L’INTERVISTA Saša Zelenika. L’inesauribile sete di dialogo, innovazione e futuro

A colloquio con il prof. Saša Zelenika, vicerettore per i progetti strategici dell'Università degli studi di Fiume, nonché ex alunno della SEI Dolac e della SMSI

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L’INTERVISTA Saša Zelenika. L’inesauribile sete di dialogo, innovazione e futuro
Il prof. Saša Zelenika. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Attratto dalle scienze sin da bambino, il professor Saša Zelenika, attuale vicerettore per i progetti strategici dell’Ateneo fiumano, si ripromise di diventare un ingegnere. Partito dalla SEI “Dolac”, grazie a una grande costanza e curiosità, all’indiscutibile eccellenza e al giusto coraggio di scegliere di cambiare, nel tempo ha ricoperto ruoli di spicco nel mondo della ricerca a livello internazionale, portandosi a “casa” un preziosissimo bagaglio esperienziale, che da svariati anni a questa parte riversa nel suo lodevole e sempre innovativo lavoro con i giovani. Lo abbiamo incontrato per farcelo raccontare e la prima curiosità ha riguardato la scelta di frequentare le scuole italiane.

“Ovviamente fu più una decisione dei miei genitori che, forse, è stata giusta o anche, al tempo (erano gli Anni ‘70 dello scorso secolo, nda), coraggiosa. In ogni caso fu una bella esperienza, grazie alla quale conobbi un’altra cultura e un’altra lingua. La mia maestra delle prime quattro classi fu la leggendaria Luciana Doubek. Recentemente ho ritrovato un compitino, che avrò scritto in seconda o terza classe, in cui mi prefiggevo di diventare ingegnere, cosa che confermai nel corso delle superiori, con la passione per le materie scientifiche”.

Poi ha continuato gli studi presso la SMSI di Fiume.
“Sì, feci tre anni dell’Indirizzo educativo istruttivo (collaboratori all’insegnamento di classe) e il quarto, grazie al programma di scambio studentesco, lo portai a termine a Redmond, nella Redmond High School, nello Stato di Washington (Stati Uniti). Oggi lo stesso è famoso perché vi si trova la sede aziendale della Microsoft. Successivamente mi sono laureato alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Fiume, con specializzazione in ingegneria meccanica e ho conseguito il dottorato al Politecnico di Torino. Nel frattempo ho lavorato in qualità di consulente al Centro di ricerca multidisciplinare di eccellenza Sincrotrone di Trieste il quale, all’epoca, si occupava della progettazione e della costruzione della macchina di luce Elettra. È lì che mi avviai verso le cose piccole e precise”.

Conseguito il dottorato, cominciò subito a lavorare?
“Iniziai a lavorare nell’industria, dapprima presso l’azienda Calortecnica (parte del gruppo multinazionale Riello) di Piombino Dese, in provincia di Padova e in seguito, alla multinazionale Danieli con sede a Buttrio (Udine), tra i tre maggiori produttori a livello mondiale di macchine e impianti siderurgici, in qualità di capo ricercatore presso il centro di ricerca e sviluppo della stessa. Fu un’esperienza importante in quanto, per ciò che concerne l’ingegneria, è sempre utile fare un po’ di vissuto pratico, piuttosto che rimanere soltanto a livelli teorici, di modelli di simulazione. Un anno dopo, siccome si aprì il posto di capo del gruppo che si occupava della progettazione della macchina di sincrotrone in Svizzera, presso il Paul Scherrer, il più importante istituto scientifico del Paese, situato nel Canton Argovia nel Comune di Villigen, vi ci andai e vi rimasi per 7 anni, dal 1998 al 2005, diventando responsabile della Divisione di scienze dell’ingegneria meccanica”.

