L’olio di Bartolomeo

Il vecchio Comandante giurava che tutto ciò che raccontava era vero e che soltanto grazie all’olio aveva potuto raggiungere Porto Maurizio e consegnare al Marchese le brente di Barolo intatte. Non c’era da meravigliarsi. Non raccontava mai fandonie. Era un uomo tutto d’un pezzo. Un uomo di mare che aveva una predilezione mai abbandonata: quella di rimanere fedele alla sua scorta di bottiglie di Barolo...

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L’olio di Bartolomeo

Di quando in quando, soprattutto nelle calde giornate d’estate, con l’afa che sembra vestirti di un pesante abito pregno di quell’impalpabile umidità che soltanto l’entroterra sa riservare, salivo sulla mia vecchia Seicento e la lanciavo, si fa per dire, sui tornanti che creavano la lunga salita della strada. Ci andavo per due motivi. Il primo, perché mi elettrizzava percorrere in salita, assaporando curva dopo curva il mordere delle gomme accompagnato dal rombo di un motore che mi divertivo a truccare e che facevo urlare attraverso una lucente marmitta come si usava nei primi anni Sessanta del secolo scorso. Il secondo motivo era che andavo ad incontrare un mio vecchio, vecchissimo amico che sapeva raccontare le storie più incredibili che avessi mai sentito. Storie tutte di mare. Vissute da lui in prima persona, nel corso della sua vita spesa a navigare per i mari di tutto il mondo. Una specie di Conrad e di Simbad messi assieme.

 

In visita dal Comandante

Bartolomeo Pagani sedeva su una scassata sedia, un tempo a dondolo, nel piccolo giardino di fronte alla sua casa di un bianco accecante, dietro la quindicesima curva a partire dalla “Madonnetta”, come lui la chiamava. C’era un piccolo spiazzo, di fronte al suo cancello. Occupato in parte da una vecchia lavatrice che lasciava il posto giusto per una macchina come la mia. Ogni volta posteggiavo nei medesimi centimetri quadrati e, neanche a farlo apposta, mi schivava la solita gallina che beccava le razzolate di un terreno senz’erba. Il Comandante, come gli piaceva farsi chiamare, dopo la solita frase di prammatica e che non scordava mai: Caccia l’ancora e vieni dentro, mi faceva accomodare nell’unica grande sala che era il pianterreno della sua casa. Litografie e quadri tipo ex voto, tutti d’ispirazione marinara, tappezzavano le quattro pareti, intercalati da oggetti che ricordavano la vita avventurosa di Bartolomeo. Tra qualche vecchia fotografia nella quale s’indovinava la sua figura vestita da Capitano, spiccavano un telegrafo di macchina in ottone lucidato; un timone in legno consunto borchiato di bronzo e una lunga pipa di gesso. Ciò che colpiva il visitatore erano però tre oggetti posati su altrettante mensole che completavano l’arredamento di quel quadrato di poppa, come lui lo definiva.

Tre oggetti stupendi

Uno era uno stupendo “fanale di via”: la luce bianca che sta in cima all’albero di prua delle imbarcazioni. Naturalmente era un fanale a petrolio che risaliva a chissà quanto tempo prima e che Bartolomeo curava pulendolo, lucidandolo e facendolo funzionare di quando in quando. L’altro oggetto era il modellino di una goletta a tre alberi, costruito dentro una bottiglia e che gli era stato regalato da un vecchio zio il quale l’aveva realizzato durante uno dei viaggi fatti su di un brigantino che riforniva di gallette l’esercito inglese nel Mar Nero, durante la Guerra di Crimea. Il terzo oggetto era il più bel modellino di un’imbarcazione che avessi mai visto. Perfetto in ogni suo più piccolo particolare, era la realizzazione in scala di un leudo genovese. Erano queste delle imbarcazioni di una certa stazza, armate con un albero verso prua, caratterizzato da una sistemazione non verticale. Pendeva infatti verso prua, trattenuto da stralli e drizze che lo tenevano in tensione a sopportare la grande e unica vela. Lo scafo possente, di grande capacità di carico, permetteva lunghe, sicure, ma lente navigazioni. Era insomma una barca da trasporto, in gran uso sino all’inizio del Novecento, soprattutto in Liguria. Con l’avvento del motore a vapore, cessò il suo uso e, pian piano venne dimenticata. Non la dimenticavano però gli ultimi vecchi Capitani e Bartolomeo era uno di questi.

