Cartiera. Patrimonio industriale che… sanguina

Il maestoso complesso dell’ex Fabbrica della carta di Fiume, per il quale la città ai tempi d’oro dell’impianto, si fece conoscere ben al di fuori dei confini nazionali, oggi si presenta come l’ennesimo eclatante esempio di degrado cittadino. L’abbiamo visitato, tra resti e detriti vari, vedendo cose che mai avremmo voluto vedere

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Cartiera. Patrimonio industriale che… sanguina
Il complesso con il suo camino alto 83 metri

Nella parte alta della città, a settentrione, immersa in un intrigante paesaggio naturalistico-urbano, non estraneo agli scenari quarnerini, incastonata nell’avvallamento tra i colli Santa Caterina e Tersatto, altri edifici (la centrale elettrica HEP) e la scalpitante sorgente dello Zvir, giacciono i resti dell’ex Cartiera, al giorno d’oggi comunemente chiamata “Hartera”. Il possente complesso, abbandonato da una ventina d’anni, attualmente è soltanto la parvenza di quello che fu un enorme stabilimento che produceva carta.

Passeggiare tra gli spazi abbandonati…

Nato da un’idea visionaria dell’imprenditore fiumano Andrea Lodovico de Adamich a inizio ‘800, chiuse i battenti nel 1999, dopo 180 anni di attività. Nella sua imponenza, l’opificio principale contava cinque piani e una lunga serie di finestre lungo l’intero corso perimetrale. Se la sua storia è, senza dubbio, avvincente, la viva esplorazione appassiona e coinvolge più di ogni dettaglio informativo. Ecco, allora, che decidiamo di visitarla. Accompagnati dalla nostra preziosa guida, il collega Igor Kramarsich, esperto conoscitore del luogo e della materia, curiosità e obiettivo in mano, l’escursione è iniziata di buon mattino, in modo da sfruttare le ore di luce a disposizione.

L’ex Centrale termoelettrica è stata riqualificata in Incubatore per le tecnologie creative e l’industria IT

Giunti sul luogo, un’ondata di profetico silenzio e umida frescura, quasi un presagio dello scenario e delle sensazioni che avremmo vissuto, ci hanno subito avvolti. Varcata la soglia, o ciò che ne resta, del colosso di cemento armato e metallo, il primo quadro, decisamente desolante, è quello di sparpagliati e disordinati ammassi di pietre, mattoni, lamiere, detriti, calcinacci, assi di legno, mobili semidistrutti, scritte e graffiti, bombolette, pezzi di ferraglia arrugginiti, infiltrazioni, infissi cadenti, esito del crollo, del tempo, dell’opera, ormai tristemente, e troppo spesso, devastatrice, dell’uomo. La sua funzione originaria è deducibile soltanto dalla permanenza dell’accenno di qualche elemento per la produzione sopravissuto (ruote, rotaie, turbine) e dalle cosidette “vasche olandesi”, anche se danneggiate, nelle quali gli stracci venivano lavati, sfilacciati e impastati con le acque della Fiumara.

Spesso vi soggiornano clochard e tossicodipendenti

I pochi segni del passato s’ intravedono, altresì, nei contorni in legno dei pannelli dedicati ai turni dei dipendenti, vuoti come il nulla che incorniciano. Fa un certo effetto pensare che, nel pieno dell’attività, qui, ogni giorno lavoravano circa mille anime. Proseguendo l’esplorazione, a un certo punto Igor ci indica l’ingresso in una grotta, una volta adibita a magazzino, troppo invasa dall’acqua per entrarvici, il cui budello anteriore, buio e impregnato di umidità e squallore tradotto in rifiuti di qualsiasi tipo, scatole di sigarette e metadone, nonché di tante, troppe, siringhe, fa rabbrividire, graffiando cuore, stomaco e cervello.

