Croazia. Aborto: un diritto ostacolato

Si fa sempre più accesso il confronto sulla vicenda di Mirela Čavajda. Secondo il ministro della Sanità, Vili Beroš, l’interruzione della gravidanza non sarebbe l’unica via percorribile. La legale: «Interpretazione errata della legge da parte del Ministero»

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Croazia. Aborto: un diritto ostacolato

Prosegue l’odissea di Mirela Čavajda che dopo aver scoperto che il bambino che porta in grembo è affetto da una forma progressiva di tumore al cervello ha deciso d’interrompere la gravidanza sottoponendosi a un aborto assistito. Considerato che la diagnosi è arrivata dopo la decima settimana di gestazione, per poter sottoporsi all’intervento la donna zagabrese ha dovuto rivolgersi ai comitati etici degli ospedali abilitati, che però le hanno negato il nullaosta a procedere.
La vicenda è diventata di dominio pubblico dopo che della questione hanno iniziato a occuparsi le organizzazioni del settore civile – tra le quali l’Associazione per i diritti del paziente e l’Associazione Roda (Roditelji u akciji, letteralmente Genitori in azione) – e alcune forze parlamentari. In seguito al rilievo dato all’argomento dai mezzi d’informazione il Ministero della Sanità ha preteso dalle direzioni dell’Ospedale clinico/OC Sveti Duh (Santo Spirito), del Centro clinico ospedaliero/CCO Sestre Milosrdnice (Sorelle della Misericordia), dell’OC Merkur nonché della Clinica per le malattie della donna e l’ostetricia (tutti con sede nella capitale croata) di pronunciarsi in merito alle tesi stando alle quali la paziente non sarebbe stata informata a dovere e tempestivamente in merito alle diverse possibili soluzioni.
Il quadro clinico
Il ministro della Sanità, Vili Beroš, ieri ha detto che, nel caso il parto si concluda bene, gli esperti hanno valutato che “bisognerebbe tentare di curare il bambino”. Ha spiegato che questo parere è stato espresso da un gruppo di medici (un ginecologo, un oncologo internista, uno specialista di neonatologia, un pediatra specializzato in terapia intensiva, un neuroradiologo e un neurochirurgo) del CCO di Zagabria, che hanno avuto modo d’esaminare la documentazione di Mirela Čavajda (attualmente al sesto mese di gravidanza). “Naturalmente – ha rilevato il ministro – nessuno è in grado di garantire che le cure saranno coronate da successo. Soltanto dopo che si avrà una diagnosi accurata si potranno intraprendere passi concreti. Il tumore, considerate le sue dimensioni e la sua posizione, non ha schiacciato le cisterne liquorali provocando così uno stato d’idrocefalo. Una condizione importante”, ha affermato Beroš, chiarendo che prima di procedere a un’eventuale terapia neurochirurgica è necessario appurare innanzitutto se il tumore in oggetto è di natura benigna o maligna.
Beroš ha osservato che finora né Mirela Čavajda né la sua legale hanno ancora presentato un ricorso al Comitato etico d’appello della Clinica per le malattie della donna e l’ostetricia di Zagabria (sono tenute a farlo nell’arco di 72 ore dalla comunicazione della decisione del Comitato di primo grado).
Gravissime malformazioni
L’ordinamento croato prevede la possibilità d’interrompere una gravidanza anche dopo la decima settimana di gestazione, ma a patto che esistano determinate condizioni, ossia che ci siano le indicazioni che la vita della madre o del bambino (malformazioni del feto incompatibili con la vita) siano in pericolo. In passato in Croazia sono stati già eseguiti aborti assistiti di gravidanza fino alla 22ª settimana. La legale di Mirela Čavajda, Vanja Jurić, ha rigettato le tesi del ministro della Sanità, affermando che Vili Beroš interpreta erroneamente la legge. “Il problema non è se il bimbo possa sopravvivere, bensì se nascerà con gravissime malformazioni”, ha dichiarato l’avvocato. Secondo Jurić esistono indubbiamente tutte le motivazioni mediche necessarie per procedere con l’interruzione della gravidanza.
L’opinione del Pantovčak
La vicenda di Mirela Čavajda ha infiammato anche il dibattito a livello nazionale sul diritto all’aborto e sulla nuova Legge sull’interruzione della gravidanza che fatica a farsi strada in Parlamento nonostante sia attesa già da moltissimo tempo.
Sul caso è intervenuto ieri pure il Presidente della Repubblica, Zoran Milanović. Il Capo dello Stato ha ribadito d’essere un sostenitore del diritto delle donne all’aborto. Ha aggiunto che a loro volta i medici hanno diritto a richiamarsi all’obiezione di coscienza.
“Stiamo parlando di medici. Esistono cose che non possono essere costretti a fare, ma lo Stato e i titolari degli ospedali devono assicurare le condizioni affinché le donne possano esercitare questo diritto. Ci sono un miliardo di cose che si fanno in outsorcing: che paghino, che si affidino a qualche clinica in grado d’eseguire questi interventi”, ha dichiarato l’inquilino del Pantovčak.
L’appello ai Banski dvori
Intanto proseguono gli sforzi profusi da numerose ong nell’intento di consentire a Mirela Čavajda di sottoporsi all’aborto assistito. “È necessario garantire a Mirela Čavajda in modo urgente la possibilità di sottoporsi in patria a un adeguato intervento medico teso all’interruzione della sua gravidanza, a spese del sistema sanitario. Bisogna inoltre appurare le responsabilità e sanzionare i responsabili per la mancata fornitura dell’assistenza della quale aveva bisogno”, hanno detto Marinella Matejčić dell’Associazione PaRiter e Branka Mrzić Jagatić dell’Associazione Roda, leggendo ieri in piazza San Marco a Zagabria un appello firmato da una sessantina di ong e indirizzato al premier e al titolare del Dicastero della Sanità.
Alla manifestazione di sostegno a Mirela Čavajda hanno aderito anche i parlamentari Mirela Ahmetović, Sabina Glasovac, Andreja Marić, Nenad Bakić, Vilim Matula, Ivana Kekin, Urša Raukar Gamulin, Krešo Beljak, Katerina Peović e Ivana Posavec.

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