Dignano, pietra su pietra

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Dignano, pietra su pietra
Foto: CARLA ROTTA

Pietra, legno e ferro battuto sono certamente denominatore comune di tutte le località dell’Istria. Quello che le rende diverse è la fattura, l’abilità e la maestria di chi ha usato questi materiali al meglio. Non fa eccezione Dignano. Che cosa dire di Dignano che già non sia stato detto? Certo, non è stato detto tutto: la storia si lascia leggere e qualcosa di non ancora sondato e scandagliato certamente c’è. Noi allora vi invitiamo a una semplice passeggiata nel cuore della località, intorno alla piazza, dove la pietra parla una lingua antica. C’era una volta un castello. Che il destino aveva più volte ferito e che la popolazione aveva recuperato, finché nel 1808, l’allora podestà Giovanni Andrea dalla Zonca non realizzò che ormai riparazioni, restauri e manutenzione costavano troppo. Di converso, alla cittadina mancava una piazza e proprio il castello toglieva luce e aria alle case: si decise di demolire il castello, creando quella che è oggi Piazza del popolo. Con le pietre del maniero vennero lastricate le strade (alcune dotate di piccole vaschette, per garantire l’acqua agli animali randagi), e allora, forse, con un po’ di fantasia si potrebbe dire che bene o male il castello resiste. La pietra ha assunto varie forme.

La troviamo come materiale da costruzione, lavorata per creare eleganti balconcini, balaustre, stemmi, mensole, gronde, “baladuri”, cisterne. Belle finestre: monofore, bifore, trifore… divertitevi pure a contarle. Anche a confrontarle, se volete. Ad arco acuto, ad arco a tutto sesto; ce n’è per tutti i gusti e sono ugualmente belle e interessanti. E ancora, porte e portoni. Poi paracarri, riempitivi di angoli tra due case. Ancora oggetti pratici, pile (per conservare l’olio, ad esempio), macine, abbeveratoi per gli animali in stalla…
E poi che dire delle singolari pietre bucate, sporgenti dalle facciate delle case? Questione estetica? No, piuttosto pratica: su un bastone infilato tra due pietre si mettevano ad asciugare i tessuti.
Ma si potrebbe andare più lontano ancora, seguendo le tracce della pietra. Ai “casteleri”, ad esempio, che nel Dignanese non manca(va)no. Alle casite (scusate una punta di campanilistico orgoglio: nel Dignanese c’è la concentrazione più elevata di casite in tutta Europa). Un consiglio: per i dati rivolgersi a Internet, per il resto, consigliamo una bella passeggiata non a caccia di numeri ma di sensazioni. Ogni cosa è stata prodotta, ricava, creata dalla mano dell’uomo. pensate all’abilità e alla bravura di gente lontana, che non poteva contare sulle macchine ma solo su rudimentali arnesi, eppure… Guardate con rispetto quello che è stato fatto. E ascoltate. Muto come la pietra? No, la pietra parla. Basta saperla ascoltare.

Stemmi da… Collezione
Ad un occhio attento certo non sfuggiranno gli stemmi che abbelliscono alcune case. Bisogna, naturalmente, guardare in alto. Si tratta di stemmi di rettori e di famiglie notabili che in qualche modo hanno scandito la storia della città; ma ci sono anche stemmi di confraternite, dei Cavalieri di Malta, di associazioni… Lo stemma di Dignano, lo ricordiamo, rappresenta una croce rossa su sfondo bianco sovrastata da una corona scolpita. Lo stemma che un tempo si trovava sul castello ora abbellisce la facciata di Palazzo Bradamante.
Forse, cercarli uno ad uno per le vie e le contrade di Dignano potrebbe essere un po’ un’impresa: rimandiamo allora, di nuovo, a Palazzo Bradamante, che nell’atrio ospita la mostra permanente degli stemmi riprodotti in grandezza naturale.