Un successo importante e, immagino, un ruolo di grande responsabilità?
“Lo era, in quanto fui a capo di 90 persone. A ogni modo il lavoro era veramente interessante: ci si occupava della scienza di base, della fisica più avanzata, la quale utilizzava vari acceleratori di particelle e altre macchine, di cui ci si può avvalere per capire a fondo la fisica fondamentale, ma anche a scopi più nobili. Infatti, parti delle suddette particelle possono venire impiegate per trattare malattie quali il cancro o in qualità di nuove fonti d’energia e quindi, si parla d’avanguardia a livello mondiale”.

Si è spostato spesso, cambiando svariate realtà lavorative. Era semplicemente curioso o puntava su qualcosa di preciso?
“Da un lato vi era la necessità di scoprire e approfondire varie dimensioni e dall’altro il costante desiderio di trasmettere tutte le conoscenze accumulate e di tornare, un giorno, in ambito universitario. Pertanto, nel momento in cui i miei figli ebbero raggiunto l’età scolastica, con mia moglie decidemmo di rientrare in Croazia. Era il 2005 e le figlie più piccole, Laura e Maria, che sono gemelle, avevano 5 anni, mentre quello più grande, Albert, aveva frequentato le prime tre classi delle elementari in Svizzera, per poi continuare alla SEI Dolac. In qualche modo ha seguito le mie orme in quanto si è laureato in fisica a Trieste e ora sta facendo il dottorato presso gli istituti di ricerca internazionale DTU – ESRF e quindi tra Danimarca e Francia. Le ragazze, invece, hanno conseguito la baccalaurea rispettivamente in Logopedia a Trieste e in Scienze e tecnologie multimediali a Udine. Maria ora sta facendo il master presso il KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, mentre Laura si sta preparando a proseguire gli studi a Limerick, in Irlanda”.

Com’è stato il rientro in Croazia?
“In generale ho trovato un ambiente più inerte e restio a cambiare, ad adeguarsi e ad aprirsi, nel quale è molto difficile cercare di introdurre qualcosa di nuovo. In relazione al nostro Ateneo fiumano, invece, nonostante le condizioni in cui lavoriamo, è un milieu dinamico, disponibile. Forse, al confronto con le altre Università, sembrerà poco, ma il 7-8 p.c. dei colleghi hanno effettuato qualche esperienza all’estero e sono rimpatriati, mentre circa il 2 p.c. sono stranieri. Inoltre, il Campus è stata un’idea brillante, in cui le varie discipline scientifiche e gli studenti di diversi orientamenti e culture s’incontrano e interagiscono, specialmente negli ultimi anni, con l’entrata nelle svariate associazioni europee, quali la YUFE e la YERUN”.

Quali ruoli ha ricoperto presso l’Ateneo quarnerino?
“Inizialmente sono stato docente di ingegneria meccanica, poi professore ordinario di ruolo e responsabile del Laboratorio di ingegneria di precisione della Facoltà di Ingegneria RITEH. Già nel 2006, con il professor Mladen Petravić, che era rientrato dall’Australia, proponemmo l’idea dell’istituzione di un Centro dedicato alle micro e nanoscienze e tecnologie. C’è voluto un po’, ma nel 2010 il Senato universitario l’accettò e lo stesso venne fondato. In seguito, dal 2012 al 2014, feci parte del governo in qualità prima di aiuto ministro per la scienza e la tecnologia e poi di viceministro”.

Un altro cambiamento. Che esperienza è stata?
“Anche lì cercai di aprire il discorso relativo all’avvicinamento delle nostre aspettative, degli standard, delle procedure a quelle mondiali, il che creò non poche resistenze. Nonostante il grande entusiasmo, ci scontrammo da un lato con quelli che comunemente vengono detti i “giochi politici” e dall’altro con la già accennata inerzia del sistema scientifico universitario croato e con una certa centralizzazione zagabrese, che vede con molto sospetto, dubbio e superficialità chiunque non faccia parte del loro ambiente. Ne rimanemmo molto delusi e decidemmo di uscirne”.

