Patrizia Pitacco: «Consapevoli delle difficoltà, ma rivolti al futuro»

Intervista con la consulente superiore per la minoranza nazionale italiana in seno all’Agenzia per l’educazione e la formazione e membro della Giunta esecutiva dell’Ui incaricata di seguire il settore Istituzioni prescolari, scolastiche e universitarie

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Patrizia Pitacco: «Consapevoli delle difficoltà, ma rivolti al futuro»
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

l mondo della scuola è un sistema complesso, lo è soprattutto quando è rivolto a una minoranza. Qui entrano in campo numerosi elementi che non riguardano solo la semplice formazione ma anche l’identità culturale e linguistica che la scuola deve promuovere. È un mondo a parte, che riflette alla perfezione le dinamiche più generali della società: rapporti fra allievi, rapporto con la famiglia e i genitori, rapporto con gli adulti, il condizionamento della tv, Internet le relazioni virtuali. La scuola per come potremmo intenderla oggi è come uno spaccato del cambiamento di cui siamo protagonisti.
E se la scuola del passato è stata fondata sull’ascolto, sarebbe a dire sull’autorità dell’insegnante e del libro, sul silenzio degli scolari e sull’apprendimento mnemonico, quella nuova si fonda sull’attività, ovvero sulla collaborazione tra insegnante e scolari e tra scolaro e scolaro, sull’abitudine al confronto e sullo sviluppo del senso critico, l’anima di questa istituzione imprescindibile non potrà fare a meno comunque mai della sua missione da traguardare tenendo conto del cambiamento dei tempi: la trasmissione di regole e diritti, di esperienza e cultura, di cognizione del passato e preparazione al futuro.
Ed è proprio di scuola che abbiamo parlato con la professoressa Patrizia Pitacco che, dopo aver fatto l’insegnante e il dirigente scolastico, da quindici anni ricopre l’incarico di consulente superiore per la minoranza nazionale italiana in seno all’Agenzia per l’educazione e la formazione della Repubblica di Croazia (AZOO), e che di recente è entrata a far parte della Giunta esecutiva dell’Unione italiana ricoprendo il settore Istituzioni prescolari, scolastiche e universitarie.

Un mondo diverso
Considerato che non è la prima volta che assume incarichi in seno alla Giunta esecutiva può fare un paragone tra i primi anni Duemila, in cui è stata già responsabile del medesimo settore, e la situazione riscontrata oggi?
“Quando mi è stato proposto l’incarico la mia prima reazione è stata quella di dire: non posso. In effetti sono trascorsi vent’anni da allora ed è stato inevitabile che io facessi un confronto. Poi ho accettato. Devo dire che di fatto non mi sono mai allontanata dal mondo della scuola, nel senso che tutti gli incarichi che ho avuto erano legati alla scuola, all’istruzione e alla formazione. Quello che noto è che effettivamente ci sono delle differenze rispetto al passato.
La scuola oggi è inevitabilmente diversa. Diversa rispetto a quando ho iniziato a lavorare. Ho all’attivo 41 anni di servizio, sono entrata in classe come insegnante a vent’anni, poi come direttrice, consulente, portando avanti numerose attività che hanno accompagnato questo percorso. Mi considero un prodotto di questa scuola, come lo è la nostra generazione. Se paragono questa scuola a quella dei miei ricordi di alunna devo dire che è del tutto diversa, anche per il fatto che ai miei tempi noi parlavamo tutti in italiano e non conoscevamo il croato; è diversa pure da quella in cui ho iniziato a lavorare. È una scuola dinamica che si evolve in parallelo alla società in cui si trova ad operare, nel bene e nel male, nelle difficoltà e nei vantaggi.