«Il vino bianco non ha corpo»

”U Comandante”, come faceva sempre quando qualcuno lo andava a trovare, dopo neanche un minuto da quand’eri entrato nel “quadrato di poppa”, si assentava per pochi istanti per comparire immancabilmente con un’anonima bottiglia di vino. Guai a domandargli se il vino era bianco, come si poteva magari supporre, bello e fresco, in una giornata di calura. Bartolomeo odiava il vino bianco. O meglio, non lo nominava mai perché, diceva lui, il “bianco” non ha “corpo”. Ed era allora, se sapevi pilotarlo, che Bartolomeo tirava fuori le sue storie, le sue avventure, che nascevano tutte o quasi dal vino. Già perché la sua vita era trascorsa su di un leudo a trasportare botti di vino assolutamente rosso, su e giù tra i porti della Liguria ed anche sino in Provenza. Ma, Bartolomeo, perché solamente vino rosso?, gli chiesi una volta. Vedi, mi disse, l’aria di mare dell’Alto Tirreno ha la particolarità di rovinare molti vini. Il vento, la salsedine che c’è nell’aria, li ossida, gli cambia il gusto, l’aroma, insomma li rovina. Una volta il vino veniva trasportato principalmente con le botti di legno, come facevo io con il mio leudo e il vino era alla mercé del tempo. Sballottato in mare, senza additivi, conservanti, stabilizzatori e diavolerie varie, era facile che ne sentisse le conseguenze. I vini bianchi erano un disastro. Non resistevano neppure a viaggi brevi. I rossi invece, soprattutto il Barolo e quella Barbera corposa che mi portavano dal Piemonte, erano dei “duri” che non si facevano “corrompere” dall’aria di mare, aggiunse Bartolomeo.

Il carico del leudo

Il suo leudo aveva il porto d’armamento in quel di Savona ed è da qui che iniziavano i suoi viaggi verso le destinazioni del suo commercio. Nella vecchia darsena di Savona arrivavano le botti di Barolo e di Barbera che grossi carri trasportavano lungo i tornanti della Provinciale. Provenivano dal Monferrato e sarebbe oggi interessante arrivare a capire da quale paese effettivamente partivano. Bartolomeo non me lo precisò mai perché nemmeno lui lo sapeva. Il commercio allora non era molto limpido nelle sue articolazioni. Le “brente” come venivano chiamate dai marinai, venivano accatastate in un capannone sotto le mura dell’antico Forte e lì attendevano la loro destinazione. Si può comprendere come fosse trattato allora questo vino e come subisse l’uso dei mille sballottamenti già prima di compiere il suo definitivo viaggio verso il consumatore. Il Barolo e la Barbera dovevano veramente dare prova di coerenza per resistere ai viaggi di quel tempo. Ciononostante Bartolomeo curava meticolosamente il piano di carico del suo leudo allo scopo di offrire la sistemazione più salda alle brente anche a fronte di improvvisi peggioramenti del tempo e al conseguente “montare” dei marosi. Il moto ondoso non lo preoccupava più di tanto agli effetti della sicurezza del leudo, quanto lo preoccupavano il beccheggio e il rollio agli effetti del suo carico. Bartolomeo, prima di ogni partenza, si assicurava di avere a poppa della sua imbarcazione il secchio d’olio. Era una botticella ripiena di olio d’oliva che certamente non era del più pregiato, ma che serviva ugualmente alla bisogna e funzionava perfettamente a quanto spiegava lui stesso.

