Pretese territoriali?

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Pretese territoriali?

In occasione dell’inaugurazione del monumento dedicato a Giuseppe Tartini, il podestà di Pirano, Domenico Fragiacomo, battagliero esponente liberalnazionale terminava con: “Evviva dunque Pirano, evviva Venezia, evviva l’Istria italiana”. In seguito il primo cittadino ebbe qualche problema con le autorità asburgiche, la notizia ebbe vasta eco, i giornali sloveni e croati inveirono contro. Era l’agosto del 1896. Febbraio 2019, cos’è cambiato? Sembra un copione già letto. Malgrado la distanza temporale assistiamo a una riproposizione. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, avrebbe dovuto semplicemente contenere la passione delle affermazioni, perché è il ruolo istituzionale a imporglielo e in quella veste avrebbe dovuto rappresentare tutti i popoli della casa comune, nessuno escluso. Ma si sa, con la veemenza patriottica si può scivolare. 

Alla pronuncia del passo incriminato i vertici politici sloveni e croati sono conflagrati. E apriti cielo! Non è mia intenzione fornire giustificazioni, con queste riflessioni vorrei ragionare su un’altra questione, che emerge puntualmente con la commemorazione del Giorno del Ricordo. A prescindere dalla sensibilità, dall’equilibrio e dalla complessità storica dei discorsi ufficiali, molti sono pronti a sezionare nonché analizzare ogni singolo dettaglio e non di rado scoppia la polemica, sebbene negli ultimi anni vi sia stata una certa distensione, conseguenza, credo, anche delle iniziative dei tre Capi di Stato e dei relativi Concerti dell’amicizia a Trieste e Pola. Quest’anno, invece, abbiamo assistito a un cortocircuito. Il Giorno del Ricordo, checché se ne dica, apre il vaso di Pandora, l’indice sloveno e croato è puntato perché si sostiene proporrebbe una storia selezionata, accantonando i capitoli nefasti riconducibili al regime fascista. La ricorrenza è classificata come ‘nera’, ossia appannaggio della destra. Condivido si debba ricordare tutto, senza lacune, e soprattutto meglio, evitando però di alimentare la tesi della semplice resa dei conti, perché lo fu in parte, ma al contempo si compiva la rivoluzione – ai tempi della Jugoslavia bene evidenziata, oggi decisamente meno –, la costruzione di un regime totalitario, illiberale, mentre nelle nostre terre pesò molto pure il lungo contenzioso confinario. Sempre più ho la sensazione che parecchie cose non si vogliano cogliere, nonostante i ragionamenti e i risultati della storiografia. Le amnesie sono tante. Chi oggi protesta tuttavia dovrebbe chiedersi se la propria condotta sia impeccabile. Ogni anno passano i messaggi pronunciati alle cerimonie (non inclusive) per l’annessione dell’Istria alla madrepatria croata (decisione unilaterale del 1943) e più recentemente quella dell’annessione del Litorale alla madrepatria slovena (come conseguenza del Trattato di pace del 1947), con un evidente falso storico, giacché include il Capodistriano, quando è noto che fino al 1954 per quell’area i giochi fossero ancora aperti. La frase conclusiva di Tajani è stata definita retorica fascista. Fa comodo etichettarla in questi termini, in realtà alla fine del XIX secolo anche il podestà Fragiacomo l’aveva esclamata e lo squadrismo era ancora lontano. Con ciò cosa intendiamo? Che esiste un patrimonio politico, culturale, ideale – condivisibile o meno – che ci rimanda all’Istria italiana e alla Dalmazia italiana (è mancato il riferimento a Fiume anche in questo caso ‘corpo separato’), esistenti anche senza lo Stato italiano, quindi non riconducibile al Ventennio, ma concerne il risorgimento nazionale, il processo unitario, l’irredentismo e la manifestazione dell’identità italiana entro l’impero asburgico. Lungi da sostenere pretese territoriali anacronistiche – fisime di quanti si sentono perennemente ‘minacciati’, la reazione è stata un processo alle intenzioni –, quegli evviva hanno portato alla ribalta, sebbene con modalità poco felici, l’altra faccia della luna, cioè la storia occultata, con personaggi volentieri relegati negli anfratti più profondi e processi storici che si cancellano o vengono tramutati in altro. A differenza della politica la storiografia non deve ‘temere’ i tempi andati. “Una parola, per dire tutto, domina e illumina i nostri studi: ‘comprendere’”, scriveva March Bloch nell’Apologia della storia o mestiere di storico. Invece, assistiamo all’uso strumentale della storia. È più facile sostenere che l’Istria e la Dalmazia siano terre croate da sempre. Ma ne siamo sicuri? Se siamo storici intellettualmente onesti, storici e basta e non cantori della patria o del partito politico di turno, mai sosterremmo una valutazione del genere o una antitetica. Perché sono terre plurali, complesse e con numerose specificità. Ma c’è spazio per questi argomenti? Esiste la volontà di superare tutto ciò e di comprendere? O si continuerà a fuggire dagli spettri? Gridare alla minaccia ‘fascista’ e al ‘pericolo irredentista’ sono scorciatoie troppo facili. Ancora una volta per celare.

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