Tutto è già scritto

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Tutto è già scritto

Ormai sulla soglia della morte (infatti si spegnerà sei mesi dopo, il 21 gennaio del 1950, a 47 anni incompiuti), già gravemente minato dalla tubercolosi polmonare, l’8 giugno del 1949, George Orwell pubblicava il romanzo più discusso e citato del Novecento: Nineteen Eighty-Four, o più semplicemente 1984. Uno dei più influenti autori del secolo scorso, giornalista, opinionista politico e culturale, scrittore, prolifico saggista, critico letterario e attivista politico-sociale, nel 1946 si era stabilito a Jura, isola delle Ebridi, riprendendo l’attività con un’intensità quasi maniacale, per consegnare la sua ultima opera all’editore Fredric Warburg nel dicembre del 1948, anno da cui deriva il titolo, ottenuto appunto dall’inversione delle ultime due cifre. Britannico di origine scozzese, nato in India (a Motihari, Bihar), al secolo Eric Arthur Blair, prima di inventare il mondo utopico ne 1984 con il suo nuovo linguaggio – la neolingua – usato per trasformare la realtà, per trasformare il bianco in nero e per nascondere le verità importanti, con Secker & Warburg a metà finire degli anni Quaranta aveva già regalato ai lettori la fenomenale allegoria politica in chiave spiritosa de La fattoria degli animali (1945), in cui, sotto la parvenza di una favola per bambini, aveva offerto un’acuta parodia del comunismo centralista realizzato nell’Unione Sovietica. Il romanzo racconta la storia di una rivoluzione, quella che ebbe le migliori intenzioni per cambiare in meglio la vita degli animali nella fattoria di Manor, abbattendo e rovesciando il loro crudele proprietario. In buona sostanza, i leaders vengono corrotti dal potere e gli ideali iniziali vengono modificati accuratamente in modo da servire non la comunità, bensì pochi eletti. Così “Tutti gli animali sono uguali” si trasformerà in “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri”. In un primo momento, il libro ultimato nel 1944, era stato rifiutato dagli editori per motivi di convenienza. Formidabile strumento di analisi critica del totalitarismo comunista, non poteva andare bene in un periodo in cui, in pieno conflitto, la Russia di Stalin era alleato preziosi del Regno Unito contro il nazifascismo. Vicino a posizioni socialdemocratiche, affascinato dal socialismo libertario, Orwell aveva combattuto in Spagna nelle file del Partito operaio di unificazione marxista, d’ispirazione trotzkista, trovandosi a un certo punto della sua vita a fare necessariamente i conti con il sistema staliniano, inteso sia come tradimento degli ideali marxisti alla base dello storicismo che animava tanto il pensiero comunista che quello socialista, sia come subdola forma di controllo sociale. l’intento era quello di criticare, attraverso una finzione letteraria che attingeva a piene mani alla storia recente e al presente, e fondeva al suo interno teoria politica e analisi sociologica, tutte le derive del totalitarismo, fosse esso fascista o comunista. In una lettera del 16 giugno 1949, l’autore afferma: “Il mio recente romanzo NON è inteso come un attacco al Socialismo o al Partito Laburista (di cui sono sostenitore), ma come la denuncia delle perversioni (…) che sono state parzialmente realizzate nel Comunismo e nel Fascismo”.

La manipolazione della realtà

In 1984, Orwell delinea una società – quella dell’Oceania – governata dal Partito, unica entità politica ammissibile nel Continente. Il volto con cui il Partito si mostra al popolo è un omone con dei folti baffi chiamato “Grande Fratello”, che assomiglia fortemente a Stalin. Paradossalmente, questi è onnipresente e invisibile. Per mezzo di schermi, telecamere e microfoni installati nelle case e per le vie della città, ogni singolo individuo viene ascoltato e osservato ininterrottamente. Allo stesso tempo, il leader del Partito è una presenza estremamente misteriosa: nessuno pare averlo mai incontrato di persona, nonostante il suo aspetto sia ben noto all’intera comunità. Il suo viso, difatti, è ovunque. Il Partito adotta un massiccio sistema di propaganda per indottrinare il popolo. I mezzi d’informazione sono interamente gestiti dal gruppo dominante, che in base al suo volere modifica gli eventi del passato attraverso il Ministero della Verità. La gente viene educata a negare l’evidenza e a seguire quella che viene definita “ortodossia” del Partito: un duro esercizio che costerà settimane di torture a Winston Smith, protagonista del romanzo. Gli altri dicasteri che compongono il governo sono il Ministero della Pace, che si occupa della guerra; il Ministero dell’Amore, che dovrebbe mantenere l’ordine ma in realtà tira le fila dello spionaggio capillare e imperituro in Oceania; e, infine, il Ministero dell’Abbondanza, responsabile delle questioni economiche, il suo compito, a dire il vero, è quello di mantenere i cittadini sulla soglia della indigenza per poterli controllare meglio. Tutti sono tenuti a partecipare agli eventi collettivi, tra cui il più ricorrente è conosciuto come “i due minuti d’odio”. Tale pratica consiste nel riunirsi per guardare un filmato sull’acerrimo nemico del Grande Fratello: Emmanuel Goldestein (la sinistra ha tentato di sostenere che il testo non sia veramente antisovietico, ma il Grande Fratello di 1984 è senza dubbio Stalin, e la figura di Goldstein è Trotsky). I video, che mostrano principalmente scene di guerra, sono studiati per coinvolgere psicologicamente gli spettatori e indurli all’isteria collettiva. L’aggressività, che non può essere rivelata in altri momenti, viene sfogata contro quello schermo, contro un capro espiatorio: l’uomo a capo della “Fratellanza”. Per mezzo della psicopolizia, il Grande Fratello arresta e tortura brutalmente anche coloro che hanno semplicemente pensato a qualcosa non perfettamente in linea con le idee del governo. L’autore immagina telecamere, schermi e microfoni per definire una mostruosa macchina per il controllo sistematico dei cittadini, per descrivere come sarebbe stata la vita in quelle società da incubo. Il romanzo, considerato a ragione uno dei capolavori del genere distopico, delinea i meccanismi totalitari di controllo del pensiero. Orwell insomma aveva capito che il sistema che si stava instaurando nell’Unione Sovietica non aveva al centro – come professava – la felicità dell’uomo. L’anno in cui il libro viene completato è segnato da avvenimenti drammatici: stava già soffiando il vento gelido della Guerra Fredda e Mosca era impegnata ad affermare (con il pungo di ferro) il suo ruolo predominante all’interno del blocco orientale. Risale al 1948 la durissima risoluzione del Cominform contro la Jugoslavia di Tito, che si era sottratta dal comando sovietico e per ciò era stata messa al bando.

