale dell’Università di Fiume (tratto da “L’edilizia abitativa a Fiume tra le due guerre”), la stessa fu innalzata agli inizi degli anni ‘30 su progetto dei succitati ideatori, i quali ne erano comproprietari assieme alla sorella del primo, Emilia Duimich e a una certa Sofia Zanello Grattoni, il cui permesso di costruzione fu rilasciato il 12 maggio del 1936.

Superare il conformismo
L’originale villa urbana sorge sul versante occidentale della strada che scende ripidamente verso la parte bassa della città, alle falde della collina, dove la configurazione del terreno si presenta alquanto complessa. A tale proposito, nello scritto “Enea Perugini, Giulio Duimich e Yvone Clerici nell’architettura tra le due guerre” di Jasna Rotim Malvić, si legge che il motivo principale per cui decisero di costruirla proprio in quel punto fu il bellissimo panorama che spaziava fino al porto, come pure l’abbondanza di sole e luce. Inoltre, rileva Lozzi Barković, il prospetto iniziale prevedeva una struttura molto complicata, con volumi movimentati di diversa altezza, le facciate collegate mediante balconi rotondi e una scalinata esterna per la comunicazione verticale tra i piani (tre più il pianterreno). Il ricco repertorio di soluzioni relative alle facciate (finestre di tutte le dimensioni, vetrate delle verande, balconi) rendeva veramente interessante l’edificio, con le quali Duimich e Clerici “aspiravano al superamento dell’idea conformista di immaginare un palazzo quale un tutto compatto, ragione per cui lo arricchirono con motivi rivieraschi (pergolati e balconi), interpretati con un procedimento moderno, caratterizzato dalla realizzazione in cemento”.

Una costruzione sofferta
Come dicevamo, nel periodo tra i due conflitti mondiali e a seguire, la palazzina era considerata l’opera più avanguardista di Fiume. Il progetto prevedeva un edificio caratterizzato da due parti, quella più bassa e quella più alta, le cui differenze inerenti alle altezze dovevano seguire il tracciato della scoscesa via. Il pianterreno di entrambe, come è tutt’ora, si avvaleva di due alloggi ubicati sotto il livello stradale, con una distribuzione simile degli interni. Il salone e le camere da letto (con l’intera parete anteriore a mo’ di veranda in vetrata, che fuoriusciva dal corpo della palazzina) erano disposti a occidente, rivolti verso la luce del sole e l’incantevole vista, mentre l’ingresso, il bagno, la toilette e un ripostiglio si affacciavano a oriente. I luminosi appartamenti si aprivano di lato verso il giardino, in parte coperto dall’ampio terrazzo del piano superiore. Analogamente, il mezzanino e il primo piano dello spaccato più basso dello stabile accoglievano un’abitazione a due strati, ai quali si accedeva tramite una scalinata interna e caratterizzata da una grande terrazza semicircolare. Particolarmente interessante e insolita risultava la collocazione dell’autorimessa, sistemata al centro della palazzina e collegata alla strada mediante uno sporgente avancorpo. Purtroppo, dopo quasi sei mesi di lavori, quando l’edificazione della palazzina Duimich-Clerici si presentava quasi conclusa, dato l’accertamento di alcuni scostamenti rispetto al progetto proposto e approvato dall’Ufficio tecnico, le autorità cittadine ne decretarono la sospensione. L’anno dopo, nel 1937, avvalendosi delle motivazioni dovute alla complessa configurazione pendente del terreno ed effettuando una serie di modifiche di natura materiale e pratica, quali lo spostamento della scalinata esterna verso la vallata e del garage poco lontano dallo stabile, gli architetti ottennero il permesso di proseguire con la costruzione. Inoltre, nella nuova versione sono osservabili altresì svariati interventi relativi alla pianta e alla distribuzione dei livelli degli alloggi, come pure all’eliminazione delle logge vetrate e simili.

Identità perduta
Trattavasi, quindi, di un edificio originale e complesso, contraddistinto dal movimento asimmetrico dei volumi e dal frazionamento dei prospetti, così tipici per Duimich e Clerici, la cui novità più eclatante era rappresentata dai poggioli rotondi appoggiati su snelle colonne e dalla scalinata esterna, la cui pergola era unita al corpo mediante lunghe balconate. Un’altra peculiarità delle loro architettura è l’utilizzo del colore in merito alle facciate che, in questo caso, per ciò che concerneva la scalinata esterna e l’avancorpo della fascia alta del palazzo si presentavano verde acceso, il quale perdeva d’intensità e assumeva sfumature pastello e più chiare nel resto dello stabile. Oggidì lo stesso si presenta alquanto cambiato: vi è stato elevato un altro piano, ha perso (purtroppo) la giocosità delle forme, così ben adattate alla specifica configurazione del terreno circostante, come pure svariati elementi architettonici che lo rendevano un’assoluta novità dell’epoca. Osservandolo si ha la sensazione che, nel risistemarlo abbia prevalso, come in tante altre soluzioni rilevabili in giro per il capoluogo quarnerino, una certa (infelice) tendenza all’uniformazione, dovuta a chissà quali motivi, il che dispiace molto.

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