Quindi rientrò a Fiume?
“Tornai all’Università e iniziammo a realizzare, incontrando anche in quell’occasione le ostilità degli ambienti zagabresi, il progetto RISK (Sviluppo dell’infrastruttura di ricerca presso il Campus dell’Università di Fiume/Razvoj istraživačke infrastrukture na Kampusu Sveučilišta u Rijeci), relativo all’acquisto dell’infrastruttura scientifica inerente al Campus (supercomputer, vari microscopi e simili). Fatto sta che l’idea dei centri interdisciplinari ebbe un nuovo impeto, per cui ne nacquero e crebbero anche degli altri, tra i quali il Centro di studi avanzati, maggiormente diretto all’umanistica e alle scienze sociali. Recentemente ho ricoperto dapprima il ruolo di aiuto rettore e in seguito, sempre nel tentativo di innalzare i criteri relativi ai supervisori dei dottorandi, ai nostri professori emeriti, a quelli onorari e via dicendo, quello di capo del Consiglio scientifico universitario. Durante il nuovo mandato sono diventato vicerettore per i progetti strategici, funzione che rivesto tuttora”.

Che cosa fate concretamente?
“Vi sono parecchi progetti che stiamo cercando di avanzare, che sono un’interfaccia tra il mondo universitario e quello esterno, sia in riferimento agli ambiti industriale e imprenditoriale, che alla società in generale. In tale contesto ci avvaliamo di partner molto vicini, quali la Casa farmaceutica JGL, la società Infobip e le aziende Ericsson Nikola Tesla e Lürssen. Una delle idee che vorremmo realizzare, nel momento in cui si apriranno i fondi, è la costruzione, sotto l’edificio della Facoltà di Lettere e Filosofia, di un’arena delle innovazioni, in cui la succitata interazione potrà trovare maggior spazio. È altresì da rilevare che abbiamo vinto il concorso per l’istituzione dell’European Digital Innovation Hub (EDIH), che è un Centro europeo per le innovazioni digitali nonché uno dei progetti della Commissione europea finalizzato a istituirne circa 200 in tutta Europa. Gli stessi dovrebbero innalzare il livello delle conoscenze e delle competenze digitali generali basandosi, nello specifico, sull’intelligenza artificiale, sul calcolo a elevate prestazioni e sulla sicurezza cibernetica”.

Il mondo universitario è manchevole di studenti?
“Dappertutto in Croazia il numero degli studenti sta decrescendo, il che è un problema demografico, ma non solo. Essi, ormai, sono molto mobili, seguono tutte le classifiche e i forum informali di scambio di informazioni, per cui è evidente che sono maggiormente attratti dagli Atenei che riescono a dimostrare sia una qualità formativa che delle prospettive di carriera migliori. D’altro canto, quasi il 50 p.c. degli studenti che attiriamo provengono dal di fuori del Nord Adriatico, perciò anche noi siamo riconoscibili per quello che facciamo. In tal senso, quello che vorremmo e che stiamo cercando di mettere in pratica è aprirci di più a un mondo internazionale”.

L’Ateneo ha un numero rappresentativo di quote femminili, il che gli fa onore.
“In tale senso siamo un esempio di buona prassi, a cominciare dagli stipendi delle colleghe uguali a quelli dei colleghi maschi, il che non è un’ovvietà in altri Paesi; al numero di presidi; alla rettrice e al suo team. Vi sono tradizionalmente delle differenze in merito alle varie discipline, per cui ad esempio l’ingegneria è pur sempre più ‘maschile’, ma anche lì le cose stanno cambiando e lo dimostrano i risultati delle studentesse, le quali sono tendenzialmente migliori”.

Ha realizzato una carriera eccellente. È stato difficile perseguirla?
“Sì, lo è stato e coloro che ne hanno sofferto di più sono i miei familiari. In alcuni momenti importanti non ho potuto essere presente, il che è un cruccio che rimane. Professionalmente parlando, invece, nelle condizioni in cui mi sono trovato ad agire e con le possibilità a disposizione, sono veramente soddisfatto”.

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