Una delle pericolanti scalinate

Infinite domande e pensieri, frammisti a un’irrisolvibile sensazione di rabbia e impotenza, in automatico si aggrovigliano. Risposte, ovviamente, non ce ne sono (o l’incuria in sé ne è già una?). Più in là una bianca scalinata, dalle sembianze pericolanti, ma sorretta da potenti costruzioni in metallo e abbastanza larga per farci decidere di affrontarla, ci ha fatto salire al secondo piano, dove lo scenario, con qualche variazione, si ripete: laterizi ovunque, mucchi di immondizia, polvere, segni della presenza di un’umanità derelitta e, soprattutto, negli spazi esterni, ma non manchevole in quelli interni, un’esplosione di vegetazione che rivendica ciò che in passato le è stato sottratto e, rovo dopo rovo, divora a piccoli, ma pungenti morsi, la fabbrica smantellata.

Immagini che valgono più di mille parole

I piani superiori sono accessibili sempre tramite improbabili scalinate, in pietra o ferro massiccio arrugginito, a tratti piuttosto tetre ma che, allo stesso tempo, alimentano fascinazione e la curiosità di arrampicarsi e, magari, scoprire sfondi più rassicuranti o confermare quel senso di inevitabile disagio.

Messaggi che fanno a pugni con la realtà

Raggiunti gli ultimi due piani, aggiunti più in là nel tempo, e quindi consistenti in materiali completamente diversi, in cui la fanno da padrona le pareti in lamiere e latta, la luce naturale gioca paradossalmente con la marea di vetri a terra e gli spigoli di quelli (pochi) ancora aggrappati alle finestre ma, effettivamente, non c’è molto da vedere. Trattasi, insomma, e ce ne rendiamo conto con grande rammarico, di un vero e proprio rudere, una carcassa ridotta all’osso, pericolante e velenosa per l’ambiente, con una storia importante alle spalle e l’impressione (o regola?) che tutto va dimenticato.

Ciò che resta delle vasche

Usciamo e ci avviamo verso il resto del patrimonio abbandonato dell’ex Cartiera, altri immobili dall’architettura imponente, dalle atmosfere più docili e colorati, con visibili tracce lasciate da svariati artisti, che si articolano in graffiti, piccoli lettering, creazioni urbane e opere figurative, alcuni dei quali, qualche tempo fa, oggetti di riqualificazione e convertiti al consumo culturale, come quello in cui veniva organizzato l’Hartera Music Festival, svoltosi nei capannoni abbandonati della fabbrica fino al 2016, quando gli spazi in rovina sono stati dichiarati non sicuri. Passeggiare nei meandri degli stessi crea un misto di malinconia, avvilimento e rimpianto per quello che quel gigante industriale, ormai rassegnato e stanco, ha rappresentato.

…e di arredamento buttato via

Brevi cenni storici
La Cartiera è uno degli insediamenti industriali più grandi, importanti e longevi della storia di Fiume, lambita dall’Eneo che l’affianca. La produzione della carta ebbe inizio nel 1821, realizzata sfruttando la forza idrica dello stesso, grazie all’imprenditore fiumano Andrea Lodovico de Adamich il quale, precedentemente, aveva acquistato il mulino Lučica, sito nel canyon del fiume, di fronte allo Zvir.

In ogni angolo dell’impianto ci sono resti di processi produttivi…

All’epoca, la materia prima sfruttata consisteva prevalentemente in stracci vecchi in tessuto di canapa e lino. Nel 1827 vendette lo stabilimento a Walter Crafton Smith e Charles Meyner, una coppia esperta nella produzione della carta, grazie ai quali cominciò l’era di costanti investimenti nel processo produttivo, della costruzione di uno stabilimento moderno con tanto di macchina a vapore (acquistata nel 1833), la prima in Croazia, e il conseguente aumento del numero di lavoratori.

