ANGOLI CITTADINI Bagno Nettuno: modesto e insicuro

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ANGOLI CITTADINI Bagno Nettuno: modesto e insicuro
La struttura come si presenta oggi. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Gli stabilimenti balneari realizzati lungo la costa quarnerina alla fine del XIX e durante il XX secolo non furono solamente luoghi in cui fare il bagno, prendere il sole o cambiarsi, ma altresì gaudenti momenti d’aggregazione sociale per tutte le generazioni. Lo spiegano le storiche d’arte Mirjana Kos e Julija Lozzi Barković nel volume “Il patrimonio balneare quarnerino”, dove raccontano, riferendosi all’ambiente, che i primi costumi da bagno da donna, molto castigati, comparvero alla fine del XVIII secolo. Gli stessi consistevano in pantaloni, gonne o vestiti lunghi, abbottonati fino al collo, sotto i quali andava indossato un corsetto, nelle cui tasche si mettevano dei pesi affinché non si sollevassero nell’acqua. La tenuta comprendeva anche scarpe e calze adatte, oltre a un cappello e spesso, un ombrellone. Per creare un siffatto completo erano necessari circa 10 metri di pesante tessuto lanoso e così vestite, le bagnanti, le quali dovevano seguire regole più rigide, molto chiare, severe e diversificate rispetto a quelle per gli uomini, potevano soltanto immergersi brevemente.

Il progetto
I succitati dettami valevano altresì per i diversi ceti sociali e a dimostrazione di ciò, vi fu la progettazione e la conseguente edificazione (1912), ad opera dell’Ufficio tecnico del capoluogo quarnerino, oltre alle balneazioni lussuose, del bagno pubblico Nettuno, sito tra il cantiere navale Ganz & Co Danubius e il silurificio Whitehead, nello specifico in zona Bergudi, con la quale il suo proprietario, Robert Whitehead, per timore di incidenti relativi alle prove dei colpi di lancio inerenti alla vicina rampa, non fu d’accordo. Lo stesso era destinato ai residenti del sottocomune di Plasse (Plase), facenti parte del basso ceto e ai soldati, i quali “non avrebbero fatto bella figura” nell’elegante lido Maria Teresa e dicevasi all’epoca, dal quale si tenevano volentieri alla larga. A detta delle due succitate esperte la struttura, lunga 80 metri e a un solo livello, offriva spazio a 150 bagnanti e la sua realizzazione, come per il Quarnero, venne affidata alla ditta Münz & Co., nel maggio del 1913. Secondo il primo abbozzo il completamento dei lavori, che prevedevano il suo appoggio su massicci piloni in calcestruzzo sovrastanti la scogliera, doveva venir effettuato in soli due mesi. In esso gli spogliatoi per i ragazzi e i soldati erano in comune e ricoperti solo da tende, mentre i rinforzi della costruzione in legno, quali le travi di supporto del tetto, la ringhiera del balcone e il portale d’ingresso sul lato nord, avevano sia una funzione statica che decorativa. Per garantire una maggiore sicurezza agli utenti, in particolare ai non nuotatori, era necessario altresì posizionare blocchi di pietra a una distanza adeguata dalla riva a mo’ di protezione, mentre l’area destinata al nuoto doveva essere recintata con una rete. Poiché la zona era scarsamente fornita di servizi locali, quale estensione del complesso balneare sul lato ovest, s’immaginò la sistemazione di una locanda popolare.

Una struttura che destava timore
Considerate le già accennate preoccupazioni di Whitehead relative alle potenziali disastrose conseguenze per i bagnanti nell’eventualità della deviazione di un siluro nel momento del lancio, era chiaro che la posizione della balneazione non fu azzeccatissima. Nonostante ciò, dato che l’amministrazione cittadina desiderava a tutti i costi avere in gestione quella piccola insenatura, l’innalzamento di un lido rappresentava l’unico modo per farlo. La modesta struttura, dal nome decisamente inappropriato – Nettuno – non era sicura, per cui venne subitamente attrezzata di una serie di dispositivi antincendio. A tale riguardo, al fine di evitare serie situazioni di pericolo e visto che la stessa aveva già attirato l’attenzione dell’Ispettorato sanitario cittadino a causa delle galleggianti macchie di unto nel mare, lungo la strada d’accesso alla spiaggia vennero posizionati una serie di idranti e un custode. Infatti, non di rado, il bagno Nettuno era soggetto all’inquinamento dovuto agli impianti ubicati nelle sue adiacenze, il quale non escludeva le malattie infettive quale conseguenza. Inoltre, l’acqua imbrattata di benzina, olio e petrolio, che a fatica si toglieva dalla pelle dei bagnanti, contribuì all’allontanamento degli stessi, come pure la caduta di una bomba nell’agosto del 1916 il che, alla fine della guerra, le conferì un aspetto maggiormente triste e desolato. A seguire, le frequenti e costose riparazioni della struttura in legno e gli ingenti e irreparabili danni al tetto dovuti all’intemperia del 1935, cominciarono a pesare quanto sul bilancio cittadino tanto sulla sua reputazione. Tuttavia, considerato l’interesse delle persone, nel 1937 venne sostituita da una versione in cemento armato, dal design più moderno, la cui decorazione della facciata rivolta verso la strada, caratterizzata da una geometria frastagliata e da una fila orizzontale di finestre alte, risultava molto semplice. I bagni erano divisi in una sezione per gli uomini e una per le donne, mentre l’espansione di un’ ampia terrazza in calcestruzzo lungo l’asse d’ingresso verso il mare era condivisa.

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