Si chiama Pragrande e non potevamo avergli attribuito un nome diverso perché è semplicemente grande. Ma grande in proporzione, si capisce, e cioè in considerazione del fatto che Pola non è particolarmente estesa, che questa distesa verde sfiora il centro storico e che divide il perimetro periurbano della città in due metà praticamente uguali tra settentrione e meridione. Pragrande coincide in larga misura con quello che una popolazione anteriore, romana, aveva chiamato Campo Marzio. Infatti in buona parte le due aree si sovrappongono e lo stradario rende onore a entrambe. Se Campo Marzio abbraccia la vallata racchiusa dai Monti Zaro, San Michele (Ospedale) a nord e Paradiso a sud, è chiaro che Pragrande, racchiuso tra Piazza della Repubblica e le vie Mutila, Campo Marzio e delle Brigate d’Oltremare ne occupa una parte considerevole. Ora, di Pragrande nella trentennale storia recente di Pola abbiamo sentito parlare molto spesso ma raramente con coerenza e men che meno con lungimiranza.
Scontro di priorità
Già a cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Dieci del nuovo millennio architetti e urbanisti al servizio del Municipio avevano concepito per per la zona un futuro da… Central Park, parco centrale, e quindi, in prospettiva, un intervento di riforestazione e rigenerazione con un occhio alla natura e un altro alle necessità di svago della popolazione locale. Era la strada giusta, indubbiamente, ma i tempi non erano ancora maturi. Ad ogni modo si sono avute in passato controproposte pragmatiche se non campate in aria, dall’edificazione parziale a quella totale, e tra le tante era stata ventilata anche l’ipotesi della costruzione di alberghi e strutture sportive complementari al vicino stadio comunale, senza scordare l’azzardata idea di svilupparvi una zona residenziale, ovviamente con precedente bonifica del terreno palustre e una strada che tagli l’ipotetico quartiere urbano esattamente in corrispondenza del canale Pragrande. Fortunatamente non se n’è fatto nulla per una concatenazione di eventi, necessità e contingenze, ma soprattutto per cause di forza maggiore. In primo luogo, le priorità all’epoca erano altre (la precedenza assoluta spettava alla rete del metano e al collettore fognario costiero) e, in secondo luogo, fatto anche più incisivo, nei primi anni Duemila la penuria di capitali sia pubblici che privati era la norma e non l’eccezione.
Verde diffuso e fruibile
E oggi? Col senno di poi che illumina le coscienze, oggi abbiamo una consapevolezza del valore dell’ambiente più acuta rispetto anche solo a una trentina d’anni fa. La terra si ribella, il clima ci esaspera, l’equilibrio tra i poli estremi della siccità prolungata e delle precipitazioni tumultuose è perso, le temperature medie sono in costante crescita ogni anno e Pola ora segue pedissequamente le istruzioni dell’Unione europea che sulla strada della decarbonizzazione e del conseguimento della neutralità climatica aiuta generosamente gli Stati membri disposti a contribuire alla salvezza del clima e dell’uomo. I progetti della transizione verde polese sono numerosi e riguardano diverse aree urbane, periurbane e suburbane che vanno dalla riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati alla rigenerazione verde in senso lato. Per concorrere agli incentivi europei riservati alla transizione verde e digitale, Pola si è data intanto un Piano strategico del verde urbano che auspica un verde più diffuso e fruibile, ma anche qualitativamente migliore. Ne sono autori l’architetto urbanista Bruno Juričić e l’ingegnere civile Tatjana Uzelac, il primo noto per il progetto del Centro di Coworking, e l’altra riconosciuta meritevole per aver salvato Pola dagli allagamenti con i suoi bacini di raccolta delle acque meteoriche a rilascio graduale nel sistema fognario. La coppia di urbanisti ha realizzato dunque questo primo Piano strategico dell’infrastruttura verde che prevede innanzi tutto l’arresto immediato della frammentazione delle aree verdi, il risanamento e la ricomposizione dei viali alberati compromessi da cause naturali e antropogeniche, quindi la gestione sostenibile delle acque meteoriche e infine la riforestazione di zone urbane e suburbane quali Castagner-Monvidal, Pragrande-Campo Marzio, Castion, Monte Zaro (Rojc), Giardini, Valovine, Verudella, Grega e Monteparadiso. Per capire il valore del Piano, basti dire che da qui al 2030, sempre che alla buona predicazione non segua un cattivo razzolare, Pola recupererà 300 ettari di verde pubblico fruibile entro il 2030. Chiaramente senza gli incentivi europei del Piano di recupero e resilienza non se ne farebbe alcunché, e invece oggi vediamo moltiplicarsi i filari di alberi a Verudella, lungo via delle Brigate d’Oltremare.
