Gli anni ‘90 e i percorsi della politica italiana

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Gli anni ‘90 e i percorsi della politica italiana

In occasione della Giornata dell’indipendenza della Repubblica di Croazia, che si è celebrata ieri, 8 ottobre, data in cui 27 anni fa il Sabor approvò all’unanimità la Decisione sulla rescissione di tutti i legami statali della Croazia con l’ex RSFJ, il pensiero va a quei tempi. Erano gli anni in cui si sentiva forte l’effetto del crollo del Muro di Berlino e dell’unificazione delle due Germanie. Tutta l’Europa stava vivendo cambiamenti radicali e in Italia si stava consumando una crisi politica. Ma qual era l’atteggiamento di Roma riguardo agli eventi che segnarono la storia di questi territori? Tra il 1989 e il 1990 l’Italia sosteneva il governo federale e il premier Ante Marković. L’allora ministro degli Esteri italiano, Gianni De Michelis, non nascondeva la sua forte preoccupazione per lo sfascio dell’ex Federativa. I suoi timori riguardavano un possibile dilagare dei nazionalismi sloveno e croato sul confine orientale, ma anche uno scenario favorevole al rafforzamento dell’influenza tedesca nell’area. Negli anni ‘90 i democristiani europei sostenevano le allora Repubbliche socialiste di Croazia e Slovenia nelle loro ambizioni riguardanti l’autonomia e l’indipendenza. Al contempo, i socialdemocratici e i socialisti cercarono di mantenere l’unità e l’integrità dell’ex Jugoslavia. Gli USA furono inizialmente neutrali, anche perché erano impegnati a gestire i problemi interni e i rapporti con l’allora URSS e il Kuwait. Gli States non erano contrari al mantenimento dell’unitarietà della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, ma non ritenevano che questa andasse tutelata a ogni costo. Fondamentalmente, l’RSFJ tornava loro utile in quanto Paese socialista “eretico” esterno al Patto di Varsavia.
Prima dello scoppio della crisi che precedette lo sfascio dell’allora Jugoslavia i rapporti con l’Italia erano in una fase crescente. La collaborazione economica tra i due Paesi cresceva in modo costante e l’Italia si aspettava che con il fallimento del comunismo e la fine della Guerra fredda la Jugoslavia diventasse una specie di ponte che avrebbe facilitato il suo ingresso nell’Europa dell’Est. Ecco perché l’indipendenza della Croazia e della Slovenia erano viste da Roma come un qualcosa di antipatico e sconveniente. È per questo che negli anni ’90 il governo italiano sosteneva il governo federale di Marković. Al contempo, in ambito europeo, gli sforzi erano tesi a definire una politica unitaria nei confronti dell’allora Jugoslavia. Il principale sostenitore di questa linea era il già citato titolare della Farnesina, Gianni De Michelis. Ma la svolta ci fu già nel luglio del 1991. La politica estera italiana cominciò a cambiare e a guardare con occhi diversi la Croazia. Il leader democristiano Flaminio Piccoli, disse tra l’altro: “Non ci sarà pace in Jugoslavia se non riconosceremo l’indipendenza della Croazia e della Slovenia“. Il 26 giugno 1991, praticamente alla vigilia dell’attacco dell’APJ in Slovenia, il Partito radicale italiano, presieduto all’epoca da Marco Pannella, sostenne il riconoscimento internazionale dell’indipendenza della Croazia e della Slovenia. La questione dell’autonomia e dell’indipendenza dei due Paesi rappresentava in quel momento per l’Italia un tema complesso e doloroso. All’inizio sembrava ci fosse un’unità d’intenti riguardo al riconoscimento di una Jugoslavia confederale, ma ben presto emerse che questo era soltanto quanto emergeva a livello formale. La realtà dei fatti era che i Paesi europei erano profondamente divisi a riguardo. Da una parte c’era il gruppo guidato dalla Francia di Mitterrand, assolutamente contrario al riconoscimento dell’indipendenza della Croazia e della Slovenia; dall’altra c’erano i Paesi capitanati dalla Germania che sosteneva l’assoluta necessità di procedere con il riconoscimento. La posizione ufficiale dell’Italia era quella di fare il possibile per evitare un effetto a catena. All’epoca molti in Europa temevano la creazione di un precedente pericoloso, considerato che molti Paesi dell’Est Europa erano multinazionali alla pari dell’allora RSFJ. Nonostante la Federativa esistesse ancora, le milizie paramilitari serbe attaccarono i croati residenti nelle aree a maggioranza serba: l’obiettivo era cacciarli dalla terra natale. Dopo l’aggressione militare serba a Vukovar e Ragusa (Dubrovnik), fatti che lasciarono attonito il mondo intero, la situazione divenne chiara a tutti. L’Italia ruppe gli indugi. Valutò (e fu questo il punto di svolta) che la Jugoslavia unitaria non esistesse più.

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