Istria. Leggende dal sapore «Noir» (foto)

»Storie sospese tra fantasia e realtà, che si tramandano da generazione a generazione e che raccontano di creature fatate, fatti sorprendenti, luoghi misteriosi e affascinanti. Racconti popolari che provocano un brivido nel sentirli narrare e che di notte non lasciano indifferenti chi li ascolta

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Istria. Leggende dal sapore «Noir» (foto)
Duecastelli. Foto: Srecko Niketic/PIXSELL

L’Istria non a caso si è guadagnata l’appellativo di “terra magica”; non solo per le sue spiagge incantate che attirano turisti di tutto il mondo o i suoi dolci colli che ricordano quelli toscani. La natura rigogliosa e lussureggiante dominata da viti e uliveti e incorniciata dalle distese carsiche miste alla terra rossa hanno sicuramente contribuito a rafforzare il suo soprannome. Ma questa denominazione ha radici molto più profonde che s’intrecciano con la sua storia millenaria fatta di mescolanze di culture e di popoli, che ha visto un susseguirsi travolgente di avvenimenti e vicende.
Ed è proprio al suo passato che si legano miti e leggende più o meno noti, che contraddistinguono questo fazzoletto di terra sospeso tra il continente e il Mediterraneo. Come in ogni dove, anche i racconti ancestrali dell’Istria sono legati a creature fatate, fatti sorprendenti, luoghi misteriosi e affascinanti che vivono al confine tra la realtà e l’immaginazione.
Tra le tante leggende esistenti vi proponiamo alcune dal sapore noir, che provocano quasi un brivido nel sentirle narrare e che magari di notte per strada provocano un sussulto in chi sente un rumore improvviso.
Ma perché questi racconti stimolano in noi tali reazioni? Probabilmente la spiegazione risiede nel fatto che non si tratta unicamente di storie di pura fantasia, bensì in ognuna di esse si nasconde un pizzico di verità.

Re Epulo
Iniziamo allora dalla leggenda del re Epulo, ultimo re degli Istri, personaggio storico realmente vissuto nella seconda metà del II secolo a.C.. La sua veridicità è attestata da Tito Livio nel suo capolavoro “Ad Urbe Condita”, dove ripercorre la storia di Roma. Gli eventi che si susseguono nei 148 libri dell’opera dello storico romano a volte sono romanzate dall’autore, ma i fatti descritti sono grossomodo reali. Gli Istri furono una popolazione illirica che si era insediata lungo la penisola istriana e più volte respinsero con successo gli attacchi dei Romani che cercarono di conquistarla. Gli abitanti della penisola uscirono diverse volte vincitori dalle guerre contro l’esercito di Roma, finché alla fine non furono costretti a capitolare sotto il dominio dell’invasore.
Il mito vuole che i nemici fossero sì più forti, ma ogni volta che questi conquistavano una città trovavano le case abbandonate piene di vino e di conseguenza si ubriacavano, perdendo la guerra. Finché Roma, esasperata dalle sconfitte, decise di inviare un esercito numericamente più forte e potente per mettere fine a questa serie di battaglie. Fu così che gli Istri furono costretti a scappare sempre più a sud, fino a rifugiarsi nella capitale, Nesazio, situata nei pressi di Pola. Il castelliere fu circondato dagli oppositori per diversi mesi, senza che questi riuscissero a espugnarlo. Alla fine, però, i Romani riuscirono a conquistare la cittadina grazie all’ingegno: deviarono il corso del fiume che approvvigionava la capitale. Gli assediati capirono ben presto che, asserragliati entro le mura della fortezza, sarebbero morti di sete e non ebbero altre scelta se non quella di arrendersi.
Il sovrano, non potendo accettare l’idea di finire in schiavitù e impossibilitato a evitare la sconfitta, salì in cima alla fortificazione e si suicidò assieme alla sua famiglia e ad altri generali militari a lui fedeli. Da quel giorno l’Istria passò sotto il dominio romano e re Epulo diventò nei secoli a venire il simbolo della lotta allo straniero e della liberazione.
Le tracce storiche di questa leggenda sono palesi ed è difficile stabile che cosa in questo racconto sia vero e che cosa sia frutto degli abbellimenti che con il tempo sono stati aggiunti alla narrazione originale.

