Al bar dell’istriana Edda Jurissevich storia e vita di una comunità

A pochi chilometri da Trieste, Borgo San Mauro, è uno dei quartieri che, a partire dagli anni Cinquanta, vennero costruiti dell’opera profughi per gli esuli istriani, fiumani e dalmati

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Al bar dell’istriana Edda Jurissevich storia e vita di una comunità

Borgo San Mauro-San Lorenzo del Pasenatico, andata e ritorno, una costante per Edda Jurissevich. La percezione è che non si tratti di due località divise da più confini, ma solo di due quartieri di una grande città metropolitana che inizia in FVG, passa dall’Istria e termina a Fiume… ma forse in Dalmazia.
Edda è una forza della natura, volitiva donna istriana tutta d’un pezzo che tiene stretti i fili del suo pensiero e fa rigare dritta la realtà del suo bar a Borgo San Mauro, ritrovo di…tutti.
“Conosco molta gente a San Lorenzo ma anche nelle località dei dintorni, so cosa producono, coltivano, cucinano, affittano, ci vivo da una visita all’altra, appena posso parto, da sola o in compagnia, spaziando fino a Parenzo dove sono nata, a Baderna dove è nata mia mamma Maria, Antignana località della nonna, dove sono cresciuta: poi c’è stato l’esodo…”.
Dal mare istriano alle nebbie di Cremona, dura la vita…
“Siamo andati via tutti con grande dolore. Sette fratelli di mio padre che lavoravano la terra e soprattutto erano lo zoccolo duro della banda del paese fondata dal loro nonno. Con altri amici del posto, per loro fare musica era vita, era speranza, era gioia, era sentirsi comunità”.
Suo padre faceva l’insegnante?
“No, era un contadino come gli altri ma con un amore così profondo per la musica ed una conoscenza tale che trascinava tutti. Musica profana, quella sacra era riservata alla chiesa dove campeggia un organo di grande pregio firmato dal Maestro Nacchini, orgoglio della località. In compenso io che sono nata nel ’59 ho fatto per due volte la prima classe, a S. Lorenzo e a Cremona. Mia mamma è di Baderna, in pochi chilometri tutto il mio mondo”.
Esule a Cremona come ha fatto ad arrivare a Borgo San Mauro?
“Ci portarono a vedere gli appartamenti a Cremona e dintorni di edilizia popolare, in parte destinata ai profughi giuliano-dalmati. Noi invece andammo a Torino, perché mio padre aveva trovato lavoro alla Siptel dopo aver chiesto ed ottenuto un colloquio col sindaco. Lo accolse e lo ascoltò, parlarono anche di Lissa dove mio padre era stato militare e maestro della banda. Rivangarono gli episodi della battaglia di Lissa e il sindaco si sciolse. Dopodiché gli offrì davvero un lavoro, e così ci trovammo in un bellissimo appartamento in Corso Taranto ma la nostalgia era grande ed il fratello di mio padre aveva aperto un ristorante a Trieste, lo convinse a spostarsi quando seppe che il bar di Borgo era in vendita. Appena ci sistemammo mio padre tolse la fisarmonica dalla custodia e la musica riprese a scandire la nostra esistenza. I compaesani di una volta, sparsi sul territorio, arrivavano anche da Muggia per suonare insieme. Organizzammo così i Carnevali e le altre ricorrenze, ripristinando antichi riti e consolidando nuove amicizie”.