Mascheroni, truci per piacere
Pochi ma pittoreschi. Su portoni di alcuni palazzi vicino alla piazza e in piazza spiccano i mascheroni. a volte hanno lo sguardo accigliato, truce, che certo non invita ad entrare, altre regalano un rassicurante sorriso. Hanno, naturalmente, funzione unicamente estetica e li si potrebbe ritenere una sorta di status symbol: non li si trova, infatti, sulle facciate delle case popolari, ma solamente su quelle di gente più danarosa. I mascheroni hanno origine nell’antica Grecia (più precisamente risalgono all’età ellenistica) e volevano essere un segno di benvenuto; nelle colonie italiote ebbero il compito di tenere lontano le sventure. Nel periodo manierista e barocco, nella rivalutazione del grottesco, i mascheroni vennero usati come decorazione delle chiavi di volta dei portali.

Una merlatura ghibellina
Palazzo Bettica ha un fascino tutto suo. Costruito presumibilmente nel XIV secolo, nel XVI secolo divenne di proprietà della famiglia Bettica, dalla quale prende il nome. Il palazzo riporta ancor oggi lo stemma di famiglia, sul quale fa sfoggio la betonica. Nella seconda metà del XIX e nella prima metà del XX secolo cambiò spesso proprietario e fu oggetto di rimaneggiamenti, Ora ospita il Museo, che espone reperti archeologici datati al primo medioevo, la preziosa collezione di quadri donati a Dignano da Gaetano Gresler nel 1818 e una raccolta di oggetti di valore etnografico.

Quello che solitamente passa inosservato, è il muro perimetrale del cortile, con merlatura ghibellina. I ghibellini, naturalmente, non c’entrano. Guelfi e Ghibellini erano le due fazioni contrapposte nella politica italiana del Basso Medioevo, in particolare dal XII secolo sino alla nascita delle Signorie nel XIV secolo.

Le origini dei nomi risalgono alla lotta per la corona imperiale dopo la morte dell’imperatore Enrico V, avvenuta nel 1125, fra le casate della Baviera e della Sassonia (Welfen, da cui “guelfo”; sostenitori del papa) contrapposte a quella della Svevia (Waiblingen). Le fortezze dei guelfi erano caratterizzate dalla merlatura squadrata; quelle dei ghibellini da merlature a coda di rondine. I Bettica ghibellini? No, davvero. Intanto, già l’epoca è più tarda e quindi si potrebbe pensare piuttosto a una scelta artistica del committente o chi per esso.

Già che ci siamo: via Portarol è forse un po’ secondaria e allora forse qualche dettaglio può sfuggire. Sulla finestra più in alto di Palazzo Bettica si può notare una bella meridiana; oggi inutile in termini pratici, ma curiosa in termini storici.

Cisterne, eleganti forzieri d’acqua
E quando non c’era l’acqua? Intendiamo quella portata dalle condutture dell’acquedotto. Si era nelle mani del cielo. Che non sempre era generoso. Dignano in passato soffrì parecchio la mancanza d’acqua. Si ovviava con le cisterne (ma bisognava attingervi con estrema attenzione, senza sprechi). Per dire quanto l’acqua fosse poca e preziosa, il dato che a suo tempo qualcuno ebbe a dire che “talora d’estate è più facile di trovare a Dignano un buon litro di vino, che mezzo litro di acqua potabile”.

Nel 1900 Dignano aveva 190 cisterne della capacità complessiva di 10.216 metri cubi. Inoltre, annualmente giungevano in città, per mezzo ferrovia, 100 carri d’acqua della capacità complessiva di mille metri cubi. La quantità giornaliera d’acqua consumata nella località per tutti gli usi (domestico e industriale), escluso l’abbeveramento degli animali, corrispondeva a 5 litri e mezzo per persona e circa 29 litri al giorno per casa. Bisognava pensare anche agli animali: l’acqua loro necessaria corrispondeva a 14.136 metri cubi l’anno.

Oggi di cisterne “buone” non ce ne sono: moltissime erano state trasformate in pozzi neri oppure semplicemente lasciate all’incuria. Certo, continuano ad abbellire molti cortili: sono di bella fattura, molte recanti lo stemma della famiglia che le fece costruire. La più vecchia? si trova nel cortile di Palazzo Bettica, è datata 1525 e reca le iniziali I.B., che riconducono a Isidoro Bettica, il capostipite della famiglia.

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