Pola, la mecca delle sgrammaticature

Quello che ristoranti e trattorie di Pola offrono nel bel mezzo dei percorsi pedonali è un affronto alla lingua italiana che si «racconta» bell’e appariscente su tabelle, pannelli e leggii. Lettere mancanti o invertite, doppie esagerate e quant’altro, per di più in un città dove l’italiano non è lingua straniera

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Pola, la mecca delle sgrammaticature
Chissà se anche il "proscuitto" fa gola come il prosciutto. Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Non occorre andare lontano. Nessuno è perfetto ma qui, siamo alla mecca delle sgrammaticature. Basta procedere da via Kandler, attraversare Piazza Foro e imboccare via Sergia fino a Port’Aurea per intrattenersi in “amena lettura” e stuzzicare l’appetito in anomala maniera. Quello che le trattorie di Pola offrono nel bel mezzo dei percorsi pedonali occupandoli in modo tale da costringere la gente a procedere appiccicati in fila indiana non appena scoppia l’estate del turismo e della caldana, è un affronto alla grammatica della lingua italiana che si racconta bell’e appariscente su tabelle, pannelli e leggii. La medesima, però non si dimostrerà mai offesa, anche perché rispetto agli sfrenati appetiti di guadagno che qui, ad ogni passo, si appagano stimolando la voglia di mangiare degli ospiti avventori, conta meno del due di picche.

Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Piatti… esclusivi
Non esiste e mai esisterà ispezione del settore della ristorazione che castighi lo smacco all’idioma del Paese dello stivale. L’onore non sarà mai salvo. Gli ignari – turisti italiani in particolare – avranno modo di accomodarsi e scoprire che Pola, in effetti, non propone questo menù compilato in un linguaggio esattamente a livello di bettola. Sparlare dei traduttori dei nomi delle pietanze e dire dell’ignoranza in materia linguistica è pura cattiveria. La verità più inconfutabile sta, invece, nel talento di Pola nel permettere un’offerta esclusiva di delizie uniche e talmente autentiche da non apparire in alcun altro locale d’Italia o del resto del mondo. Vedere per poi gustare. Svolazzi di lettere di troppo aggiungono importanza al sapore immaginato dalle aspettative, pezzi di parola omessi fanno riflettere sulla particolarità di certi pasti inediti e sconosciuti ai masterchef più quotati, sillabe invertite lasciano spazio alla fantasia che si interroga su che diavolo di alimento farà apparizione nel bel mezzo del vassoio. I professionisti locali in materia di produzione di specialità gastronomiche accalappiaturista si sono perfezionati nell’offerta di pasta pubblicizzandola a lettere cubitali. Fortunatamente, quella che definisce il piatto tradizionale italiano, a base di composto di farina e acqua trattato fino a renderlo solido con lievito, è una parola semplice, senza pretese e a scanso di errori di scrittura. Il guaio nasce con le variazioni sul tema e gli ingredienti di condimento. Ed ecco che in trattoria di via Kandler si detiene l’esclusiva sui “pljukanci” e rucola con aggiunta di… “proscuitto”. Qualità premium sarà, decisamente superiore alla coscia e spalletta di maiale istriano doc, asciugati sulla bora. Questa è veramente da scoprire assieme ai tanti pasti del giorno nell’elenco plurilingue, annotato con gesso sulla lavagnetta. Manco le altre scritture ne escono incolumi. Ma non è il caso di togliere il divertimento agli anglisti o germanisti. Basta e avanza l’Italiano, in una Città dalla storia italiana doc e con la componente autoctona rappresentata dalla comunità italofona sempre presente e attiva sul territorio.

Una grigliata… ardente.
Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Pizze… ipercaloriche
Per chi non si limita a osservare, ma vuole anche mangiare, peccato è anche arrestarsi a una sola pietanza e non assaggiare qualcosa di altrettanto calorico e forse apparentemente più leggero. La pizza “Capricciossa” sicuramente ipocalorica non lo è, dal momento che a differenza della “Capricciosa” ha doppie lettere in eccesso, e, conseguentemente doppi ingredienti distribuiti sopra, per una doppia goduria alimentare. E mentre tutto il mondo studia come preparare “la griglia al carbone”, Pola apre il locale deliziando chi capita con un “Grill su carbone”, per una bistecca ficcata direttamente (come un martire… e senza offesa a San Lorenzo), sul combustibile ardente. Niente paura. Sull’aspetto della sicurezza dei prodotti “al” – nel caso nostro, “sul” – carbone, si è espresso l’ente che si occupa della sicurezza dei cibi, l’EFSA (European Food Safety Authority), che come si è avuto occasione di leggere, si possono ritenere salutari, nel senso che “hanno la capacità di ridurre la flatulenza post-prandiale, solo se c’è una quantità di carbone pari a un grammo per porzione quantificata”. Dunque, digestione (probabilmente) garantita e senza conseguenze. Giunta a un certo punto, la pratica del consumo di pasti può procedere optando per qualcosa di più leggero: un risotto, si dirà. Ma non alla maniera cinese originaria, quanto originale e senza eguali (sia ad oriente che ad occidente), dovuta alla particolarità della ricetta del ragù ai “fungi”, ma anche la zuppa, da non confondere con i triviali organismi privi di clorofilla e non fotosintetici, che sarebbero quei soliti funghi non classificabili nel regno piante. Leggano pure anche i biologi, per inserire il tutto nell’enciclopedia delle nuove forme viventi commestibili.

La zuppa ai fungi, una specialità della casa.
Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Un dessert… amaro
A scanso di abbuffata, vegetale o a base di carne che sia, fermiamoci qui e vogliamo passare al dessert: un bel gelato artigianale, in una di quelle pasticcerie che si fregiano con delle chiccose denominazioni italiane.
Vai per una pallina di “pistachio 100% siciliano” (prezzo 3,50 euro!). La garanzia dell’origine espressa in percentuale, non dovrebbe convincere un turista che potrebbe provenire dalla più grande isola d’Italia e del Mediterraneo. Lui non sa che il “pistachio” polesano è meno pretenzioso del suo ed esige una lettera “c” soltanto. “Batete le dopie” diceva qualcuno che si atteggiava da professore senza meditarci troppo sulla propria pronuncia. Ma cerchiamo di non andare per il sottile. Dopo l’alimento dolce, passiamo a un buon caffè. E chi cerca, trova: il “machiatto”. È una bevanda diversa rispetto al “macchiato” classico nel quale all’espresso viene aggiunto latte caldo. Sempre nella linguisticamente spassosa via Kandler, al bar davanti ad una delle storiche palazzine veneziane, invece del latte si aggiunge la “t”, rispettivamente toglie la “c”. Questione di somma e di sottrazione, come la matematica, scienza precisa, a differenza della grammatica. Lettera-ingrediente più o ingrediente-lettera meno, buona (in)digestione e tanto di complimenti alle strategie linguistiche del food marketing polese.

Il cappucino e il machiatto. Ma neanche con il kebap si scherza.
Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

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