Una brutta mareggiata

Uno dei suoi racconti di avventure aveva infatti per argomento proprio quest’olio e per attore una brutta mareggiata nella quale incappò a ridosso del Promontorio di Noli, durante un’estate del 1906. C’era un mare forza sei, sette, con vento di scirocco che mi spingeva con una corrente di diversi nodi, iniziava il racconto di Bartolomeo. Il leudo andava alla deriva e io lo tenevo frenato con un’ancora galleggiante che arava rallentando la barca. Le onde, frenate dall’attrito, sbattevano frangendo ora contro le mura di dritta, ora contro quelle di sinistra del leudo. Erano tanto alte che si rovesciavano con gran fragore sulla coperta dov’erano sistemate le brente e l’acqua poi scorreva veloce fuori dagli ombrinali. Il leudo si piegava, saliva e precipitava verso l’incavo delle onde, senza tregua. Trasportavo quel giorno un carico di Barolo per un certo Marchese che mi attendeva a Porto Maurizio. Era un personaggio strano, molto esigente che aveva una fiducia assoluta sul mio operato. Lo conoscevo da tempo ed era un buon acquirente del vino che trasportavo. Il Barolo nelle brente sbatteva con violenza e avevo paura perfino che sfondasse le botti. Non rimaneva che affidarmi all’opera dell’olio. Lo avevo già adoperato in qualche occasione simile in passato e aveva funzionato. Questa volta però il mare era molto più grosso ed ero in difficoltà nell’arrivare alla botticella dell’olio. Meno male che l’avevo assicurata con delle funi a poppavia dell’imbarcazione, con il tappo rivolto all’esterno. Feci saltare il tappo e l’olio iniziò a sgorgare copioso, spruzzandomi tutto per lo sbattere delle onde. Si riversò in mare e ben presto formò una chiazza larga attorno al leudo che girava su sé stesso. Il mare sembrò placarsi. O meglio, le onde, pur continuando il loro moto ascensionale, non frangevano più contro l’imbarcazione e non squassavano, di conseguenza il leudo. La mia barca si comportava come un’altalena. Saliva e scendeva le onde senza ricevere brutti colpi e soprattutto le brente non venivano più martellate dal frangere dei marosi.

Il Barolo in cantina

Bartolomeo giurava che tutto ciò che raccontava era vero e che soltanto grazie all’olio aveva potuto raggiungere Porto Maurizio e consegnare al Marchese le brente di Barolo intatte. Non c’era da meravigliarsi. Bartolomeo non raccontava mai fandonie. Era un uomo tutto di un pezzo. Un uomo di mare che aveva una predilezione mai abbandonata: quella di rimanere fedele alla sua scorta di bottiglie di Barolo che riposavano sacralmente nella sua cantina e che sturava quando lo andavo a trovare. Caro Bartolomeo, chissà che fine ha fatto la tua cantina, ora che non ci sei più.

Studiando Storia Navale…

Anni dopo, frequentando un corso di Storia Navale, ebbi occasione di ricordarmi di Bartolomeo e del suo olio e di verificare che la sua avventura a ridosso di Capo Noli fosse assolutamente vera. Un vecchio libro di manovre navali, edito nel 1907 addirittura dalla Regia Accademia Navale, riportava una storia su “l’uso dell’olio per calmare le onde”. L’autore faceva cenno ad Aristotele che racconta come i pescatori del tempo versassero dell’olio allo scopo di rendere liscia e trasparente la superficie del mare per meglio osservare il fondo. Come Plinio rammentasse l’azione calmante dell’olio, sperimentata dagli ufficiali della sua squadra e come fosse in uso usare olio benedetto sul mare in tempesta. Era noto anche il costume dei marinai spagnoli, portoghesi ed italiani, di gettare in mare l’acqua di sciacquatura con i resti grassi dei pasti, in offerta a una Madonna miracolosa, cui si attribuiva una speciale e benigna influenza sulle onde. La conseguenza immediata era che le onde del mare in burrasca cessavano di frangere. Evidentemente a questo si era affidato Bartolomeo nella sua avventura, anche se in versione meno spirituale.

