La nostra letteratura è un percorso che ci conduce direttamente alle radici

Barbara Sturmar insegna a Gorizia recuperando con i suoi alunni importanti vicende familiari

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La nostra letteratura è un percorso che ci conduce direttamente alle radici

“Per i miei figli, Francesco e Raffaele, l’Istria continua ad essere una meta importante. Per me è gratificante, un traguardo insperato. Conoscono storia, vicissitudini, mi chiedono molto, soprattutto il maggiore che si sente coinvolto dalla vicenda di questa terra. Spesso si rammarica di non avere una casa in Istria…”. Ce lo racconta Barbara Sturmar, madre, ma anche docente a Gorizia.
“Sono nata a Trieste da genitori istriani: mio padre di Verteneglio e la mamma di Cranzetti (famiglia Coslovich). Arrivarono giovanissimi a Trieste, papà con i genitori…”
Hai conosciuto i nonni?
“Ho avuto un legame straordinario con nonno Dante, è sempre stato un faro nella mia esistenza. Attraverso i suoi racconti ho colto il dramma di una famiglia abituata a vivere in campagna, catapultata in città o, ancora peggio, costretta ad emigrare Oltreoceano: una sorella è andata in Canada e l’altra in Argentina con tutte le sofferenze che possiamo immaginare. I miei genitori s’erano già visti in occasione dei balli che si organizzavano nei rispettivi paesi, giunti a Trieste è scattata la scintilla. Io sono figlia unica”.
Quando ti hanno portata a conoscere i parenti in Istria?
“Da subito. Loro hanno sempre mantenuto rapporti molto stretti con la famiglia. Ho scoperto questa terra dal di dentro forse per questo la sento in modo così completo. Un legame che ho trasmesso ai miei figli, ma anche a mio marito che pur essendo di Cormons è innamorato dell’Istria”.
A Gorizia dopo il matrimonio quindi?
“Si, ho frequentato tutte le scuole a Trieste, mi sono laureata in lettere con il prof. Elvio Guagnini. Ora insegno alla scuola media Ascoli italiano, storia e geografia. Porto spesso i ragazzi a visitare il Magazzino 18 grazie alla collaborazione con Piero Delbello. Il concorso nazionale 10 febbraio mi ha permesso di portare a scuola la nostra vicenda, contattare i testimoni, qualcuno anche della mia famiglia, ma questo scavare ha fatto emergere le radici giuliano-dalmate anche nei miei alunni, ce ne sono molti”.
Il loro è un impegno reale o sono lezioni come le altre nel corso di un anno scolastico?
“Assolutamente no. Ecco un esempio: un alunno che voleva parlare di Nazario Sauro, ha trovato su internet il libro a lui dedicato, scritto dal nipote Romano Sauro col figlio Francesco. Così Sauro ha partecipato a una lezione in videoconferenza, è stato bellissimo. Poi la classe gli ha dedicato il lavoro intitolato ‘Lo Scrigno di Nina”, che riassume i ricordi della madre, da un punto di vista inedito, tanto che Romano si è appassionato alla vicenda e ci ha inviato degli originali per la mostra e la tesina finale. Lavoro bellissimo col quale abbiamo vinto il primo premio, ritirato a Roma al Quirinale”.
Le famiglie spesso non raccontano ai figli la propria storia…
“Ne sono stata testimone. Un alunno scopre di avere una nonna istriana che non aveva mai parlato della sua vicenda con i nipoti. Siamo andate a prenderci un caffè e siamo diventate amiche tanto che poi è venuta in classe. Ha raccontato della fuga dall’Istria a piedi e della ‘sistemazionÈ in Risiera diventata campo profughi. Non era sostenibile e ha chiesto di essere trasferita, così aveva conosciuto altri campi profughi in varie parti d’Italia (Latina e Capua). Per un periodo, siccome era molto giovane, venne inviata in Inghilterra nell’ambito di una missione di aiuto ai profughi. Dall’Inghilterra venne trasferita in Svizzera e poi a Gorizia. Da questa vicenda è nato un album fotografico con istantanee della famiglia e cartoline, premiato ancora una volta al concorso nazionale e siamo stati accolti in Senato”.
Risultato di tanta fama?
“Forse le famiglie sono uscite dal silenzio, hanno capito l’importanza della testimonianza, ma soprattutto i ragazzi sono cresciuti, hanno preso coscienza della propria provenienza o della ricchezza della diversità. La presidente del Comitato di Gorizia dell’ANVGD ne parla in tutte le scuole del territorio e questo è un successo per tutti noi”.
Sei arrivata a questa consapevolezza anche attraverso la letteratura. Puoi dire che sia stata basilare?
“È stata il supporto di una lenta maturazione. Conoscevo le opere di Tomizza, ma la mia tesi di laurea riguardava Svevo e, guarda caso il prof. Bruno Maier, svevista, era il mio riferimento. Sapevo che si era occupato di letteratura giuliano-dalmata firmando anche delle antologie, ma non mi ero interessata in modo specifico della materia. Quando ho iniziato ad insegnare, il mio interesse per gli scrittori di frontiera è diventato un modello di studio nel quale ho coinvolto anche i colleghi. Nell’affrontare il mio dottorato di ricerca in italianistica, ho lavorato all’università ed ho preso parte a molti convegni riuscendo ad approfondire tale materia”.
Un autore che ti ha appassionata in modo particolare?