Siamo diventati più propositivi
Non bisogna però dimenticare le grandi sfide a cui è andata incontro la scuola della Comunità nazionale italiana negli ultimi decenni, come le riforma Vokić negli anni Novant,a e a seguire le riforme che costantemente ogni governo ha imposto: dall’introduzione della maturità di Stato alla riforma curriculare… Mi vien da dire che abbiamo sempre reagito in modo determinato e… resistito. Difatti siamo ancora sempre qua. E, forse, rispetto agli anni Novanta siamo più preparati e pronti a trattare con il fondatore, con il Ministero della Scienza e dell’Istruzione, non dico con tutto il sistema, ma perlomeno con le persone che sono a capo di questo sistema. Siamo diventati più propositivi.
Agli inizi della mia carriera le riforme tardavano rispetto alle scuole della maggioranza di uno o due anni. Con l’ultima, quella curriculare, siamo entrati nel processo in contemporanea alle scuole della maggioranza. Può sembrare poco, può sembrare scontato, ma non lo è stato affatto. Sulla carta tutti sanno che esistiamo, che abbiamo diritti, ma al lato pratico poi bisogna impegnarsi in continuazione nel senso che qualcuno deve costantemente far presente al Ministero che esistiamo, che abbiamo piani e progetti che vanno assecondati, che godiamo di diritti che ci sono riconosciuti e non solo sulla carta, ma a farlo presente dobbiamo essere noi. La mia posizione non è condivisa dagli altri colleghi: sono del parere che chi di tanto in tanto si dimentica di noi lasciandoci fuori non lo faccia apposta, semplicemente non è informato. Nei primi anni Novanta le cose erano più complicate. Quel clima caratterizzato da immense difficoltà ce lo siamo lasciato alle spalle, ora dobbiamo essere propositivi. Vero è che noi abbiamo maturato più esperienze rispetto alle altre minoranze nazionali in Croazia, siamo stati in grado di realizzare i diritti che ci sono stati riconosciuti.

Siamo riconosciuti, ma mai abbassare la guardia
Abbiamo un importante sistema scolastico che si articola lungo tutta la verticale: il sistema prescolare è in assoluto il più sviluppato tra le minoranze che vivono e operano in Croazia, abbiamo una buona rete di scuole elementari e medie superiori, nonché Università. Possiamo far valere il legame con le Comunità degli italiani, vantiamo un buon rapporto con lo Stato d’origine e ci affidiamo a importanti finanziamenti che arrivano dalla Madrepatria. Però c’è ancora tanto da fare. Dobbiamo lavorare di più al nostro interno, essere maggiormente consapevoli di quello che possiamo e di quello che in effetti ci manca, più consapevoli anche delle difficoltà. In questa agenda direi che il primato va all’attività da intraprendere per continuare a migliorare la qualità della lingua e dell’offerta formativa. Non vorrei che questa frase venisse intesa come ‘si lavora male’, perché non è così, dobbiamo però essere vigili e attenti, proporre un’offerta formativa di qualità.
Mai abbassare la guardia! Ci sono stati momenti in cui ci siamo adagiati un po’… ma non possiamo né dobbiamo vivere sugli allori. Per quanto riguarda la percezione che le altre minoranze hanno di noi va detto che siamo per loro un esempio da seguire, un modello di riferimento. Forse noi al nostro interno non ci rendiamo conto di ciò, forse nemmeno ci preoccupiamo di capire come ci vedono gli altri. Ho avuto il privilegio, già durante il mio primo mandato come titolare scuola in seno alla Giunta esecutiva dell’Ui di incontrare le altre minoranze e di conoscerle. Poi attraverso il lavoro di consulente pedagogico per le scuole italiane presso l’AZOO ancor di più. Penso sia molto utile conoscere la posizione delle altre minoranze, la percezione che gli altri hanno di noi, per capire in effetti chi siamo e dove vogliamo arrivare”.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Quali i valori da promuovere?
Secondo lei qual è la missione delle scuole della Cni in questo momento? È aumentare il numero degli iscritti, in modo da radicare ancor di più la presenza dell’italiano, assicurando finanziamenti, o è promuovere una scuola italiana in cui venga data particolare attenzione ai valori fondanti della nostra identità? E come la mettiamo con il divario tra quantità e qualità?
“Faccio parte della generazione che è cresciuta e ha lavorato in funzione di un obiettivo, quello di mantenere, salvaguardare, conservare l’identità italiana, la lingua e la cultura. A questo punto dobbiamo però trovare il modo di andare avanti promuovendo nuovi valori che sono legati alla lingua italiana in un contesto più vasto, pur mantenendo integra la nostra identità. Un’impresa molto difficile, sotto alcuni aspetti, e per qualcuno al nostro interno… una forma di utopia”.

Utopia?
“Inutile che ci giriamo intorno, noi sappiamo molto bene chi sono i nostri alunni…”.

Sono figli di matrimoni misti…
“E anche per quanto riguarda alcuni nostri insegnanti, che pur avendo terminato la verticale italiana, tutta la verticale, va detto che non tutti provengono da famiglie italiane. Ma poi abbiamo l’assurdo che costoro parlano meglio l’italiano e sono più consapevoli della nostra missione di quanto non lo siano i nostri connazionali. Trovare in questo contesto culturale un vero equilibrio, portare avanti la missione che è propria della formazione, indipendentemente da dove vivi e che lingua parli…, è una bella sfida. Dobbiamo assicurare ai nostri fruitori, oltre al valore culturale, all’identità, il diritto all’istruzione, alla formazione e, non meno importante, un’infanzia e un’adolescenza felice.

