Il tempo libero e lo svago tra Covid e stress

Le misure antiepidemiche hanno inciso sulla percezione delle vacanze e sugli spostamenti. Tra voglia di divertimento e necessità di tutelare la salute va considerata l’opportunità di pensare a un modello nuovo

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Il tempo libero e lo svago tra Covid e stress

Le restrizioni che limitano gli spostamenti e i viaggi dettate dalla volontà di limitare la diffusione dei contagi da Covid-19 e quelle che dettano le regole da rispettare sui luoghi di lavoro hanno sempre più messo sotto pressione il modo di vivere il tempo libero. In questi due anni, arrivato sul calendario il periodo delle vacanze, appare difficile capire che cosa siano diventate e come sfruttare il tempo libero tenuto conto che la contingenza sanitaria non è ancora acqua passata.

Incolonnamenti e assembramenti

Per i sovranisti la colpa di questa pandemia è da imputare, oltre che alla globalizzazione, anche alla leggerezza con la quale in questi anni sono stati attraversati i confini. Ma il turista ai tempi del Covid a giudicare dalle file registrate ai valichi tra Croazia e Slovenia, non intende desistere dal mettersi in viaggio. Le ore di coda e gli affollamenti visti in tanti luoghi di vacanza dimostrano come non ci sia stato un ripensamento delle strategie. Il tempo libero si continua a viverlo come si è sempre fatto. Inoltre, più persone mi confermano che dopo aver portato per lungo tempo, con lo smart working, il lavoro a casa sia ora difficile staccare completamente. Le ragioni potrebbero essere diverse. I posti di lavoro sono diventati sempre più competitivi e i dipendenti sovraccarichi, dunque lavorare in vacanza aiuterebbe a tenere il passo; inoltre l’ubiquità degli smartphone e più in generale della tecnologia, consente di avere il lavoro costantemente a portata di mano o meglio di device. Immagino tante persone che anche durante le vacanze, magari facendo un’escursione in montagna, non resisteranno alla tentazione di sbirciare sullo smartphone un’e-mail, un messaggio su Whatsapp, un cinguettio apparso su Twitter e destinato al gruppo di colleghi. Quello che era lo slogan del “sempre connessi” è ormai una corda che ci tiene legati a quello che succede in ufficio e nell’ambiente lavorativo e decidere di tagliarla non è così semplice.

Lavorare è più facile

Un’altra ragione per cui si prendono le vacanze per lavorare è che spesso è più comodo e facile rispetto al resto della nostra vita. Nascondendoci nel nostro lavoro anche quando siamo in vacanza, siamo in grado di ignorare le relazioni personali, le dinamiche familiari e i nostri stessi sentimenti. Lavorare in vacanza è un meccanismo di difesa. Ci aiuta a evitare di affrontare la prospettiva preoccupante che potremmo non avere una vita al di fuori del lavoro. Della riscoperta delle cose semplici si è stanchi, così come delle camminate dietro casa o delle locande e dei bar di quartiere. Il pensiero dominante resta sempre lo stesso: soltanto lontano da casa ci si può rilassare, si può essere spontanei, si riesce a impersonare personaggi o portare abiti che altrimenti durante l’anno non si indosserebbero mai. La pandemia, dunque, ha soltanto rafforzato la voglia di lasciare la propria abitazione e il turista, specialmente quello più giovane, si sente discriminato perché è messo nella condizione di dover esibire il passaporto Covid, oppure di affrontare una spesa per dimostrare che non è stato “unto dal virus”. In alcuni Stati come negli Emirati Arabi sono previsti tamponi per chi arriva, braccialetti elettronici di monitoraggio e un periodo di quarantena obbligatoria.

Il vaccino e il green pass

Non tutti hanno ancora ricevuto la seconda dose, alcuni non vogliono vaccinarsi e sono costretti a effettuare test per poter viaggiare. In gran parte degli Stati europei il green pass è obbligatorio anche per entrare in alcuni luoghi al chiuso, come ristoranti e bar, ma anche musei, mostre, palestre, piscine, parchi di divertimento, feste e strutture sanitarie. In Italia, a partire dal primo di settembre, il governo ha esteso l’obbligo del green pass anche per accedere ai treni di lunga percorrenza e aerei. Quindi un vaccino che all’inizio sembrava una scelta di responsabilità, sta diventando sempre più un obbligo sanitario. I dubbi restano per un virus che è ancora a bassa letalità (attualmente stimata intorno allo 0,7 p.c. dei casi, con grande variabilità in relazione all’età media della popolazione colpita), e per un vaccino che inizia a sollevare anche nel Parlamento italiano alcuni dubbi in particolare con l’Atto di sindacato ispettivo al Senato n° 1-00388 del 16 giugno. Nel documento si legge che il Senato vista: “…la natura del vaccino sperimentale con dati limitati sulla sicurezza degli adulti a breve termine e non disponibili(…)”, impegna il governo “ad attivare urgentemente il Comitato etico dell’Istituto superiore di sanità per la valutazione dei benefici e dei rischi della somministrazione dei vaccini antiCovid -19 agli under 18(…), sospendere la vaccinazione di massa degli under 18(…) e potenziare la rete di farmacovigilanza con un sistema dedicato al Covid-19(…)”.

