«Le trivellazioni pericolose per l’ecosistema adriatico»

Greenpeace Croatia lancia l’allarme, dopo l’affondamento dell’Ivana D, sulla sicurezza delle piattaforme e dei sistemi di chiusura dei pozzi

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«Le trivellazioni pericolose per l’ecosistema adriatico»

“La perdita della piattaforma Ivana D mette seriamente a repentaglio la credibilità della compagnia petrolifera nazionale nella realizzazione di opere di estrazione di idrocarburi dall’Adriatico, e mette in evidenza una serie di problemi legati alla sicurezza molto seri nell’uso dell’infrastruttura per la ricerca dei carburanti fossili”: è questo il parere di Zoran Tomić, direttore di Greenpeace Croatia, sull’affondamento e il successivo ritrovamento della piattaforma dell’INA sul fondale marino al largo di Pola.

 

Greenpeace, però, non si limita a una dichiarazione, ma avanza tutta una serie di richieste, il cui obiettivo primario è quello di salvaguardare l’ambiente e di conseguenza anche la salute di tutte le specie viventi che lo abitano, uomo compreso.

Pertanto Greenpeace chiede all’INA e a tutte le istituzioni preposte, di valutare le perdite di gas serra da tutti i siti di trivellazioni al momento attivi nell’Adriatico, in quanto in base a degli studi condotti da loro le emanazioni di metano durante l’estrazione di idrocarburi sono assai più elevate di quanto si pensasse un tempo.

Inoltre, l’incidente della Ivana D ha portato Tomić a dubitare delle rassicurazioni giunte recentemente da parte dell’INA e del Ministero competente, secondo le quali nel processo di estrazione sono adottati gli standard tecnologici migliori, il tutto al fine di salvaguardare l’ecosistema.

“Se l’incidente avesse riguardato una piattaforma petrolifera, la cui costruzione è prevista nell’ambito del Piano nazionale per l’energia e il clima della Repubblica di Croazia, il disastro ecologico ed economico sarebbe stato enorme. È mai possibile che ci debba essere un incidente di proporzioni epiche affinché alcuni capiscano quanto sia importante la salvaguardia dell’Adriatico sia per ragioni ambientali che turistiche?”, si chiede Tomić.

Inoltre, Greenpeace esprime timori per il sistema di chiusura automatica dei pozzi, che, anche se ha funzionato in questo caso, a detta degli ambientalisti non darebbe garanzie sufficienti per un funzionamento corretto nel caso di eventuali incidenti futuri.Ricordiamo che la piattaforma Ivana D, che era posizionata a circa 50 chilometri a nord-ovest di Pola, è scomparsa durante il maltempo di sabato 5 dicembre. Per un paio di giorni ha fatto perdere completamente le sue tracce, finché nella giornata di giovedì un robot batiscafo della nave Junak l’ha ritrovata, praticamente nella stessa posizione, ma affondata 40 metri più in basso.

Il Ministero per la Marineria, il Traffico e l’Infrastruttura ha emesso un comunicato in cui si rileva: “Sul fondale è stato calato un batiscafo, diretto a distanza dalla nave, con cui è stato possibile appurare che l’Ivana D si trova in fondo al mare, completa”, con la sua attuale posizione che non reca disturbo alla navigazione.

Le cause dell’affondamento, ufficialmente, sono ancora da determinare, perché indipendentemente dal forte vento di scirocco e dalle onde da esso generate, una piattaforma non dovrebbe sprofondare così. Al momento si stima che non ci siano danni ambientali, ma la sola perdita della piattaforma potrebbe costare una quindicina di milioni di dollari.

Per concludere Greenpeace tiene ancora a ricordare come questo sia soltanto uno dei molti incidenti successi a causa del cambiamento climatico, conseguenza diretta del consumo eccessivo di carburanti fossili e dell’inquinamento che ne consegue.

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