Tramezzani e il futuro: «A Pola sto bene»

Chiacchierata con l’allenatore italiano dell’Istra 1961 sul campionato appena concluso e sul suo futuro sulla panchina della squadra polese

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Tramezzani e il futuro: «A Pola sto bene»
Paolo Tramezzani si è sentito subito a proprio agio con squadra, club e città. Foto: Sasa Miljevic / PIXSELL/PIXSELL

Sono giorni intensi all’Istra 1961 dopo una stazione iniziata male e finita in crescendo. Dopo i fallimenti con Mislav Karoglan e David Català in panchina, le cose sono andate migliorando con l’arrivo di Paolo Tramezzani e del suo staff. I giocatori sono soddisfatti, il pubblico ha fatto capire a gran voce che vuole anche nella prossima stagione l’allenatore emiliano alla guida della squadra polese per cui la palla ora passa ai vertici della società per quel che riguarda l’estensione del contratto. Di questo e altro abbiamo parlato ieri con il tecnico italiano nella sala stampa del Drosina.

Il suo futuro sulla panchina dell’Istra 1961. A che punto siamo?
Sto bene qua a Pola, questi tre mesi e mezzo sono stati da incorniciare professionalmente. Se si prende in considerazione questo periodo siamo terzi in classifica, abbiamo fatto gli stessi punti di Osijek e Hajduk. Ai giocatori sono particolarmente affezionato perché mi hanno dato l’anima e poi l’ambiente è speciale. Ancora oggi la sera prima di andare a dormire ricordo la partita in casa contro il Varaždin nella quale i ragazzi della tribuna nord si sono spostati verso quella centrale e mi chiedevano di restare. Il mio riferimento sono Šasa (Bjelanović, direttore sportivo nda) e Branko (Devide Vincenti, presidente nda) con i quali parlo e credo che si stia andando in quella direzione, ovvero con me in panchina anche l’anno prossimo. Ho dato la mia disponibilità al club per estendere il contratto. Stanno parlando anche tra di loro, ci sono anche altre cose che devono valutare, non soltanto la mia posizione. Il tempo c’è ed è giusto che ciascuno faccia le proprie riflessioni sotto questo punto di vista.

Che cosa ha detto ai giocatori nello spogliatoio dopo l’ultima di campionato con il Gorica?
Niente di particolare, erano tre mesi e mezzo che gli parlavo ogni giorno. Li ho soltanto salutati.

Un bilancio di questo periodo?
È positivo ed è partito tutto dai rapporti interpersonali, al di là di quello allenatore-calciatore. C’è stato dapprima un percorso di avvicinamento per cercare di dare non solo un’idea di gioco, ma anche una mentalità di squadra che era la cosa più importante da fare e forse anche la più difficile perché comunque la stagione nei primi mesi non è stata semplice. C’erano stati due cambi di allenatore e non sapevo che base potevo trovare. Invece ho avuto delle risposte importanti, positive, ho capito che i ragazzi avevano fiducia nelle mie proposte di lavoro e da lì siamo partiti. Poi c’è stato secondo me un momento in cui ci sono state gettate le basi per poter cambiare il modo di giocare…

Quando siete passati alla difesa a tre?
Esatto, abbiamo fatto due partite con il 3-5-2. Con la Lokomotiva i ragazzi avevano paura, in quanto gli zagabresi avevano appena vinto al Poljud contro l’Hajduk, avevano segnato tre reti alla Dinamo e quattro contro l’Istra 1961 in casa nella prima parte della stagione. Ho detto ai ragazzi, “Lavoriamo, non vi mando al suicidio, se non è possibile farlo ritorniamo indietro”. Alla fine in quella partita non abbiamo subito niente, poi siamo andati a Zagabria con la Dinamo. Il primo tempo si era chiuso con il 2-1 per loro, ma avevamo diverse occasioni. Ecco, questa è l’unica partita che rigiocherei. E poi siamo passati al 3-4-2-1, con la pressione a tutto campo. Quella contro il Rijeka è stata una delle nostre partite più belle per il nome l’avversario che rincorreva il titolo e per l’atmosfera allo stadio. Abbiamo perso, ma ero contento come se avessimo vinto. Quella partita ci ha dato grande forza e grande consapevolezza: siamo stati alla pari e a tratti anche superiori sotto alcuni punti di vista. I ragazzi poi si divertivano durante il lavoro settimanale, mi dicevano che si stancavano meno in partita che in allenamento. Un giusto segnale che con il sacrificio e con il lavoro puoi arrivare a giocare un determinato calcio. Che vorrei continuare a praticare.

