«Non vogliamo l’Uljanik. Giù le mani dal 3. maj»

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«Non vogliamo l’Uljanik. Giù le mani dal 3. maj»

FIUME | L’identità di Fiume e lo spirito dei suoi abitanti sono stati plasmati dall’industria. Il 3. maj è l’ultimo baluardo del settore industriale che ha contribuito a rendere grande e prospero il capoluogo quarnerino. Il cantiere navale di Cantrida ora è costretto a fare i conti con una delle peggiori crisi della sua storia, forse la più grave di tutte. Le origini del 3. maj risalgono al 1892, quando i cantieri navali Howaldtswerke di Kiel, decisero di ampliare il loro piccolo impianto per la riparazione di barche che avevano impiantato a Cantrida. Ora, 126 anni più tardi, dopo essere riuscito a sopravvivere a tre guerre, il 3. maj rischia di soccombere a causa di un processo di privatizzazione condotto in un modo quanto meno discutibile.

Capitalismo clientelare

I circa 1.300 dipendenti dello stabilimento navalmeccanico fiumano, temono di essere le prossime vittime delle speculazioni del capitalismo clientelare. “Pretendiamo di sapere “dove sia finito il denaro (del 3. maj)”, è stata la domanda posta anche in piazza della 128.esima Brigata dell’Esercito croato a Fiume, dove molti dei cantierini si sono radunati ieri per manifestare pubblicamente tutta la loro amarezza. Lo scorso mese i dipendenti del 3. maj non hanno percepito lo stipendio. Anche la paga di ottobre appare ormai ai loro occhi una chimera. Ma ciò che suscita maggior paura nelle file dei cantierini fiumani è la quasi totale assenza di ordinativi nel portafoglio delle commesse. Temono che lo storico stabilimento industriale di Cantrida possa essere costretto a chiudere i battenti. Uno scenario, questo, che obbligherebbe molti di loro a emigrare all’estero, in cerca di un lavoro, con il rischio di dover abbandonare per sempre il loro Paese e la loro città natale.

Terza settimana di sciopero

Il 22 ottobre scorso, in seguito al mancato versamento dello stipendio per settembre, i dipendenti del 3. maj hanno proclamato uno sciopero a oltranza. Le prime due settimane sono rimasti all’interno dello stabilimento, ad eccezione di un breve passeggiata di protesta compiuta lungo le vie di Cantrida. Ieri, invece, sono usciti dal perimetro del cantiere navale. Dopo aver percorso via Milutin Barač, via Re Krešimir, la Riva, piazza della 111° Brigata dell’Esercito croato, attraversato via Adamich, piazza della Repubblica di Croazia e il Corso, si sono radunati in piazza della 128° Brigata dell’Esercito croato per esprimere la volontà di continuare a costruire navi a Fiume. Inoltre, hanno lanciato un appello ai manager di Pola e ai politici di Zagabria a smetterla di fare a scaricabarile per quanto concerne la loro sorte e il futuro del 3. maj.

Le richieste dei lavoratori

Le richieste dei cantierini fiumani sono state esposte dai rappresentanti del Comitato di sciopero, dell’Unità di crisi, dei sindacati e dell’Associazione dei difensori croati in seno al 3. maj. Oltre al versamento dei salari, hanno preteso che siano fornite garanzie per quanto concerne il mantenimento della produzione navalmeccanica a Fiume, la destituzione di Maksimilijan Percan dal ruolo di direttore del 3. maj e la nomina di un nuovo Consiglio di Vigilanza del medesimo. I cantierini fiumani hanno sottolineato di non voler avere più nessun legame con Pola. Per l’esattezza, hanno preteso che il 3. maj riottenga la sua autonomia dal Gruppo Uljanik, inclusa l’ex Fabbrica di motori e gru e gli altri reparti del cantiere navale fiumano accorpati negli scorsi anni allo Scoglio Olivi. Inoltre, hanno detto di attendersi che l’Uljanik renda i 523 milioni di kune presi in prestito dal 3. maj. A illustrare le richieste dei cantierini fiumani sono stati il presidente dell’Unità di crisi del 3. maj, Predrag Knežević, il presidente del Comitato sindacale per la salvaguardia del cantiere, Juraj Šoljić, il responsabile dell’Ufficio fiumano del Sindacato dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia (SIKD), Vedran Sabljak, il presidente dell’Associazione dei difensori croati in seno al 3. maj, Sveto Zurak, e Boris Bučanac, membro del Comitato di sciopero in seno allo stabilimento navale. Ai presenti si sono rivolti anche il presidente dell’Assemblea della Regione litoraneo-montana, il connazionale Erik Fabijanić, e il presidente del Consiglio municipale di Fiume, Andrej Poropat.

Il portafoglio è vuoto

Secondo Juraj Šoljić la crisi che attanaglia il 3. maj è la più grave di tutta la sua storia ultracentenaria. “Quando è stato rilevato dall’Uljanik il 3. maj era una società risanata e il portafoglio degli ordinativi era pieno di commesse. Nel 2013 il fatturato del 3. maj ammontava a 760 milioni di kune”, ha osservato Šoljić. “Ora, cinque anni più tardi – ha proseguito – nel portafoglio degli ordinativi c’è una sola commessa. Il debito nei confronti dei fornitori ammonta a 157 milioni di kune. L’Uljanik non ci ha restituito il prestito di 523 milioni di kune. Il 3. maj lavora in perdita”. “Se non cambiamo registro, tra poco potremo porci un’unica domanda: chi di noi sarà l’ultimo ad uscire e a spegnere la luce?”, ha detto il sindacalista. Šoljić ha espresso il parere che il 3. maj sia vittima di una devastazione sistematica. Ha sollecitato il governo e il Ministero dell’Economia ad aiutare il 3. maj a staccarsi dal Gruppo Uljanik e ad assicurare al cantiere navale fiumano una direzione capace di tutelarne gli interessi. A tale proposito ha spiegato che sarebbe corretto includere nel Consiglio di Vigilanza dell’Gruppo Uljanik anche i rappresentanti del 3. maj e consentire agli esponenti del cantiere navale fiumano di avere voce in capitolo nella stesura del Piano di ristrutturazione del Gruppo navalmeccanico istriano.