Il complesso dell’ex Cartiera è abbandonato a sé

Nel giro di poco, lo stabilimento divenne il fiore all’occhiello dell’economia fiumana, con la bellezza di mille impiegati. Alla fine del XIX secolo ebbe luogo l’introduzione della novità più rivoluzionaria nel processo produttivo: i vecchi stracci vennero sostituiti dalla cellulosa e la Cartiera iniziò a produrre carta regalo, carta postale, la carta crespa, carta da stampa e da sigarette (di consistenza più leggera), come pure tante altre varietà che venivano prodotte e che, in seguito, venivano esportate in tutti i continenti (dopo la Seconda guerra mondiale addirittura in 50 Paesi).

Quello della Cartiera è uno dei tanti esempi di patrimonio industriale dimenticato e non valorizzato

Grazie all’eccellente qualità dei suoi prodotti, lo stabilimento ottenne numerosi riconoscimenti in tutta Europa e aprì rappresentanze nelle maggiori città europee (a Vienna, Pest, Londra, Monaco, Parigi, Barcellona). Nel 1980 la Cartiera produceva il 7 per cento di tutta la carta da sigarette a livello mondiale e, nel 1991, risultò essere la seconda in Europa per importanza e qualità.

…provoca una sensazione d’impotenza

Nel XX secolo la fabbrica subì numerosi cambiamenti a livello di gestione e di proprietà, ma il lavoro proseguì sempre senza intoppi. Gli anni Novanta del secolo scorso, però, come per altre imprese fiumane, risultarono fatali. Infatti, dopo più di 180 anni di attività, nei quali il complesso aveva lavorato piazzando i propri prodotti in buona parte del globo, chiuse definitivamente i battenti nel 1999, in seguito a troppe decisioni non ben ponderate e, in molti casi, probabilmente erronee. La procedura fallimentare si concluse nel 2005. All’epoca lo stesso dava lavoro a 1.150 persone, che dovettero cercare altri impieghi. A ricordarla oggi rimane solo la solitaria ciminiera, alta 83 metri.

A quando un progetto di rinnovo?

I capannoni e l’edificio amministrativo
I capannoni nelle adiacenze della struttura principale sono stati costruiti separatamente, tra il 1827 e il 1827, in mattoni e pietra (i segmenti in cemento armato risalgono a rimaneggiamenti seguenti), ma poi modificati in modo da funzionare come uno spazio unico. Originariamente erano stati concepiti come sale per lo smistamento e lo stoccaggio degli stracci ma, nel tempo, divennero parte della struttura. Il loro valore risiede nei locali di produzione al piano terra, caratterizzati da modanature architettoniche barocche ben visibili. Oggidì, nonostante la riconosciuta importanza, sono abbandonati e in pessime condizioni. Il palazzo amministrativo, a differenza delle succitate strutture ancora ben conservato, fu eretto nel 1827. Trattasi di un edificio a due piani, edificato per lo più in cemento armato, con aggiunte murarie in laterizio e interessanti decorazioni in pietra sugli architravi delle porte e delle finestre. Un dettaglio molto particolare è la lanterna del tetto, posta sopra il frontone triangolare, la quale si conclude con una torretta arricchita da un puntatore di ferro con i quattro punti cardinali. Al suo interno opera uno studio odontoiatrico.

La struttura versa in uno stato pietoso

Quale futuro?
Oggi l’ex fabbrica riposa, dolorante, ferita e ridotta a uno scheletro, con accanto, la Fiumara che scende in energici scrosci e alimenta la centrale idroelettrica. È una ferita aperta nel cuore delle città, fonte di degrado, ma anche potenziale risorsa in attesa di essere valorizzata, sia in termini storico-culturali che economico-produttivi, oltre che nell’altro importante principio di salvaguardare un ulteriore consumo del suolo.

Un degrado che urla alla vergogna

La stessa crea un vuoto urbano, relativo soprattutto a questioni di sicurezza, di degrado sociale e ambientale, a dir poco, problematico. Investire nella loro riqualificazione significherebbe trasformare un problema in un punto di forza, restituire al territorio nuovi spazi di valore.

La Città, per il momento, sembra non avere un’idea per rivitalizzare quella che ai suoi tempi d’oro fu una delle fabbriche più proficue

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