A San Sabba e sul vagone blindato anche il testimone di una triste fine…

Il libro s’intitola «Elvira e Amalia. Storia di un gesto d’amore» ed è dedicato a due cividalesi vittime della Shoah, alle quali è stata intitolata la locale scuola... ma al suo interno si parla di Fiume

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A San Sabba e sul vagone blindato anche il testimone di una triste fine…

Se deve succedere, succederà, oggi, domani, un giorno… Questa è la storia di un intreccio che lega il passato al presente, la storia di una serie di coincidenze meritevoli di essere raccontate: iniziando da Cividale, si spostano a Fiume, Bologna, Milano, Lugano, Monte Carlo, Trieste, Sanremo, coinvolgono molte persone e tre in particolare per un destino risolto ma non finito, perché si svela ogni anno, ancora e ancora, nel Giorno della Memoria.
E’ dicembre, ad una presentazione con auguri natalizi compresi, ci si scambia doni ed esperienze, anche libri. Così veniamo in possesso di un volume elegante, grafica sofisticata ma sobria con foto e documenti degli anni della seconda guerra mondiale e precedenti. A consegnarcelo è un amico che, con tanta discrezione, quasi sottovoce, sottolinea: “è la storia della nonna e della zia, morte ad Auschwitz…”. Ci conosciamo da trent’anni, mai fatto alcun cenno a questa vicenda.
Il titolo è “Elvira e Amalia. Storia di un gesto d’amore”.
Ci vorrà la quarantena, questo ‘fermo pesca’, per rallentare gli impegni, riprendere in mano i progetti rinviati sine die, anche la lettura del libro che l’amico Romano Piccoli di Cividale ci ha regalato prima di Natale. Vista oggi, un’altra vita, solo pochi mesi fa eravamo in trenta a gustare un risotto e a brindare con dell’ottimo vino rosso del Collio, compressi in una stanza mentre fuori si scatenava il freddo delle valli del Natisone. Umido, vento gelido.
Due scenari, una storia
Ora c’è il sole e siamo in quarantena, due scenari di un’unica storia. Quella narrata nel libro è un mosaico di contributi, di Romano Piccoli che ogni anno nel Giorno della Memoria racconta ai giovani la storia della sua famiglia entrando nella scuola che porta il nome di Elvira e Amalia, prelevate nell’aprile del 1944 nella loro casa di Cividale, portate in carcere a Udine, da lì alla Risiera di San Sabba e poi alla stazione di Trieste, fatte salire su un treno blindato e inviate ad Auschwitz in cinque giorni di viaggio senza cibo ne acqua. Ne scrivono Mario Brandolin, la Famiglia Piccoli (i due fratelli gemelli Romano e Giampaolo), Moni Ovadia, Giuseppe Jacolutti, Alessandro Moro, Paola Parpinel, Marta Basso e Mario Ellero. Un affresco corale.
Perché Auschwitz. Elvira Schonfeld, origine ebraica, nata a Udine nel 1876, andrà sposa a Nicolò Piccoli abbracciando la fede cattolica, nel 1920 nascerà la terzogenita Amalia. Le leggi razziali si abbatteranno sulla famiglia con la violenza di una mannaia, i tedeschi preleveranno dalla sua casa Elvira, Amalia non volendo lasciare da sola la madre la seguirà imperterrita, fino alle estreme conseguenze. Della loro fine non si seppe nulla per moltissimo, troppo, tempo.
Solo dopo il 1945, a guerra conclusa, dopo infinite ricerche, il padre di Romano Piccoli, figlio di Elvira e fratello di Amalia, riuscirà ad incontrare un giovane che testimonierà di aver visto le due donne andare verso la camera a gas, incontro alla morte. Nel libro il suo nome è Sandro Krao, di Fiume.
Chi è Sandro Kroo?