L’appello al governo

Al Programma di ristrutturazione dell’Uljanik ha fatto riferimento pure Predrag Knežević. “La direzione dello Scoglio Olivi deve prevedere nel nuovo Piano di ristrutturazione la scorporamento del 3. maj dal Gruppo Uljanik. Non vogliamo continuare a essere ostaggi anche per i prossimi cinque anni”, ha rilevato Knežević. Ha sollecitato i politici a mettere da parte gli interessi spiccioli e a lavorare tutti insieme per assicurare un futuro alla cantieristica navale. “Non dico che il governo non stia lavorando. Tuttavia, li prego di agire in fretta. I nostri colleghi se ne stanno andando in massa. Perdiamo da 10 ai 15 persone ogni giorno”, ha notato Knežević. Tuttavia, ha assicurato che in questo momento il 3. maj dispone ancora di risorse umane sufficienti a garantire il funzionamento del processo produttivo. Non solo, ha spiegato che molti ex dipendenti del 3. maj sono disposti a tornare a lavorare a Cantrida, qualora la produzione dovesse riprendere.
Sveto Zurak, a sua volta, ha notato che se la cantieristica navale può generare profitti in Italia e Germania, non c’è nessun motivo perché lo stesso non possa accadere anche in Croazia. “Naturalmente – ha puntualizzato –, a patto che i cantieri navali non siano costretti a pagare ai propri finanziatori tassi d’interesse del 5 p.c.”. “Stiamo rivivendo il ‘91”, ha affermato con grande rammarico il presidente dell’Associazione dei difensori croati in seno al 3. maj.

Un valore aggiunto

Vedran Sabljak (SIKD) ha contestato le tesi espresse da fantomatici esperti, stando ai quali i cantieri navali sarebbero dei pozzi senza fondo, che sopravvivono esclusivamente a spese dei contribuenti. Il sindacalista ha rilevato che a parte gli stipendi, nemmeno un soldo dei circa 30 miliardi di kune che lo Stato ha investito nella cantieristica navale negli ultimi due decenni è finito nelle tasche dei lavoratori. Ha ricordato che i cantieri navali creano valore aggiunto e assicurano lavoro a 9.000 persone direttamente e 38mila indirettamente, se si contano anche i dipendenti dei loro fornitori. “Direttamente o indirettamente, ai cantieri navali è legata la sorte di circa 150mila persone.”, ha affermato Sabljak. Ha notato che a conti fatti lo Stato ha investito mediamente nei cantieri navali 1,16 miliardi di kune all’anno. “D’altro canto gli stabilimenti navalmeccanici e le società ad essi collegate, hanno versato all’Erario una media di 1,26 miliardi di kune all’anno. Dunque, il settore navalmeccanico dà più di quanto riceve”, ha dichiarato Sabljak. Il sindacalista ha ricordato, inoltre, che la cantieristica navale genera tra il 12 e il 15 p.c. delle esportazioni croate.

Il sostegno della comunità

A esprimere sostegno ai dipendenti del 3. maj, a nome delle unità d’autogoverno sono intervenuti al comizio sindacale il presidente dell’Assemblea regionale litoraneo-montana, il connazionale Erik Fabijanić, e il presidente del Consiglio cittadino di Fiume, Andrej Poropat. “Un anno fa il Consiglio socioeconomico (litoraneo-montano, nda) si è riunito per discutere delle sorti del 3. Maj. Dopo, abbiamo partecipato a una serie di riunioni e segnalato i problemi che stavano affiorando. Gli stessi problemi che poi sono stati affrontati sia dall’Assemblea regionale sia dal Consiglio municipale della Città di Fiume. Tutte le volte ci siamo chiesti dove sia finito il denaro?”, ha notato Fabijanić. “Purtroppo – ha proseguito – sapevamo che si trattava di una domanda alla quale non avremmo ottenuto nessuna risposta”. Ha ricordato che sia la Regione, sia la Città di Fiume hanno chiesto alla direzione dello Scoglio Olivi di agire nell’interesse dei cantieri navali del Gruppo Uljanik. “Non lo hanno fatto. Se i nostri appelli fossero stati ascoltati oggi non saremmo qui a manifestare sotto la pioggia”, ha dichiarato il presidente dell’Assemblea litoraneo-montana. Fabijanić ha criticato il governo per non aver vigilato sull’attuazione delle clausole del contratto di vendita del 3. maj all’Uljanik.

Il significato di Patria

“Per che cosa abbiamo combattuto un quarto di secolo fa. Per difendere la Patria?”, si è chiesto Fabijanić, parlando non da presidente dell’Assemblea regionale, ma da reduce della Guerra patriottica. “La Patria è la casa nella quale si vive. La Patria è la scuola nella quale mandiamo i nostri figli. Ma la Patria è innanzitutto il posto di lavoro che ci permette di sostenere la nostra famiglia. Purtroppo, ora i dipendenti del 3. maj, rischiano di perdere la loro Patria. Di conseguenza, dirò due cose: giù le mani dal 3. maj e non vogliamo l’Uljanik”, ha tuonato Fabijanić. Il presidente del Consiglio municipale di Fiume, Andej Poropat, si è scusato con i dipendenti del 3. maj a nome di tutti i politici.

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