Noi formiamo persone
Quando mi è stato comunicata la denominazione del settore che avrei guidato in seno alla Giunta Ui e che coinvolge istituzioni prescolari, scolastiche e universitarie, ho avuto delle perplessità. Ma poi quando ho iniziato a lavorare, a riflettere, mi sono detta che questo in effetti è un settore che si occupa in primo luogo di esseri umani… Lasciamo da parte l’argomento degli edifici e delle attrezzature, noi ci occupiamo di esseri umani, seguiamo il bambino del prescolare che va al nido… dalla prima infanzia e fino ai 25 anni, ovvero fino alla conclusione degli studi universitari. La missione primaria della scuola è formare i ragazzi, creare persone, i futuri cittadini e questo rappresenta il grande potere della scuola, il suo valore universale. Poi, entrando nelle peculiarità della scuola di una minoranza nazionale bisogna tener conto della missione specifica che riguarda il mantenimento della lingua italiana e della nostra identità.
Per quanto riguarda il discorso dell’incidenza numerica va detto che le scuole per essere autonome, dal punto di vista giuridico-amministrativo, devono rispettare alcuni criteri che fanno riferimento alla legge sulle scuole delle minoranze in cui viene stabilito che si può costituire una scuola anche con un numero minimo di allievi. Vero è che anche le scuole croate non hanno più il livello di soglia minima, anche se in realtà viviamo sempre con il timore del numero, nel senso che se hai un bel numero di iscritti, sei più sicuro, tutelato, sai che non possono farti nulla. Sono però del parere che se ci concentriamo solo sul numero degli iscritti rischiamo di non garantire la qualità.
Detto questo devo aggiungere che le nostre classi continuano ad avere numeri soddisfacenti. Se prendiamo in esame il numero degli iscritti negli ultimi anni scolastici possiamo constatare che le cose procedono bene, in alcuni casi i numeri crescono. Però andrebbe fatta un’analisi delle iscrizioni in base al criterio territoriale, perché c’è chi regge bene e chi meno bene. Il settore prescolare è in forte crescita, però bisognerebbe capire chi sono i bambini che frequentano i nostri asili. Fiume, Umago e Pola sono le realtà più numerose, per quanto riguarda il numero di iscritti nella fascia prescolare. Però c’è l’assurdo che Fiume, pur essendo una delle realtà più numerose, è un istituto prescolare che non ha una propria sede autonoma: i gruppi italiani di Fiume sono infatti incorporati nel ‘Dječji vrtić Rijeka’”.

Migliorare l’offerta formativa. Le competenze, il confronto
Quali sono le priorità che lei ha definito per questo mandato in seno alla Giunta Ui?
“Questo è un settore che è operativo da decenni. Quello su cui lavoro al momento è il prosieguo di quanto avviato dalla titolare precedente. Ci lasciamo alle spalle un periodo difficile dovuto al Covid che ha bloccato numerose attività legate alla didattica, il mio compito è recuperare, definendo progetti e attività. Per quanto riguarda le questioni operative si lavora sulla fornitura dei libri di testo, sul Mof (miglioramento offerta formativa/mezzi didattici). Da una decina d’anni i fondi del Mof si possono investire anche in attività rivolte agli alunni, non deve essere necessariamente speso per attrezzature tecnico-didattiche. C’è un criterio in base al quale ogni istituto riceve i mezzi, un ruolo importante ha pure il numero di iscritti, ma poi ogni scuola ha la libertà di investire i fondi come meglio crede. Sono mezzi destinati a migliorare l’offerta formativa. Se la scuola pensa che per realizzare ciò è necessario acquistare dei computer è libera di farlo, se poi qualcuno decide di fare delle escursioni di studio è libero di organizzarle. Da rilevare che si tratta di mezzi stanziati dallo Stato italiano in favore della Comunità nazionale italiana. Tra le priorità che mi sono posta vi è pure l’aggiornamento per gli insegnanti di tutta la verticale.
Ho intenzione di riprendere alcune attività che erano state sospese come ‘Il Girotondo dell’amicizia’, ‘L’appuntamento con la fantasia’, ‘I colori dell’autunno’, la ‘Gara di lingua italiana’ promossa dall’Ui, nonostante il fatto che dal 2021 gli alunni delle nostre scuole della Croazia hanno l’opportunità di confrontarsi nella Competizione di lingua italiana-lingua materna, che in questo caso sono di competenza dell’Agenzia per l’educazione e la formazione.
Queste competizioni hanno finalità diverse e valutano competenze diverse. Ho chiesto all’Attivo consultivo dell’Ui un parere su come procedere considerando che di fatto in Croazia organizziamo due gare di italiano. I direttori e i presidi dei nostri istituti scolastici hanno appoggiato entrambe le iniziative. Per gli insegnanti e dirigenti scolastici sloveni, che si sono pure dichiarati favorevoli, le gare sono considerate un importante momento d’incontro sia per i docenti che per i ragazzi. Dobbiamo purtroppo constatare che negli ultimi anni le occasioni di incontro tra i ragazzi e gli insegnanti della Comunità Nazionale Italiana di Croazia e Slovenia sono state poche. E credo non sia un bene. Quello che io mi prefiggo e che non deve necessariamente essere quantificato in termine di costi e forse neanche accompagnato immediatamente da risultati concreti è il progetto di rafforzare il Sistema scuola Cni già esistente, sia in Croazia che Slovenia. Con il Covid abbiamo avuto la mazzata finale, ma il problema si era presentato già prima, un po’ si andava ciascuno dalla propria parte, tutti lavoravano, c’erano risultati ma non esisteva quella coesione di gruppo che deve avere una struttura così complessa e specifica come lo sono le scuole della Cni”.

