Sem Malvich, il «pugno di piombo» fiumano

Trent’anni fa se ne andava una leggenda del pugilato. Il figlio Douglas ci ha raccontato le imprese di un campione la cui storia non è conosciuta a tutti

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Sem Malvich, il «pugno di piombo» fiumano

Esattamente 30 anni fa, era il 30 dicembre 1991, se ne andava per sempre Sem Malvich. Per gli appassionati di pugilato una leggenda dello sport fiumano, per tanti altri un perfetto sconosciuto. Le imprese dei vari Ulderico Sergo, Mario Dobrez e Ignazio Stella, che tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso portarono in alto il nome della boxe fiumana nel mondo, sono ben note. Lo stesso non si può però certo dire per il protagonista della nostra storia. Una storia tanto affascinante quanto ignota che vale la pena raccontare. E per farlo siamo andati a trovare suo figlio, Douglas, per gli amici semplicemente Dudi, oggi un arzillo pensionato con trascorsi nelle boxe. Dopotutto, da un albero di mele non nascono pere… Ma chi era dunque Sem Malvich? “Papa nacque a Fiume il 6 maggio 1908 – racconta Douglas –. All’epoca in Braida aveva sede un club di boxe. C’era anche uno spazio all’aperto con delle panchine e lui ogni giorno si sedeva lì incuriosito a guardare. Era comunque un ragazzino. Un giorno uno degli allenatori gli diede i guanti e lo mise alla prova. Lo fece combattere contro uno dei ragazzi che frequentavano la palestra e papà lo stese”.

 

Lì il piccolo Sem capì che la nobile arte della boxe stava diventando per lui molto più di una semplice passione, a al tempo stesso agli allenatori non sfuggì quel suo innato talento.

Il figlio Douglas Malvich

Gli anni d’oro

“A metà degli anni Venti iniziò la sua carriera tra gli amatori, per passare successivamente al professionismo. È dal 1930 al 1936 che visse i suoi anni d’oro, conditi da tanti successi, ma anche da qualche sconfitta. Iniziò a girare e a combattere nelle arene di tutta Europa, in particolare a Parigi, dove ha combattuto la maggior parte dei suoi match. Si laureò anche campione nazionale italiano, siccome ai tempi Fiume faceva parte del Regno d’Italia. Affrontò alcuni dei più grandi pugili dell’epoca, campioni nazionali ed europei. Mi diceva sempre che la sua vittoria più grande fosse stata quella contro il francese Hajik Sandjack a Parigi. Un altro match di grande prestigio fu quello contro il rumeno Gheorghe Popescu, all’epoca campione europeo, che si svolse nella bolgia di Bucarest davanti a 20mila spettatori caldissimi. Per la cronaca, vinse Popescu ai punti…”.

Risultati che gli valsero anche l’appellativo di “pugno di piombo”, come venne soprannominato in alcuni articoli e interviste apparsi sulla stampa italiana dell’epoca. Malvich è stato inoltre il primo pugile professionista di Fiume a combattere oltre i confini nazionali, seguito soltanto in un secondo momento da Dobrez e Sergo, con quest’ultimo diventato immortale in seguito alla conquista dell’oro alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. “A quei Giochi sarebbe dovuto andarci anche papà. Si era infatti regolarmente qualificato, ma le autorità glielo impedirono per via del suo cognome slavo. All’epoca gli atleti italiani per poter partecipare alle Olimpiadi dovevano necessariamente portare un cognome che sia italiano e che non potesse ricondurre a origini diverse. Una cosa assurda, ma purtroppo all’epoca la politica arrivava prima dello sport”.

Trascorse gli anni della Seconda guerra mondiale a Fiume continuando a combattere sul ring.

Il no a Belgrado

“Finché verso la fine del conflitto non fu catturato dai tedeschi e fatto prigioniero in un campo di concentramento a Potenza. In quel lager nel ‘45 disputò il suo ultimo incontro, ma si trattava ovviamente di un’esibizione”.

Una volta liberato torna a Fiume e, contrariamente a tanti suoi concittadini fuggiti in seguito all’esodo, Sem non lascia la propria città. “Questo perché la politica non gli interessava e comunque girava alla larga dai circoli politici perciò, nonostante masticasse poco il croato – a casa si parlava fiumano – non era inviso al nuovo regime”.

Non solo non era inviso ma, anzi, veniva molto apprezzato. “Nel dopoguerra gli venne proposto di trasferirsi a Belgrado in qualità di allenatore per far crescere le nuove generazioni di pugili jugoslavi. A quel tempo infatti Belgrado richiamava a sé atleti e allenatori di tutti gli sport e da ogni angolo del Paese. Lo volevano fortemente e gli offrirono pure uno spazio appartamento, ma lui non volle muoversi da Fiume perché aveva già una casa, un lavoro, una moglie e due figli, ovvero me e mia sorella, perciò preferì restare”.

E far crescere i boxeur di domani nella sua città. Sem lavorava in porto, ma parallelamente portava avanti anche l’attività di allenatore scoprendo talenti quali Arturo Marsi e i fratelli Nello e Natalino Barbadoro.

«O io o la boxe»

“Fu uno degli allenatori del ‘Radnik’ e successivamente, nel 1974, insieme fondammo il club di pugilato ‘Rijeka’. Una volta anziano abbandonò la boxe. Morì nel 1991 in seguito a un incidente domestico”.

Anche Dudi seguì le orme del padre, ma appese presto i guantoni al chiodo. “Da piccolo iniziai a praticare la boxe nel Radnik. Ho disputato complessivamente una trentina di incontri, la maggior parte nell’ambito dell’allora Campionato sloveno-croato. E ci sapevo fare. Avevo talento, poi però per motivi di lavoro e familiari ho smesso. Una volta mia moglie mi disse chiaro e tondo: ‘O io o la boxe’. E io scelsi lei…”.

Una cosa però continua a stuzzicare la nostra curiosità: da dove derivano i nomi Sem a Douglas? “Non lo so. La nostra famiglia è originaria di Krasica e non so il perché i suoi gli diedero il nome Sem. E lo stesso discorso vale anche per me. Sarà che i miei genitori avranno sentito Douglas da qualche parte e così me lo affibbiarono”, sorride Dudi Malvich.

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