Destinazioni sicure

Ma allora che cosa fare in vacanza considerate le norme, i divieti e i passaporti vaccinali? Gli aspiranti turisti e la significativa percentuale di persone con famiglia all’estero non si fermano davanti a queste difficoltà. Sono come atleti in attesa del colpo di pistola alla partenza. Valutano tutte le strategie e restano flessibili e pronti a partire nell’istante in cui viene annunciato qualcosa di positivo, disposti a combattere tra loro per i luoghi più ambiti esibendo certificati e QR lasciapassare. In Croazia i luoghi da visitare sono numerosi e considerati “sicuri” con tanto di strutture a bollino verde e dai prezzi allettanti e per il momento possiamo ancora stare sereni che il green pass va esibito soltanto alla frontiera (e allo stadio). La vacanza resta un “rito prezioso”, una liberazione, uno spazio sospeso e rigenerante sottolineato dall’essere altrove.

Le vacanze dei nonni

Il rito di base della “vacanza” ne ha generati altri come il guardaroba delle vacanze, l’eccessivo shopping dell’ultimo minuto all’aeroporto, le attrazioni culturali all’aperto in luoghi di interesse storico che normalmente non sono oggetto di interesse, l’ansia di “dove” e “con chi”, entrambi indicatori dello status sociale. L’obiettivo tossico del “corpo da bikini” è rimasto ancora in agenda? Che cosa resta dell’imperativo della “vacanza di una vita” o del “ricongiungimento familiare”? Se penso alle vacanze dei miei nonni invece (ri)scopro una realtà completamente diversa dove non c’era nulla di tutto questo. La vacanza significava “niente di programmato” e viaggiare all’estero era una possibilità per pochi. Ci si ritrovava sempre con le stesse persone, ma si poteva passare più tempo a giocare a carte. C’erano poi le serate ai cinema all’aperto che, ancora lontani dalle grandi sale da centro commerciale, offrivano la possibilità di vivere un’esperienza paradisiaca in luoghi le cui insegne recitavano Splendor, Lux o Eden. Ricordo anche le lunghe giornate estive durante le quali noi bambini impegnati in giochi all’aperto non coglievamo alcuna divisione tra più e meno ricchi, nemmeno quella tecnologica. Gli adulti andavano avanti con le loro vite e le gite in famiglia riconoscevano che la vacanza è soltanto uno “stato d’animo”. Da bambini la vacanza era una sensazione, come stare rimboccato sotto le coperte nel proprio letto di casa a mezzanotte, in una notte d’estate. Eri sempre nello stesso posto, magari un po’ insoddisfatto, ma ti “sentivi” lontano.

Il boom economico

Dopo il boom economico, in Italia, sono iniziati gli assalti alle spiagge dell’Emilia Romagna, alla costa Adriatica e alle balere. Oggi nonostante la pandemia e la perenne crisi economica, il desiderio di vacanza in luoghi lontani non è cambiato e a questo si è aggiunto l’ecoturismo sia per le strutture riceventi ecosostenibili sia per il turista responsabile che sta attento allo spreco delle risorse e alla comunità locale. Ecco quindi che nel 2019 si è iniziato a parlare anche del fenomeno denominato “flight shaming”, letteralmente “vergogna di volare”, divenuto nell’era postCovid “travel shaming”, ovvero “vergona di viaggiare”. Dalla tendenza che ha portato ad evitare di prendere aerei perché consapevoli e responsabili dell’impronta di carbonio lasciata nell’atmosfera si è passati a una specie di invidia manifestata sui social con un sorta di “cyber bullismo” verso chi può permettersi di viaggiare senza troppi controlli per lavoro.

Una formula nuova

Il tempo in cui i bambini potevano vagare liberi è probabilmente passato da un pezzo e nessuno vuole tornare a un mondo in cui qualcuno doveva dire, spesso perché non poteva permetterselo, che “andare all’estero è volgare!”. Le chiusure hanno aumentato il bisogno di un altrove, del corpo e dello spirito. Tante restrizioni devono essere contrastate in qualche modo perché se è vero che un cambiamento fa bene come un riposo, allora forse un ritorno alle vacanze pre-pandemia sarebbe quel cambiamento. Per il momento bisogna trovare altri modi di viaggiare, altre possibilità di interpretare il tempo libero e la vacanza. Forse non meno divertenti, ma sicuramente diversi.

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