Una delle passate edizioni del Girotondo dell’amicizia, iniziativa che Patrizia Pitacco vorrebbe riprendere.
Foto: RONI BRMALJ

Agire in modo coordinato
Dobbiamo notare che esiste una considerevole differenza tra il sistema scolastico nei due stati, mi riferisco a Croazia e Slovenia… anche per quanto riguarda il supporto che le istituzioni italiane in Slovenia ottengono dallo Stato e dal competente ministero. Penso per esempio al progetto di parificare il numero di ore di italiano con quelle di croato…
“I sistemi sono molto diversi, e nulla di strano perché non siamo scuole italiane all’estero, ma siamo scuole italiane del territorio integrate nei sistemi scolastici nazionali degli Stati domiciliari. Ci sono molte diversità ma si possono anche trovare dei campi d’interesse comuni, abbiamo la possibilità di confrontarci con un altro Stato avendolo comunque integrato nel sistema scolastico della CNI. Perché non sfruttare questa opportunità? Sarà difficile e non sarà un qualcosa che si farà in quattro anni, perché è un processo che richiede tempo. Gli investimenti nelle risorse umane non si fanno né si realizzano dall’oggi al domani.
Inoltre, avere una posizione nei confronti dei Ministeri, chiara e condivisa, può facilitare il nostro lavoro. Dare alle maggioranza l’impressione che siamo organizzati, uniti è un punto di forza che gioca a nostro favore”.

Tra i problemi a cui bisogna porre rimedio è la maturità di Stato in Croazia, dove l’italiano di fatto vale meno che il croato, soprattutto all’atto dell’iscrizione all’Università….
“Ai ragazzi purtroppo l’italiano nel punteggio per l’Università non serve un gran che… ma noi dodici anni fa abbiamo fatto una scelta, che era quella di insistere sull’esame di madrelingua, che nel nostro caso è l’italiano. La minoranza ceca in quegli anni ha lasciato ai propri allievi la possibilità di scegliere tra lingua croata o lingua ceca, ovvio che i ragazzi hanno scelto la lingua croata per l’esame di maturità. Noi invece abbiamo scelto di fare italiano a cui però è stato aggiunto il croato. E credo che insistere sull’italiano, in quanto madrelingua, sia stata una scelta giusta, forse non vincente ma giusta. La medesima posizione era stata assunta da serbi e ungheresi che hanno insistito sull’esame di madrelingua. Di recente abbiamo dovuto affrontare la sfida degli esami nazionali, vale a dire l’esame alla fine dell’ottava classe e della quarta. Ma questa volta eravamo preparati meglio vista l’esperienza accumulata nell’implementazione della Maturità di Stato. Va detto che con il governo Plenković è stato istituito presso il Ministero un nuovo organo che è la Direzione per le minoranze nazionali, ed è un ufficio che si occupa solo delle minoranze nazionali, di tutti i loro problemi. Abbiamo instaurato una buona collaborazione e loro ci danno un aiuto anche per quanto riguarda la comunicazione interministeriale, la collaborazione con le scuole, con l’Agenzia, insomma una rete che ci sostiene”.