Da Franklin a Nelson

Benjamin Franklin, studioso e uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America, trovandosi nel 1757 all’assedio di Louisbourg, notò come la superficie del mare fosse più tranquilla e compatta tra due vascelli dai quali i cuochi gettavano fuori bordo dell’acqua grassa. Il naturalista Linneo, contemporaneo di Franklin, durante un suo viaggio attraverso la Groenlandia Occidentale, venne a conoscenza come i pescatori olandesi della Groenlandia portassero sempre a bordo delle loro imbarcazioni, alcuni barili d’olio per calmare le onde. Lo stesso Franklin, in una memorabile lettera indirizzata al Dott. Brownrigg, cita la seguente relazione originale, datata da Batavia il 5 gennaio del 1770 che è forse la prima testimonianza in epoca moderna di cui si abbia conoscenza: “presso alle isole di San Paolo e Nuova Amsterdam ci assalì una tempesta… e il capitano si trovò costretto, per maggiore sicurezza della nave, di versare olio in mare a fine di impedire che le onde le si rompessero sopra, la quale cosa ebbe un buonissimo effetto e credo che ad essa dobbiamo di esserne usciti salvi”. Insomma, l’olio fu considerato un toccasana per molto tempo nella marineria mondiale quale calmieratore dei frangenti. Un certo Comandante Nelson, della fregata inglese “Palos”, lasciò scritto sul “giornale di bordo” che durante un viaggio a Yokohama nel 1886, si trovò in grande difficoltà per una tempesta e che, pur scettico, ammise di aver salvato la propria nave grazie all’uso dell’olio. Anche il Comandante Schrotler, del grosso piroscafo “Pretoria” dell’Hamburg American Line, nel 1904, nel viaggio tra Boulogne e Hoboken, fu sballottato per due giorni a causa di un terribile fortunale. Nel libro di bordo, scrisse: “ …il vento raggiungeva la velocità oraria di 75 miglia ed il Pretoria, nonostante la sua grossa mole, era scosso da onde gigantesche con grave tormento del carico trasportato e del materiale. Decisi di usare l’olio facendolo scorrere ai due lati della prora, da due recipienti prossimi all’acqua, muniti di un piccolo tubo in modo da permettere un moderato flusso. In pochi minuti le onde cessarono di frangere violentemente sui fianchi della nave dando luogo invece ad un moderato, lungo ed appena rimarchevole movimento, pur continuando le acque ad essere agitatissime a breve distanza della nave. Nonostante il lungo periodo nel quale l’olio fu usato, il suo consumo fu di soli 27 litri.”

Un vero toccasana

Di quest’usanza si parlò con grande accanimento alla conferenza marittima internazionale di Washington all’inizio del secolo scorso. Gli “atti” riportano: “… i vari governi rappresentati chiedono che tutti i navigli di mare siano provvisti di una sufficiente provvista di olio animale e vegetale insieme con i mezzi più adatti per applicarlo, e ciò allo scopo di calmare i marosi nel cattivo tempo.” A seguito di tali raccomandazioni, diverse società di navigazione resero regolamentare l’uso dell’olio a bordo. Molte Camere di Commercio stabilirono premi per il suo impiego ed alcune compagnie d’assicurazione ne pagarono le spese. Come sempre succede, vi furono anche dei perfezionismi tecnici. Furono inventati dei “sacchi distributori d’olio” a forma di tronco di cono a sezione ellittica. Una sorta di contenitori in tela, spugnosi per il rilascio lento dell’olio. Alcuni comandanti preferivano però un uso più immediato. Come fece il nostro Bartolomeo. Facevano defluire l’olio a mare, attraverso gli ombrinali di scarico sul ponte e addirittura attraverso gli scarichi dei servizi igienici di prua. Ci fu addirittura un certo capitano Karlowa che vinse un premio al “Nautischer Verein zu Hamburg”, nel 1888, per la migliore “memoria” sull’uso dell’olio in mare. L’anno dopo, le “Regole di Karlowa” furono regolamentate dall’Ufficio Idrografico di Washington e divennero universalmente adottate. Queste, così recitavano: “Fuggendo dinnanzi ad un fortunale, l’olio va distribuito dalla prua, sia per mezzo dei sacchi, sia lungo le tubature di scarico come le latrine, i lavandini e gli ombrinali. Esso si espanderà così lungo i fianchi e verso la poppa della nave. Se invece l’olio viene gettato soltanto da poppa, esso non ha veruna efficacia contro le onde. Qualora la nave, nel correre, straorzi serpeggiando con il pericolo di prendere il mare di prua e traversarsi, l’olio deve essere distribuito, oltreché dalla prua, anche dai lati a poppavia del traverso.”

Il mondo cambia…

Insomma, una letteratura che forse nemmeno Bartolomeo conosceva, anche se un giorno mi accennò ad un tale capitano Raineri che perfezionò delle speciali boe inventate dagli inglesi per distribuire olio all’imboccatura dei porti e, come potevano mancare, dei “razzi oleiferi”, lanciati a distanza per mezzo di cariche esplosive. Chissà, ma oggi farebbe sorridere perfino Bartolomeo, la vista di un marinaio gettare fuori bordo dell’olio per calmare le onde. Qualcuno forse lo denuncerebbe per inquinamento come reato ambientale. Si sa, la vita cambia gli atteggiamenti: sia quelli degli uomini come quelli delle cose. Basta pensare come il Barolo e la Barbera, e perché no anche il vino bianco, oggi possano viaggiare molto più sicuri anche senza l’aiuto dell’olio.

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