Robert Jarni: «L’Italia ora può aprire un ciclo»

L’ex terzino della Croazia, bronzo al Mondiale ‘98 in Francia e con importanti trascorsi in Serie A, parla del successo degli azzurri a Euro 2020

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Robert Jarni: «L’Italia ora può aprire un ciclo»

La prima volta non si scorda mai, ma la seconda è ancora meglio. Specie se arriva dopo 53 infiniti anni d’astinenza. Tra i tifosi italiani il trionfo di Wembley è una fotografia che rimarrà impressa ancora a lungo nella loro mente, anche perché quella del 1968 è ormai un ricordo sbiadito… Il vero artefice del miracolo azzurro risponde al nome di Roberto Mancini, capace di far risorgere un gruppo uscito a pezzi dal disastroso ciclo precedente e di trascinarlo in soli tre anni fino al tetto d’Europa. Prendendosi pure una bella rivincita: per 29 anni Wembley era stata una ferita aperta con quella sconfitta della sua Sampdoria nella finale di Champions League contro il Barcellona proprio nella cattedrale del football inglese. Quasi tre decenni dopo il Mancio (e il suo staff blucerchiato) ha saldato il proprio conto col destino. Ma con la nazionale, il che rende ancora più dolce quest’impresa. Chi lo ha incrociato spesso sui campi della Serie A è Robert Jarni, indimenticabile terzino sinistro protagonista dello storico bronzo della Croazia al Mondiale ‘98 in Francia. Nel suo curriculum 90 presenze in Serie A vestendo le maglie di Bari, Torino e Juventus dal 1991 al 1995: il profilo ideale con cui chiudere il capitolo Euro 2020.

 

Jarni, si ricorda di Mancini ai tempi della Serie A?

“Me lo ricordo eccome. La mia prima partita con il Bari è stata in Coppa contro la Sampdoria di Mancini, Vialli e degli altri che ora fanno parte dello staff tecnico della nazionale”.

Il principale merito del Mancio in questo trionfo?

“È riuscito a costruire un gruppo omogeneo, senza primedonne in squadra, il che ha agevolato la creazione di un clima di unità e armonia all’interno dello spogliatoio. Un po’ come successo a noi nel ‘98 in Francia. E in secondo luogo ha cambiato modo di giocare. L’Italia non è più quella catenacciara di una volta, attendista e calcolatrice, bensì ora predilige un calcio veloce e molto offensivo”.

Alla fine a vincere l’Europeo è stata la squadra più forte?

“La più forte e la più costante. Hanno avuto qualche problema con Austria e Spagna e anche in finale nel primo tempo sono andati in difficoltà. Contro l’Italia le altre squadre giocavano con difese molto alte, dando così la possibilità agli azzurri di inserirsi da dietro con i vari Chiesa, Berardi, Locatelli… Invece l’Inghilterra è stata brava a togliere loro questi spazi abbassando la difesa all’altezza dell’area di rigore, limitando quindi i loro inserimenti dalle retrovie. Poi però dopo aver subito il pari, messi sotto pressione dal dover vincere a tutti i costi l’Europeo di casa, gli inglesi hanno alzato il baricentro della difesa sui 30 metri concedendo agli avversari gli spazi che cercavano per tutta la partita. A quel punto l’Italia è riuscita a creare diverse situazioni pericolose, senza però concretizzarle”.

Qual è stata la chiave della finale?

“Chiesa. All’inizio Mancini lo teneva in panchina facendolo entrare nella ripresa, ma tanto è bastato per far vedere a tutti le sue qualità e uno stato di forma pazzesco. Nella fase a eliminazione diretta è stato decisivo sfornando gol e assist, e anche in finale è stato una continua spina nel fianco per la difesa avversaria”.

Qual è stato il principale errore commesso da Southgate: la scelta dei rigoristi o piuttosto un altro?

“In una finale dell’Europeo non puoi far tirare i rigori a dei ragazzi di 19-20 anni. Lui si è giustificato dicendo che il giorno prima in allenamento i giovani calciavano meglio di quelli più esperti, ma un conto è farlo in allenamento e un altro in finale. Alla fine lo stesso Southgate ha ammesso di aver sbagliato”.

L’Italia può ora aprire un ciclo?

“È chiaro che l’anno prossimo al Mondiale vedremo la stessa squadra. Molto però dipenderà da quanta fame avrà e se quindi i giocatori avranno le stesse motivazioni per ripetere l’impresa anche in Qatar”.

Gigio Donnarumma è stato eletto miglior giocatore del torneo: concorda con questa scelta?

“Assolutamente. Ha disputato un torneo eccezionale. Un premio meritatissimo”.

Jorginho è da Pallone d’oro?

“Indubbiamente. Già con il Chelsea ha fatto una stagione straordinaria e ora si è rivelato decisivo pure in nazionale”.

Come giudica l’Europeo della Croazia?

“Mi aspettavo di più. Ha disputato un torneo anonimo, con troppe improvvisazioni per quanto riguarda la scelta della formazione. Nel momento in cui la Spagna l’aveva messa alle corde ha saputo però tirar fuori il carattere raddrizzando nel finale un match che sembrava perso, ma alla fine a condannarla sono state le troppe amnesie difensive”.

A quanto pare Dalić rimarrà al suo posto: crede che sia ancora lui la persona più adatta a guidare la squadra?

“È la soluzione più logica. Tra un mese e mezzo riprendono le qualificazioni al Mondiale con tre partite subito decisive. In questo momento cambiare sarebbe controproducente”.

Secondo lei Modrić continuerà a indossare la maglia della nazionale?

“Lo vedo in Qatar a 37 anni. L’età non è un problema perché Luka è un computer, nel senso che gioca con la testa e non con il fisico”.

Il presidente dell’UEFA Čeferin ha bocciato il format dell’Europeo itinerante: che idea si è fatto su questa formula?

“L’ho detto fin dal primo giorno: è inammissibile che un paio di nazionali giochino sempre in casa e altre invece siano costrette a spararsi migliaia di chilometri. Non è un format equo. Alcune squadre sono state fortemente penalizzate e hanno pagato dazio sul piano della stanchezza perché è difficile recuperare giocando ogni 3/4 giorni venendo rimbalzati da un angolo all’altro del continente”.

Per il 2028 si sta discutendo l’allargamento a 32 nazionali: che cosa ne pensa?

“Non penso niente. Il 2028 è ancora lontano e fino ad allora tante cose possono cambiare”.

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