La romanità di Valbandon in tutta la sua magnificenza

Presentati ieri alla stampa i risultati delle ultime scoperte archeologiche: una testa marmorea di Apollo e tre erme, di cui due bifronti, quali testimonianze dell’esistenza di un filare da giardino, parte integrante di un complesso architettonico appartenuto a una villa marittima frequentata dal I secolo a.C. al IV-V secolo d.C

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La romanità di Valbandon in tutta la sua magnificenza
Un capitello con eleganti forme vegetali in pietra calcarea. Foto: Sasa Miljevic/PIXSELL

La romanità di Valbandon, è emersa in tutta la sua magnificenza, dopo le ultime singolari scoperte archeologiche avvenute strada, o meglio muro, facendo, nell’insenatura portuale del luogo: una bellissima testa marmorea del dio Apollo e tre erme, di cui due bifronti, quali testimonianze dell’esistenza di uno stupendo filare da giardino, parte integrante di tutto un complesso architettonico appartenuto a una villa marittima di lusso frequentata, senza soluzione di continuità, dal I secolo a.C. al IV-V secolo d.C. Parola di esperti: per quantità e anche qualità, un rinvenimento del genere non troverebbe eguali in alcuna altra parte della penisola istriana né lungo tutta la costa dell’Adriatico croato. Una parte più rappresentativa di questo lauto patrimonio antico-romano e tardoantico spuntato in una località di provincia, che era evidentemente eletta a idillio balneare più di duemila anni fa, è stata ieri esibita con orgoglio dalla direzione e dai ricercatori e restauratori del Museo archeologico istriano di Pola.

Un Giove pluvio… barbuto. Foto: Sasa Miljevic/PIXSELL

Un segreto… nascosto
Sono oggetti già in fase di restauro e di desalinizzazione da laboratorio. Ma, perché delle scoperte così eclatanti sono state tenute segrete? La sovrintendenza e le indagini archeologiche erano iniziate ancora lo scorso settembre per venire ultimate nel mese in corso, mentre questo fior di reperti era finito già da tempo in mano esperta, per essere scrostato ed esaminato. Il velo di silenzio è stato tolto appena adesso che la zona portuale, interessata dagli interventi infrastrutturali, è stata messa in sicurezza a lavori terminati. Semplicemente, l’ente museale e gli addetti alla conservazione del patrimonio storico-monumentale non avevano di certo potuto correre il rischio di lasciare spazio a incursioni di cacciatori di tesori, tipo Indiana Jones o presunti tali, ergo le ragioni dell’occultamento provvisorio si sono rivelate oltremodo logiche e giustificate. Esattamente nel punto dove sorgeva la struttura settentrionale della villa marittima, le vestigia della Valbandon romana sono state esibite da una task force di archeologi e sovrintendenti, direttore del Museo archeologico Darko Komšo in primis, affiancato per l’occasione anche da Dalibor Brnos, direttore dell’Autorità portuale che ha gestito l’avvio dei lavori di bonifica delle strutture murarie del porticciolo nautico a sud e nord del suo molo. Si voleva fare bella figura, completare l’opera per regalare una bella passeggiata litoranea, però la prepotente presenza del passato nel sottosuolo e nel fondale marino ha imposto la riscrittura del progetto di costruzione, fino a dover accorciare anche di una quarantina di metri la lunghezza del muro costiero. Percorso più breve per la ricreazione ma in compenso più generoso per la narrazione della più remota storia di Valbandon.

Ida Končani Uhač, Darko Komšo, Dalibor Brnos, Aleksandra Mahić e Dunja Martić Štefan davanti ai reperti.
Foto: SASA MILJEVIC/PIXSELL

Un complesso a 5 stelle
L’area appena messa in ordine con un intervento infrastrutturale da 6,5 milioni di kune, esibisce già la copia fedele degli stupendi tre mosaici appartenuti alla villa romana e ora, in accordo con l’amministrazione locale di Fasana e la Pro loco, si potrà ragionare in merito alle future modalità di presentazione dei reperti. Reperti che, da quanto sentito, anche prima di un’analisi consuntiva approfondita riscrivono e correggono le informazioni di storia tramandate lo scorso secolo dall’austriaco Anton Gnirs e dal triestino Attilio de Grassi. L’intera faccenda è stata illustrata al dettaglio da Aleksandra Mahić, coordinatrice del progetto di ricerca, da Dunja Martić Štefan sua vice e da Ida Končani Uhač, esperta in archeologia subacquea. Erra chi crede che si parli di un villino in riva a mare per il weekend. Qua si ha a che fare con un intero complesso da villeggiatura a cinque stelle, che come appurato da ricerche più capillari era costituito da due grandi componenti architettoniche estese da una e dall’altra parte dell’insenatura, in collegamento fra loro attraverso strutture ancora sopravvissute sotto la melma dei fondali. Ed ecco la scoperta di oggi, ossia l’elemento nuovo che finisce per smentire il de Grassi: quello che era stato interpretato come elemento di una diga altro non sarebbe se non il passaggio da una all’altra ala del grande complesso residenziale. L’indagine subacquea appena compiuta ha individuato la struttura appartenente al percorso di passeggiata, lunga 50 e larga 4 metri e mezzo.