Veli Jože
Di diverso impatto è invece la storia del gigante Veli Jože, forse la più conosciuta tra quelle legate alla penisola istriana, resa celebre dall’omonima opera di Vladimir Nazor.
Se Epulo rappresenta l’opposizione all’invasore e l’aspirazione all’autonomia, il gigante Veli Jože incarna il simbolo del passato travagliato dell’Istria e delle sue genti, ma al contempo anche della sua forza e la sua capacità di rialzarsi.
In un’epoca lontana, l’Istria era abitata da giganti, ma dei nani invidiosi e malefici li sterminarono per pura cattiveria. Lasciarono una sola di queste creature per le città, costringendola a occuparsi dei lavori più difficili. Secondo la tradizione infatti, i castelli adagiati in cima alle colline istriane sono stati costruiti proprio da queste creature mastodontiche che trasportavano grandi massi, pietre e alberi per creare villaggi e città. Veli Jože era il gigante di Montona che lavorava duramente e a volte scuoteva il campanile della cittadella per mettere in difficoltà i suoi abitanti, che allo stesso tempo erano i suoi aguzzini.
Un giorno il protagonista fu mandato a Venezia su di una galea, dove incontrò Elia, un galeotto che però gli insegnò che cosa fosse la libertà e la sua importanza. Come nelle migliori avventure un mare in tempesta sorprese l’imbarcazione che affondò assieme all’equipaggio. Veli Jože sopravvisse e una volta ritornato in Istria si unì ai suoi simili e instillò in loro il sogno della libertà. Ammaliati da questo concetto sconosciuto i giganti organizzarono una rivolta contro i nani per riprendersi il loro destino. La ribellione fu un disastro: i nani astuti e malefici comprarono con oro e vino le enormi creature che rinunciarono all’intento di riconquistare la libertà. Veli Jože rifiutò i doni dei nemici e, deluso dai suoi simili, oltre che stanco di essere sfruttato, si rifugiò in cima alla montagna in attesa di tempi migliori per mettere in atto la sua vendetta. La leggenda narra che il gigante sia ancora nascosto da qualche parte impaziente di realizzare il suo sogno e ritornare a essere il padrone di Montona per vegliare sulla Valle del Quieto.

Mare, la strega di Sanvincenti
Non solo giganti, l’Istria è piena di racconti che riguardano anche altre creature misteriose che popolano quel limbo indefinito di realtà e fantasticheria. Non mancano, infatti, racconti popolari che parlano di streghe e uno dei più famosi è quello che ha come protagonista la giovane Mare. Non si sa molto della vita di questa fanciulla, a parte il fatto che sia vissuta nella prima metà del 1600 e che probabilmente abbia vagabondato lungo la costa tra la Dalmazia e l’Istria, finché non si stabilì a Sanvincenti, all’epoca feudo della Repubblica di Venezia. Lì condusse una vita modesta, presumibilmente fatta di stenti e si guadagnò da vivere come erborista. Un mestiere che all’epoca poteva essere molto ambiguo; effettivamente non erano pochi gli spettabili frati che all’interno di notabili abbazie si dedicavano con abnegazione all’arte farmaceutica ed erano considerati degli eruditi. Ma la medesima professione svolta per sopravvivere da una ragazza ai margini della società era molto spesso vista come un’eresia. Ed è ciò che successe alla giovane Mare Radolovich, che fu accusata di stregoneria, oltre che di aver firmato un patto con il diavolo.
Una notte di fine settembre del 1632 Mare fu catturata e le furono fatte confessare tutte le colpe attribuitele, tra le quali quella di aver stretto un patto con il diavolo a cui avrebbe promesso di consegnare tre bambini innocenti. Nella sentenza di condanna si può leggere che la fanciulla, con la scusa di andare a curare una ragazza, si presentò a casa sua e baciandola le succhiò il sangue, causandole la morte. I capi d’accusa furono confermati dal cancelliere il 29 dicembre dello stesso anno, affinché la sua pena servisse da monito alle altre streghe. Il giorno dopo Mare Radolovich fu messa alla forca e fatta bruciare sul rogo nel cortile del castello di Sanvincenti.
Un’altra versione della stessa leggenda sostiene invece che la giovinetta fosse in realtà l’amante di un ricco nobile e per evitare che la loro relazione diventasse di dominio pubblico la ragazza fu, guarda caso, fatta eliminare.