Alessandro Kroo

Bisogna indagare. Chi è Krao? Non risulta in nessun elenco. Cerchiamo tra le vittime della Shoah, chiediamo ad amici e conoscenti e, finalmente, incrociando quell’unico dato certo, il suo nome, Alessandro, e Fiume, sul sito dei prigionieri di Auschwitz, un’illuminazione: non è Krao, non è Karo, il suo cognome è Kroo… e si fa strada un’altra storia.
Chi è l’uomo che è riuscito a restituire alla famiglia Piccoli una testimonianza concreta, dolorosa, tragica ma pur sempre una testimonianza: “sono andate verso la camera a gas a Birkenau, con i miei parenti, (padre e fratello Giuseppe), eravamo stati insieme negli ultimi giorni su quel carro blindato, ammirati dalla dedizione di Amalia alla madre Elvira già molto sofferente, all’epoca aveva 68 anni, sua figlia Amalia ne aveva 23”. Perché la giovane volle seguirla a tutti i costi? Amore filiale rispondono i parenti. E così vengono ricordate e danno il nome alla scuola di Cividale, la giovane avrebbe potuto salvarsi con il lavoro coatto, ma scelse di accompagnare la madre fino all’ultimo. L’arresto di Elvira Piccoli era stato preceduto da diverse perquisizioni nella sua abitazione, finché, il 22 aprile del 1944, un auto-anfibio dell’esercito d’occupazione si fermò su corso Mazzini, di fronte all’ingresso del palazzo dove tuttora risiede la famiglia Piccoli. Un sottufficiale e due soldati del servizio di sicurezza del corpo delle SS prelevarono la signora e la trasportarono a Udine, con la promessa di farla rientrare a casa dopo un interrogatorio. Amalia chiese spontaneamente ai militari di essere condotta via insieme alla madre. Il promesso ritorno a Cividale, naturalmente, non ci fu; Elvira e Amalia furono trasferite alla risiera di San Sabba, a Trieste, e quindi in Germania. Prima di partire, Amalia lasciò cadere dal vagone del treno un biglietto all’indirizzo di Teresa Zuliani Dorigo, nota pittrice friulana: pochissime righe in cui le due donne informavano Alfredo Piccoli, fratello di Amalia, della propria deportazione. Fortunosamente – pare che il pezzo di carta sia stato raccolto, quasi per caso, da un ferroviere – il foglio arrivò nelle mani della destinataria, che a sua volta lo consegnò al figlio di Elvira.
A cinquant’anni da quei fatti, Alessandro Kroo tornò alla Risiera. Lo testimonia un servizio fotografico di Piero Farina che lo ritrae nelle stanze buie, in quell’ambiente inospitale e tetro dell’edificio alla periferia di Trieste. Il servizio fotografico documenta la realizzazione di un documentario Rai con protagonista Piero Terracina, famoso industriale romano che per la realizzazione del filmato tornò per la prima volta ad Auschwitz. Per la medesima esigenza Kroo, cinquant’anni dopo varcò ancora una volta l’ingresso della Risiera di San Sabba dove aveva condiviso la prigionia con Elvira ed Amalia Piccoli. Ormai Kroo era diventato un uomo famoso, ammirato filatelico che era vissuto a Milano, a Monte Carlo come consulente del principe Ranieri e a Lugano. Uomo di particolare carisma ma tormentato, sempre alla ricerca di un posto in cui sentirsi sicuro, a casa.
Una storia che emerge nel libro della Cuttin
Era nato nel 1923 a Budapest, giunto a Fiume all’età di quattro anni, qui aveva conosciuto Martino Goldstein, della famiglia di Silvia Cuttin che ritroviamo nel romanzo “Ci sarebbe bastato”, che incredibile intreccio.
Anzi, li ritroviamo insieme nella lunga via del ritorno da Auschwitz. Raggiunta Trieste cercheranno rifugio nella casa dei parenti, nella quale si aggira, giovanissima, la mamma di Silvia. Se li ricorda ancora, silenzioso Martino, inarrestabile Alessandro nel suo racconto dei fatti. Pesa soprattutto la morte di padre e fratello, della madre non sa nulla. Quale sorpresa nello scoprire che era ancora viva e che aveva lasciato tracce di sé a San Giovanni in Persiceto. Ci andranno insieme, quasi che il loro sodalizio non si dovesse sciogliere. La gente del posto gli svelerà il nuovo indirizzo della madre ma soprattutto, ognuno di loro, in forma privata e sparsa, gli consegnerà un tesoretto che la madre aveva lasciato per i suoi familiari superstiti. Tra gli altri preziosi recuperati anche gli album di francobolli che aveva composto col fratello Giuseppe e che diventeranno il suo impegno per la vita.
Quindi, di Kroo, che s’incontrerà a Trieste con il figlio di Elvira e fratello di Amalia, ci sono segnali sparsi della sua voglia di testimoniare per portare conforto alle famiglie ma anche per consolare la propria memoria straziata. Per noi ora il suo nome emerge, sia dal racconto di Silvia Cuttin che dalla testimonianza in audio rilasciata a Liliana Picciotto del Centro di Documentazione ebraica di Milano, nonché dagli articoli del dottor Giuseppe Sincich jr, inviati alla Voce di Fiume sulla storia dei fratelli Kroo, il maggiore, anche lui si chiamava Giuseppe, era stato suo compagno di scuola.
Era quasi destino rincontrare virtualmente Kroo, mancato nel 2005, non fosse altro che per approfondire una pagina di storia fiumana e regionale. Romano Piccoli è una persona di una discrezione infinita, ma donandoci questo libro sulla sua famiglia, ha aperto il vaso di Pandora e tutto torna a fare storia…per cui non finisce qui.

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