L’era delle fake news

Ma al di là dei riferimenti storici, ciò che colpisce di questo testo schietto ed efficace, è la sua formidabile intuizione: una società globale, che detta le nostre preferenze, le nostre speranze, i nostri sogni, che conosce i nostri vizi e virtù, i gusti, le idiosincrasie, le opinioni politiche, le frequentazioni, le visioni, i pensieri; che ci segue ovunque e ci controlla. Ogni nostro spostamento, ogni movimento, ogni gesto è monitorato, è “tracciabile”, “spiabile”, “localizzabile” grazie ai device, agli occhi elettronici che per motivi di sicurezza si trovano dappertutto, alle webcam che usiamo per collegamenti reali a distanza, attraverso le carte di credito, i telefoni cellulari, i computer…. Tutto ciò avviene con il nostro tacito consenso: e ogni volta che diamo l’ok per il trattamento dei nostri dati personali, offriamo gratuitamente informazioni sensibili a società e aziende che le usano per influenzare le nostre scelte e i nostri consumi. Perché la rete, oltre ad avere notizie su ogni aspetto della nostra vita, è in grado persino di anticipare le nostre scelte e anche di orientarle. Lo fa un algoritmo, che ha immagazzinato tutti i dati che ci riguardano. Un aspetto che fa riflettere e che ci rimanda agli scenari orwelliani: chi ci dice che l’algoritmo non venga usato per condizionare e orientare non soltanto i consumi ma anche le nostre scelte politiche o le nostre emozioni e ambizioni, e ciò senza che noi ce ne accorgiamo? Orwell l’aveva già capito (e scritto), che un’entità occulta e nascosta avrebbe governato le nostre vite e i nostri pensieri. Il controllo totale passava attraverso la manipolazione della verità. Le migliaia di notizie fasulle nelle quali ci imbattiamo quotidianamente – prodotte per screditare persone o creare allarmismi e paure – sembrano corrispondere a questa necessità. Un esempio recente? L’“emergenza nazionale” invocata da Donald Trump, ossia la minaccia dei flussi migratori provenienti dal Paese confinate a Sud, per alzare il muro col Messico,. Un’“azione frivola”, gli hanno risposto sedici Stati USA che hanno presentato ricorso, definendo la mossa di Trump una “crisi di immigrazione illegale ‘creata’ ad hoc” per ottenere i fondi che gli sono stati negati dal Congresso. La manipolazione dell’informazione è un tema centrale in 1984. Nel mondo immaginato da Orwell ci sono addetti alla riscrittura degli avvenimenti, il cui compito è riscrivere le pagine dei libri di storia, cancellare gli accadimenti che contraddicono la versione del partito, cambiare la verità per adattarla alle circostanze, alle necessità politiche del momento. Oggi, nell’era delle fake news, del trumpismo, del terrorismo, guerre informatiche, dello spionaggio, della tecnologia sempre più sofisticata, la rilettura di questo scritto di settant’anni fa è illuminante. Una frase celebre del romanzo: “In fin dei conti, come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?”. Il Grande Fratello – non un partito, ma i vari Google, Facebook, Twitter… – ci guarda. Improvvisamente, 1984 non appare più come la critica a un regime nel frattempo defunto, ma una grande predizione che si è concretizzata nei nostri giorni. Ma abbiamo un’arma per combatterla: leggere; leggere tanto, di continuo, con spirito critico e sete di sapere.

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