Capitan Morgan
Risale sempre al XVII secolo un altro racconto popolare, che questa volta ha come protagonista un pirata, ma non uno qualsiasi, bensì uno dei pirati più famosi del mondo: il capitano Henry Morgan! Voi direte che abbiamo preso un granchio, perché di leggende su questa figura ne esistono tante sì, ma sono legate alle scorrerie che la sua flotta perpetuava nel Mare dei Caraibi. E invece sembra che il temibile Capitano Morgan sia approdato proprio in Istria, niente meno che per nascondere il suo immenso tesoro.
Il famigerato pirata, agli ordini della flotta inglese, fu anche corsaro e governatore della Giamaica, accumulò la sua ricchezza depredando navi, soprattutto lungo la costa di Granada, Cuba e Cartagena. Per motivi sconosciuti entrò in conflitto con i suoi connazionali e si dette alla fuga portando con sé l’immensa fortuna. Navigando in lungo e in largo approdò sulla costa istriana e sbarcò nell’insenatura del Canale di Leme, all’epoca conosciuto come un importante porto medievale che collegava in modo rapido la costa all’entroterra istriano. Da lì si mise alla ricerca del luogo ideale per nascondere il suo inestimabile bottino e ben presto giunse alla fortezza di Duecastelli, già abbandonata e in decadenza. Tra le rovine del castello, le pietre pericolanti e gli sterpi della vegetazione incolta il pirata nascose la sua refurtiva, che non fu mai più ritrovata. Attenzione però, perché la vicenda non finisce qui! A rendere ancora più credibili i fatti del racconto che si è tramandato nei secoli è l’esistenza, a poca distanza dal castello diroccato, di un villaggio chiamato niente meno che Morgani (Mrgani), toponomastico che sarebbe stato scelto proprio in onore del Capitano Henry Morgan. Secondo alcuni l’inglese avrebbe trascorso lì il resto della sua vita.

Il vampiro Jure Grando
Questa, però, non è l’unica leggenda istriana dal respiro internazionale. Infatti, spostandoci di qualche decina di chilometri e inoltrandoci nell’Istria centrale arriviamo a Coridigo (Kringa), situato nel Comune di Antignana, che nel passato ha ospitato nientemeno che un vampiro. No, non stiamo parlando di Dracula. Ma se il conte originario della Transilvania è certamente il vampiro più famoso al mondo, quello istriano è il primo a essere apparso in Europa. Ci riferiamo a Jure Grando, personaggio realmente esistito, morto nel 1656 e sepolto nel cimitero locale. E fino a qui niente di straordinario direte voi, se non fosse per il fatto che dopo la sua morte questo soggetto iniziò ad apparire di notte agli abitanti del villaggio. Le cronache riportano che l’essere bussava alle porte e che in seguito alle sue visite, alle famiglie che se lo ritrovavano in casa capitava una disgrazia. Il vampiro seminò il terrore per ben 16 anni, finché il sindaco Miho Radetić non riunì nove uomini e assieme a loro andò al cimitero per disseppellire il morto e conficcargli nel torace un palo di biancospino. Aperta la bara, la combriccola rimase esterrefatta dalla visione che si trovò davanti: il corpo del defunto era completamente conservato, con tanto di gote rosse e un sorriso beffardo sul volto.
I nove uomini scapparono all’istante terrorizzati da ciò a cui avevano assistito, per fare ritorno in seguito assieme a un sacerdote che si mise a pregare sulla tomba. Non riuscendo a trafiggere con il palo le spoglie del defunto, decisero di decapitarlo con un’ascia. Sembra che da allora Jure Grando non si sia più fatto vedere nel villaggio e abbia smesso di intimorire gli abitanti del posto.
Come tutte le leggende anche quelle istriane sono racconti che sono stati tramandati per generazioni con il passaparola e che, nel corso del tempo, sono stati arricchiti e modificati a seconda dei casi e delle situazioni. Alcune sono avallate da fatti storici, altre forse sono il frutto della fantasia, ma tutte raccontano a loro modo aspetti e sfumature di determinate usanze locali. Il bello di queste narrazioni risiede nel fatto che sono universali e che ognuno è libero di scegliere se crederci o meno.

Nesazio.
Foto: Dusko Marusic/PIXSELL
Un’antica bara custodita
nel Castello Grimani-Morosini
a Sanvincenti.
Foto: Srecko Niketic/PIXSELL
Il fiume Quieto.
Foto: Srecko Niketic/PIXSELL

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