Reflui a cielo aperto
In contemporanea all’approvazione del Piano strategico di Juričić e Uzelac, e in piena sintonia con quello, l’anno scorso si è avuta la stipulazione dei contratti col Ministero dello sviluppo regionale per un nuovo ciclo di investimenti territoriali integrati (ITU) con decorrenza immediata e scadenza nel 2027. L’elenco delle opere pubbliche con diritto a generosi contributi europei (33 milioni di euro), che costituisce l’ossatura del copioso documento chiamato “Strategie di sviluppo del territorio urbano” e definito in cooperazione con i comuni dell’anello polese, è piuttosto lungo. In attuazione dell’obiettivo specifico “Attività fisica e salute” Pola sta per riqualificare una delle sue aree più centrali e più trascurate di tutto il perimetro urbano. Si parla naturalmente di Pragrande, una distesa tra i venti e i trenta ettari di terreno un tempo molto umido, ma oggi solo occasionalmente imbevuto di acque meteoriche che il sistema fognario obsoleto (il canale fognario omonimo) regge con sempre più difficoltà. Disgraziatamente a partire dagli anni Sessanta in qua Pragrade ha preso a trasformarsi da area palustre a fogna a cielo aperto, tanto è vero che allacciamenti fognari abusivi convogliano una certa quantità di acque reflue al canale privo di copertura. Lo spettacolo e le esalazioni, inutile dirlo, peggiorano ulteriormente il degrado pluridecennale dell’area. Un tempo frequenti, gli orti urbani sono in lenta ma sicura estinzione. Un poco alla volta sono stati banditi dalle nuove frontiere dell’edilizia abitativa, commerciale e direzionale piuttosto aggressiva e ingombrante in via Mutila e, in misura ridotta, lungo via Campo Marzio.
Rigenerazione attiva e verde
Oggi Pragrande è una distesa più arida che palustre, coperta solo da sterpaglia e qualche canneto. Per Pragrande la Città di Pola ha già autorizzato la costruzione di un autosilo alle porte dello stadio comunale, ma per il resto l’area è riservata esclusivamente a interventi di “rigenerazione attiva e verde”, in funzione della ricreazione dei cittadini. L’opera contempla interventi di sistemazione idrogeologica e bonifica dell’assetto morfologico, il potenziamento del sistema di drenaggio delle acque meteoriche e reflue, la piantumazione di alberi d’alto fusto e altre piante ornamentali o utili alla biodiversità, in parole povere la creazione di un terzo bosco urbano in aggiunta a Siana e Bussoler che possa ridurre gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, favorire la biodiversità e conferire maggiore pregio all’estetica del paesaggio. L’area compresa tra le vie Mutila, Campo Marzio e delle Brigate d’Oltremare (tangenziale), a cominciare da piazza della Repubblica sfiorando lo stadio cittadino, diventerà insomma il nuovo parco centrale di Pola dove andremo a giocare a pallacanestro, pallavolo o calcetto, e dove andremo a fare le passeggiate col cane e con la fidanzata, i picnic con gli amici, le corse, le camminate nordiche, le lezioni di yoga e gli esercizi di stretching, insomma, tutta la ginnastica all’aperto che ci pare. E perché questo accada entro il 2027 o 2028 (a seconda dei piani che leggiamo) Pola investirà qualcosa come sei milioni e mezzo di euro o meglio, per l’esattezza, 6.636.140,42 €. Va da sé: con una partecipazione molto elevata di soldi europei.
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