Possiamo parlare dell’equipollenza dei titoli di studio? È proprio necessaria nel momento in cui siamo già parte integrante dell’Ue?
“La logica dice di no, ma la Croazia, che è uno Stato relativamente giovane, ha ancora bisogno di controllare chi entra nel mondo della scuola e dell’insegnamento. Questa difficoltà del riconoscimento delle lauree, come nel nostro caso di quelle italiane, è specifica solo per chi vuole entrare nel mondo della scuola, altrimenti l’equipollenza si risolve piuttosto velocemente, nemmeno traducono, solo prendono atto del titolo di studio acquisito. Ma se uno vuole insegnare, entrare nel mondo della formazione, dall’elementare alla media superiore, deve avere un’autorizzazione del Ministero che richiede, tra l’altro, l’aver superato e acquisito le competenze pedagogiche e poi qualche esame differenziale, soprattutto nelle materie umanistiche, meno in quelle scientifiche. Noi abbiamo chiesto a più riprese di snellire la procedura. E rispetto agli anni Novanta l’iter è meno complicato, ma di fatto a chi vuole insegnare e ha studiato all’estero viene richiesto uno sforzo in più. E se vogliamo anche una spesa in più”.

Lingua materna: battaglia infinita
Di recente il vicepresidente del Sabor, nonché deputato della Comunità nazionale italiana, Furio Radin ha presentato un’interrogazione parlamentare sollevando la questione relativa alle modifiche delle disposizioni normative sull’esame di maturità volte a riconoscere all’esame di Lingua e letteratura italiana lo status e il valore di esame di lingua materna all’atto di iscrizione alle università in Croazia.
Al momento, agli studenti delle scuole medie superiori italiane del territorio l’esame di italiano viene riconosciuto soltanto per iscriversi a Italianistica dell’Università di Fiume o di Pola, ma non a chi volesse vuole studiare l’italiano presso le Facoltà di Zara, Spalato e Zagabria, visto che la decisione relativa al riconoscimento della lingua materna viene rimandata ai regolamenti interni degli atenei.
Il vicepresidente del Sabor ha rilevato l’importanza che viene data all’identità linguistica del popolo di maggioranza, chiedendo che il medesimo trattamento sia riservato anche alle minoranze e all’identità linguistica di queste ultime. In tema di maturità di Stato, Radin in sede di Parlamento ha invitato a seguire il modello sloveno, che prevede la possibilità per, ciascun allievo, di stabilire da solo qual è la sua lingua materna, ovvero quale tra i due esami (italiano o sloveno) debba essere preso in considerazione all’atto dell’iscrizione all’università.
Invece i ragazzi che escono dalle scuole medie superiori italiane in Croazia sono costretti a superare quattro esami obbligatori, con quello della lingua materna. Purtroppo, finora l’attuale ministro all’Istruzione Radovan Fuchs non ha dimostrato particolare interesse ad accogliere le proposte di Radin. Non per il momento, ma in politica, si sa, le cose possono anche cambiare…

Le cifre reggono
Un mondo che cresce, anche se al proprio interno le dinamiche sono diverse, in barba ai trend demografici. Sono oltre 4.600 i ragazzi che frequentano asili, elementari e medie superiori italiane nel territorio d’insediamento storico della Comunità nazionale. Per la precisione, nell’anno scolastico 2020/2021 erano 4.631, di cui 2.412 nella penisola istriana, 924 tra Quarnero, Fiume e Zara, e 1.295 nella parte slovena. Negli asili italiani c’erano 1.644 piccoletti, nelle elementari 2.272 alunni e 715 studenti nelle medie superiori.
Una lieve, ma significativa crescita rispetto all’anno precedente, quando gli iscritti erano complessivamente 4.618. E il dato che forse si impone su tutti, guardando nel complesso, è che le cifre reggono: infatti, emerge che (al di là di alcuni scostamenti) nell’ultimo decennio l’incremento è praticamente costante e si è arrivati ai numero atuali gradualmente. Basti pensare che gli allievi nel 2007/2008 erano in totale 3.957, come emerge dal resoconto finale presentato alla precdente Giunta esecutiva, dall’allora responsabile del settore di competenza, Iva Bradaschia Kožul.
Il picco si è avuto, a tutti i livelli ad eccezione dei ginnasi e licei (dove si registra un andamento al contrario), nel 2019/2020 con 4.683 iscritti. A trainare sono soprattutto le istituzioni prescolari, con un balzo da 1.168 bimbi iscritti nel 2007/2008 ai quasi 1.600 attuali. Nel rapporto di Bradaschia Kožul, le elementari contavano, nel 2007, 1.873 alunni e le medie superiori 916 studenti.

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