Sperava in un impatto così forte e immediato?
No. Speravo di poter fare bene e di poter incidere, ma non credevo che in tre mesi e mezzo sarei riuscito professionalmente a completare un lavoro che normalmente può durare un anno, tutta una stagione. Mi sono spesso trovato in queste situazioni difficili e riuscire alla fine a fare buone cose. Al Lugano la situazione era difficile a gennaio e alla fine abbiamo guadagnato l’accesso all’Europa League, a Sion al mio arrivo eravamo ultimi e ci siamo salvati, all’Apoel ho preso la squadra al settimo posto e abbiamo vinto il campionato, all’Hajduk ho rilevato la squadra che era settima e abbiamo conquistato un posto che porta alle competizioni europee. Il modo di lavorare è stato simile. All’Istra 1961 i calciatori mi hanno seguito e hanno creduto in me. E abbiamo schierato molti giovani fino ai 22 anni.
Sia lei e che il suo vice Attila Malfatti avete detto che questa squadra con qualche piccola correzione l’anno prossimo può puntare a un posto che porta in Europa…
Io sono un sognatore. Bisogna puntare in alto perché l’ambizione è una cosa giusta e necessaria. E poi porta al miglioramento dei giocatori. Fai sempre in tempo ad abbassare le pretese. Dopo che siamo tornati da Spalato ho detto che questa squadra aveva grosse opportunità per giocare per qualcosa di importante. Lavoro e mi sacrifico per quello. Se non ci credo non ci arriverò mai. Se gli altri sono più forti gli farò i complimenti, ma voglio arrivare in alto. Il fatto che stiamo viaggiando da terzi in classifica mi fa sperare e io ci credo in queste cose. Questa è una squadra che mi piace così com’è, vorrei cambiare il meno possibile. Poi c’è da considerare che alcuni giocatori sono in scadenza di contratto, altri sono in prestito. Sono valutazioni che deve fare la società.

Il momento più bello?
Sentimentalmente quello già descritto contro il Varaždin. Più di quello non so che cosa si può chiedere. Ho apprezzato quel momento lì, non so quanto allenatori l’abbiano vissuto. Quello è stato molto emozionante. Quotidianamente mi godo la città, ultimamente ancora di più e gli attestati che ricevo sono gratificanti. Professionalmente sono state tante le cose positive. Sceglierne una è difficile.

Come ha trovato il campionato croato tre anni dopo l’esperienza del 2021 sulla panchina dell’Hajduk?
A me piaceva il campionato già allora e mi piace ancora oggi. Non credo che sia cambiato granché a livello tattico per le squadre, giocano con il 4-2-3-1 a parte il Rijeka. Le squadre favorite sono sempre le stesse, Dinamo, Hajduk, Rijeka e Osijek hanno maggiore tradizione per disponibilità economiche e strutturali. Le altre comunque sono a buon livello. Non vedo differenze.

La sorprende la facilità con la quale questo campionato riesce a sfornare di anno in anno così tanti talenti?
No, come non mi sorprendono i risultati della nazionale. Se guardo solo in casa nostra, ovvero all’Istra 1961, abbiamo tanti giovani. Il talento è tanto. Il talento è un dono che ti viene regalato, ma poi va allenato e supportato con il lavoro.

Il campionato alla fine ha visto il trionfo della Dinamo…
L’abitudine a vincere e a non vincere ha fatto la differenza. Si parla di mentalità. La partita chiave è stata Rijeka-Dinamo, secondo me il Rijeka ha giocato una buona gara. Come anche nella partita di ritorno della finale di Coppa: il Rijeka crea le occasioni, la Dinamo si presenta per la prima volta in attacco, segna e poi mantiene e aumenta il vantaggio. La Dinamo è speciale per quel motivo lì, ha fatto un recupero straordinario. A febbraio e a marzo era molto indietro.

A suo parere qual è stato il miglior giocatore del campionato?
Una scelta molto difficile. Ci sono più calciatori che hanno fatto benissimo: Petković inventa una punizione nella partita più importante del campionato, ma nella stessa Dinamo c’è anche Baturina che ha fatto molto bene. Marko Pjaca si è rigenerato al Rijeka, ma anche il suo compagno di squadra Pašalić ha fatto cose importanti. Mierez dell’Osijek ha disputato un campionato pregevolissimo.

Un’ultima domanda: come e dove trascorrerà la vacanze?
A Pola. La figlia più giovane finisce le lezioni alla Martinuzzi il 21 giugno e poi va in colonia sette giorni. Fino al 28 giugno sarà sicuramente qui. Questa settimana andrò soltanto alcuni giorni a Milano per vedere mia madre e la figlia maggiore che vive e lavora appunto a Milano.

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