L’erma bifronte, che unisce la forza di Zeus e la fertilità di Demetra. Foto: Sasa Miljevic/PIXSELL

Una collezione cospicua
Più che la sponda meridionale del porticciolo e le testimonianze dei suoi peristili e cisterne antiche, ora interessa la sponda settentrionale con i resti di spazi semicircolari rivolti verso il mare, che con molta probabilità erano uniti da una passeggiata arricchita da fior di elementi architettonico-scultorei decorativi. E qui il discorso si associa alle erme. Il Museo ha fatto incetta di basamenti con tanto di teste scolpite che un tempo formavano un tutt’uno decorativo. Secondo la spiegazione, Valbandon si ritrova custode di quelle erme costituite da un pilastrino di sezione quadrangolare, sormontato da una testa scolpita a tutto tondo che nell’antica Grecia (soprattutto in Attica) raffigurava Ermes (da cui il nome). Le erme erano collocate lungo le strade, ai crocevia, ai confini delle proprietà e davanti alle porte per invocare la protezione di Ermes, sui confini in genere, quindi a guardia di ladri e di incidenti. L’altezza era variabile da un metro a un metro e mezzo e le più antiche conosciute risalgono alla fine dell’età arcaica (ultimo quarto del VI secolo a.c.). L’erma deriva da una delle prime forme arcaiche di rappresentazione delle divinità, il cosiddetto betile posto a protezione delle vie e delle soglie. L’antica Roma, poi, cambiò le carte in tavola alla tradizione greca e introdusse la tradizione delle erme raffiguranti non solo deità, ma anche comuni mortali. Valbandon ha ieri esibito l’erma bifronte, a due teste (che come Giano bifronte stava a significare l’inizio e la fine di un ciclo), raffigurante niente meno che Giove barbuto, deità suprema dell’Olimpo e una Cerere riccioluta, dea della fertilità e della vita. Interessante anche il piedistallo appartenente alla testa che raffigura le spighe di grano (ecco l’associazione a Cerere), il rilievo della Vittoria alata, i fulmini (l’associazione a Giove) con il simbolo fallico (nel nostro caso piccolino), tipico delle erme, giacché testa e pilastrino costituivano un intero corpo decorativo stilizzato.

Un rilievo del pilastro quadrangolare dell’erma. Foto: Sasa Miljevic/PIXSELL

La bellezza di Apollo
A differenza delle erme, la testa in marmo proconnesio di Apollo, un po’ più piccola della grandezza naturale, si mostra già quale esempio di eccellente fattura appartenuta a una scultura a figura intera, purtroppo non sopravvissuta nel tempo. Il giovinetto della bellezza, si mostra tipicamente romano: lineamenti graziosi, capelli corti e ondulati, raccolti morbidamente sopra la fronte. Dopo il rinvenimento della testa di Agrippina (1989), nelle immediate vicinanze del foro romano di Pola, sono passati trent’anni che l’Istria meridionale non ha dato alla luce un reperto del genere. A questo punto non provoca nemmeno stupore il fatto che i nostri ricercatori abbiano fatto anche incetta di elementi architettonici: colonne, basamenti, capitelli corinzi anche ben integri, elementi di portici, tegole, elementi di pavimentazione in marmo, inventario minuto costituito da frammenti di ceramica, vasellame, anfore per vino, olio e prodotti ittici, mentre l’archeobotanica ha individuato resti di erbe, pinoli, viti, olive, grano, noci, fichi e via scoprendo gli ingredienti della cucina mediterranea. Persino pezzi di ceramica e una pipa dello stesso materiale databile tra il XV e il XIX secolo stanno a dimostrare tutta la continuità della presenza umana nell’area portuale.

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