M5S-Lega: «Italians first», e noi?

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M5S-Lega: «Italians first», e noi?

La prepotente riattivazione della rotta balcanica, con i migranti che dal territorio bosniaco premono sui confini della Croazia (e dell’Unione europea). Lo scandalo Sms nell’affaire Agrokor, che torna a scuotere la scena politica a Zagabria, arrivando fino all’attuale capo del Governo. Il presunto regolamento di conti tra “falchi” e “colombe” all’interno del partito di maggioranza, l’Accadizeta. Il caso giudiziario dell’ex premier croato Ivo Sanader, assurto a simbolo di corruzione (per una mazzetta di circa mezzo milione di euro ricevuta dalla banca austriaca Hypo Group Alpe Adria si è beccato in primo grado 2,5 anni di galera, assolto invece per insufficienza di prove nella vicenda legata alla HEP, mentre altri processi a suo carico attendono ancora l’epilogo). L’ostinazione delle iniziative civiche di stampo conservatore, promotrici di tre quesiti referendari – uno sull’abrogazione della legge di ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, entrata in vigore lo scorso 1° ottobre, le altre due sulla modifica del sistema elettorale, con la riduzione tra l’altro dei numero e delle prerogative dei deputati appartenenti alle minoranze nazionali –, che non hanno alcuna intenzione di gettare la spugna, nonostante le verifiche fatte dal Ministero della Pubblica amministrazione ne abbiano decretato il fallimento (risultando non valide alcune decine di migliaia di firme da loro depositate). La fermentazione, praticamente a tutte le latitudini, di bolle d’intolleranza, che ogni giorno lievitano sempre di più. Lo scontro Roma – Unione europea sui conti italiani. La matassa Università Popolare di Trieste, che si sta sbrogliando lentamente, alimentando incertezza negli ambienti della Comunità nazionale italiana in Croazia e Slovenia (finanziamenti 2018, futuro della collaborazione, eventuali altre modalità di gestione dei mezzi dall’Italia e dal FVG). E tanto altro ancora.
Nelle ultime settimane assistiamo a un rapido, continuo e tumultuoso accavallarsi di avvenimenti, principalmente negativi, che vanno a tratteggiare un quadro desolante, disorientante, preoccupante. Crollano o rischiano di cadere anche quelli che fino a ieri si credevano capisaldi indistruttibili. Vengono giù come i leoni di San Marco che la Jugoslavia comunista aveva fatto abbattere in Istria e Dalmazia, per cancellare la memoria di una civiltà millenaria, che dava “fastidio” a quella nuova che si voleva imporre. Un retaggio di matrice veneziana e italiana, in parte recuperato anche con gli interventi sostenuti dalla Regione del Veneto, che grazie a una legge del 1994 stanzia annualmente dei fondi a favore di iniziative di ricerca, diffusione di studi, restauro e conservazione, ma anche per attività culturali e d’istruzione, sviluppo della cooperazione e gemellaggi. Il bando per il 2019 è scaduto a fine settembre, mentre di recente il Consiglio regionale ha accolto la programmazione 2018. Tutto tranquillo? Nì. La maggioranza di centrodestra e gli uomini dela lista del governatore Zaia (un’icona del Carroccio) hanno ben parato i colpi dei critici, ma sono emersi atteggiamenti che, assommati ad altri, fanno seriamente riflettere. Infatti, gli esponenti del Movimento 5 Stelle (per intenderci, il partito che a Roma è al potere con la Lega) hanno esortato la Regione a pensare ai veneti di oggi piuttosto che a quelli del passato, stigmatizzando una spesa che “sottrae soldi alle tasche dei veneti” e che va in Croazia e in parte in Slovenia – per iniziative varie, tra cui la ristrutturazione dei “leoncini sulle colonnine” –, mentre sarebbe meglio investire sul loro territorio.
Li hanno definiti “politici millennials”: sono quelli che stanno prendendo il sopravvento; gente con altri ideali, valori, approcci, stili. Si muovono e agiscono a suon di slogan, spesso convinti che per ripartire va azzerato ciò che c’è stato prima (o buona parte di esso). Sono cresciuti sui social e di social. Il loro è il partito della Rete. La carta stampata? Non sono tout court contro i giornali, ma propugnano l’innovazione. Senza soldi pubblici, come da iniziativa del sottosegretario pentastellato Vito Crimi, che torna alla cartica per porre fine ai contributi della Presidenza del Consiglio dei ministri all’editoria, con un’estinzione graduale dei fondi, a partire dal 2019. Sennonché la posta in gioco è la sopravvivenza di piccole testate che non possono sorreggersi da sole sul mercato. Con conseguenze deleterie in termini di libertà e pluralità d’informazione. E di migliaia di posti di lavoro. Ci siamo di mezzo pure noi, stampa italiana all’estero, espressione di una comunità che, come l’ha definita il presidente Mattarella, “è tra i primi naturali, ‘moltiplicatori di italianità’ antenne capaci di ritrasmettere sia il forte carattere della tradizione, sia il Paese di oggi con la sua cultura, con il suo modo di vivere, di produrre e di lavorare, con la sua capacità di innovazione”. Per questo, ribadisce Mattarella, va assolutamente sostenuta. Altrimenti, per quanto ci riguarda, nella migliore delle ipotesi si dovrà tornare indietro al secolo precedente, alle “dimensioni” imposteci dai picconatori dei “leoncini”. Ma si rischia anche di arrivare alla scomparsa, allo spegnimento di una voce che, oltre a informare (e che è scevra da legami partitici), è ambasciatrice dell’italianità dell’Adriatico orientale. Il presidente del Consiglio promette riflessioni più approfondite sulla situazione di chi rappresenta minoranze. Ora da Conte, Di Maio e Salvini aspettiamo la dimostrazione che vogliono davvero bene a tutti gli italiani, anche a quelli di Istria, Fiume e Dalmazia. Rivedendo la manovra.

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