“Senz’altro Marisa Madieri sulla quale ho scritto diversi saggi. Ho ritrovato in lei la voce di una mamma ma anche di una coetanea, non per l’età. ma per l’approccio con i figli adolescenti quando dice: ‘sto vivendo la pienezza della vita’, mi suona molto familiare. Ho conosciuto la sorella di Marisa e ho avuto il piacere di parlare a lungo di lei. Amo moltissimo anche Giani Stuparich e le poesie di Virgilio Giotti dedicate all’Istria”.
Narrativa e libri di storia, ci vuole un giusto connubio per viaggiare nella nostra vicenda?
“Il libro di storia offre le necessarie premesse e conoscenze dei fatti accaduti. Il romanzo ti porta per mano, ti avvicina in modo morbido agli accadimenti e ti aiuta ad entrare nella dimensione degli affetti e dei sentimenti. La storia si concentra su date e cifre, la letteratura va più in la. Per i ragazzi l’approccio letterario lascia un segno. Un seme che germoglia”.
Cosa manca al mondo letterario che ci riguarda?
“Bisognerebbe avviare uno studio specifico, effettuare una catalogazione per dare organicità al tutto, per giungere a delle indicazioni specifiche o comunque ad una griglia interpretativa. Ora invece è un passaparola. C’è una grande necessità di studi. Sarebbe un sogno diventasse materia di un corso universitario per un approccio scientifico e serio”.
Che cosa rappresenta per i ragazzi l’esperienza diretta, conoscere i luoghi, gli oggetti?
“È stato fondamentale, inserire nei nostri percorsi il Magazzino 18 del Porto vecchio di Trieste. Ha aperto uno squarcio importante che ha portato i ragazzi nell’attualità. Cosa significa essere esuli, abbandonare la propria casa. Nel nostro percorso di visite ci sono la Risiera e il Magazzino 18, tornano a casa provati. Mentre conoscono la Shoah sin dalle elementari, il nostro esodo si scopre solo più tardi, con un lavoro collaterale. Rimangono colpiti dagli oggetti e del fatto che queste persone non li abbiano mai ritirati. Chi sono le persone nelle foto che appaiono nella mostra sui volti degli esuli tratte dai loro stessi album depositati con le altre masserizie. Oppure rimangono colpiti da testimonianze come quella di Fiore Filipaz, la cui sorellina è morta per il freddo nel campo profughi di Padriciano. Cominciano ad approfondire l’argomento e a scavare nelle proprie origini. Molta gente non ha più rimesso piede in Istria, per i ragazzi è una scoperta incredibile”.
Che cos’è questa nostra realtà Oltreoceano?
“Sono appena rientrata dal Canada dove ero stata invitata a un matrimonio. Mi ha sempre colpito la grande unità che tiene insieme la nostra gente, anche se gli anziani non ci sono più, le famiglie si conoscono e mantengono i rapporti tra loro. E poi c’è l’altra dimensione: i miei parenti hanno un legame forte con la nostra terra, ogni tanto tornano. Si sentono italiani dell’Istria anche se il confine è stato spostato quindi questa loro italianità ha bisogno di spiegazioni, soprattutto per quanto riguarda i giovani”.
È stato anche un viaggio nella letteratura?
“Sì, sono entrata in un bar dove dovevo incontrare il poeta fiumano Diego Bastianutti. Tra tanti, l’ho riconosciuto senza indugio, è bastato uno sguardo. Abbiamo parlato delle sue poesie sul disagio sociale del diverso, di chi è emarginato, dei senza tetto. In queste persone che lui ha studiato e descritto, ha ritrovato il dolore delle sue origini, ha dato voce a questo strappo doloroso. Siamo tutti, potenzialmente, nelle loro condizioni salvo che i fortunati sono riusciti ad emergere, a venirne fuori. Le tue radici, se hai voglia di guardarti dentro, le ritrovi sempre. Il mare dell’Istria e del Quarnero, è tutto nei suoi occhi. Spero tanto di rivederlo magari a Gorizia con i miei studenti”.
Un mondo lontano eppure ha tanto da dirci…
“Assolutamente, l’ho percepito all’Università di Victoria, nella casa di Emily Carr, scrittrice e pittrice, momento meraviglioso in cui ho avvertito il fiato alto della cultura. La consapevolezza che anche lei si fosse interessata alla cultura delle nazioni originarie, mi ha riportata all’importanza della ricerca delle radici. Il mondo può insegnare se sappiamo guardare. Qui ho colto importanti parallelismi sul concetto delle radici strappate. È stata un’altra conferma dell’importanza di conoscere l’esodo tramite la letteratura. È uno strumento che non stiamo usando. Ho tanti esempi di miei colleghi che si sono avvicinati alla vicenda attraverso gli scritti e vanno in Istria sentendosi a casa”.
C’è modo di far sentire la propria voce?
“Sto preparando un intervento per il prossimo convegno d’autunno dell’IRCI che quest’anno sarà dedicato alle ‘Tradizioni, cultura ed aspetti umani’. Terrò una relazione sull’esperienza di Paolo Rumiz in Istria, raccontata nei suoi libri. Al di là dagli aspetti paesaggistici, sono gli aspetti umani che intendo analizzare. Mi sto occupando anche di Primo Levi a cent’anni dalla nascita, ad ottobre parteciperò ad un convegno a Madrid, al Dipartimento di Italianistica con studiosi spagnoli ed italiani”.

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