Edda Jurissevich nata a San Lorenzo del Pasenatico, vive a Borgo San Mauro

Così rimase a lavorare nel bar?
“Tentai anche altre strade, quella dell’insegnamento in particolare. Dopo aver frequentato l’Università, feci vari concorsi ma il precariato era la regola così dopo diversi tentativi decisi che qui sarei stata nel mio mondo. Borgo aveva bisogno di un luogo di aggregazione. Curiamo una piccola biblioteca, si organizzano mostre, presentazioni. E poi attività manuali, per esempio il mercoledì pomeriggio ci si incontra per lavorare a maglia o con l’ago e si chiacchiera amabilmente. Solitamente le anziane raccontano alle giovani le loro esperienze di vita. Personalmente ho partecipato anche alla nascita del Circolo Istria. Se il Covid non ci bastona, a settembre organizzeremo una mostra di Bressanutti”.
Anche il Circolo Istria si incontrava al bar di Borgo?
“Non come Circolo ma ci veniva spesso Fulvio Tomizza a trovare gli umaghesi che con i capodistriani e i piranesi sono le comunità più numerose in loco. Qui si incontravano anche i rovignesi animati da Giovanni Zochil (Stelio) che impostava il canto e tra bitinade e arie da nuoto, gli incontri si trasformavano in giornate indimenticabili”.
L’Istria è qui. Perché questo continuo desiderio del ritorno?
“Perché di San Lorenzo conosco ogni pietra, ogni nome, a Baderna ho trascorso estati piene di esplorazioni e conoscenza, le storie delle famiglie, delle migrazioni. Molti erano i carnici che nei loro spostamenti finivano per avere due famiglie, una sulle montagne e una nei paesini dell’Istria. Erano racconti fantastici, saghe familiari che assorbivo captando i discorsi degli anziani. In loro nome anni fa organizzammo una gara di bocce con giocatori provenienti da Slovenia, i sloveni del Carso, le Comunità degli Italiani dell’Istria e dal Friuli. Si guardavano con sospetto per questioni di contrapposizione storica ma alla fine delle gare tutto si scioglieva nei brindisi generosi e l’amicizia trionfava. Poi con il bar abbiamo cominciato a organizzare le gite in Istria per chi c’era stato e per chi non aveva voluto attraversare la frontiera fino a quel momento, una festa senza precedenti. Ora ci vado con piccoli gruppi di amici che mi porto appresso nei miei vagabondaggi istriani alla ricerca di tracce di antichi passaggi e di nuove proposte. L’Istria sta cambiando, noi ne rappresentiamo un’importante memoria che va salvaguardata. Forse non c’è ancora piena coscienza di questo fatto”.
Una realtà ricostruita altrove
Sono arrivate, nel giardino del bar al fresco del pergolato di glicini piantato dalla signora Maria, madre di Edda, cinquant’anni fa, le signore di Borgo, si dispongono in semicerchio, pronte a raccontare, le loro voci si sovrappongono in un allegro cicaleccio. Perché Borgo, dove ci troviamo, cos’è questo posto? Le risposte e le spiegazioni arrivano a poco a poco, spesso chiare, a volte confuse non perché si ignori la storia ma perché c’è un pudore di fondo nel raccontare, uno scavare nell’anima. Ciò che ci fanno sapere fa parte di un lavoro di ricerca della maestra Clelia Cecconi preparato per la mostra sul Borgo in occasione dell’anniversario di cinque anni fa. Borgo San Mauro sorse, dopo il secondo conflitto mondiale, per ospitare i profughi provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia. La sua costruzione iniziò il 1.mo luglio 1955, su progetto presentato il 3 settembre 1953 e venne edificato dall’O.A.P.G.D. (Opera profughi) in più lotti.
“La storia è la stessa per tante altre realtà italiane – spiega Edda – nasce dalla necessità di dare una casa dopo tanti anni di campo profughi, agli esuli delle nostre terre”.
Così i primi lotti furono costruiti su terreno acquistato per un modico prezzo dai Principi di Torre e Tasso (proprietari del Castello di Duino). Il primo, ultimato il 1.mo dicembre 1956, comprendeva 25 case con 100 appartamenti con giardino (inaugurazione il 19 maggio 1957). Il secondo, inaugurato nel maggio 1958, comprendeva 13 case con 26 appartamenti con giardino e il primo padiglione delle attività commerciali (bar, alimentari, macelleria, rivendita tabacchi e giornali, panetteria). Venne ultimato nel maggio del 1959 con l’inaugurazione della Casa del fanciullo “Giorgio Reiss Romoli” che avrebbe ospitato il ricreatorio e la scuola materna.
Il terzo, ultimato nell’aprile del 1961, comprendeva 7 case con 26 appartamenti con giardino, alle quali si aggiunsero il secondo padiglione dei negozi (alimentari, abbigliamento-merceria, barbiere e parrucchiera) e altre due attività commerciali (drogheria e farmacia). In totale, in una decina di anni e su una superficie di 220.800 mq, tutti o quasi acquistati dall’Opera senza ricorrere ad espropri, vennero edificati 346 alloggi, 14 locali di affari, una Scuola media, una Casa di riposo, un asilo-ricreatorio ed una Chiesa. Le autorizzazioni edilizie, sia per il Borgo Vecio, sia per il Borgo Novo, non vennero mai rilasciate dalle Amministrazioni comunali di allora e per entrambe fu necessaria la nomina di un Commissario “ad acta” nominato dal Commissario generale del governo. Tutti gli appartamenti vennero assegnati per lo più a famiglie che provenivano dalle cittadine costiere dell’Istria e dal contado, ma non mancavano famiglie provenienti da Fiume, dalle isole del Quarnero, da Zara, Spalato e dalle isole della Dalmazia. Fino alla metà degli anni 70, gli affitti degli appartamenti e dei negozi, l’asilo-ricreatorio, la Casa di riposo, la viabilità e gli spazi verdi erano gestiti dall’Opera profughi giuliani e dalmati. Nei primi anni novanta, gli Istituti pubblici ((Scuola media, Casa del fanciullo e Casa di riposo) e le parti comuni (strade, aiuole, campetto di calcio-dolina) passarono sotto la gestione del Comune di Duino-Aurisina.

Edda con la madre Maria sempre attente a promuovere la tradizione istriana

Ma come si vive a Borgo: che cosa c’è, che cosa manca?
Le voci, ancora una volta, si sovrappongono. Raccogliamo le testimonianze della quindicina di signore accorse all’appuntamento, anche di quelle che dichiarano “mi non son de qua” anche se abitano in Borgo ma provenienti da altre parti d’Italia, come se fosse una diminutio… Ridono le altre, divertite e consolatorie, “ma dai, ti son come noi, una de noi anche ti”.
Hanno ricomposto una comunità, lontano da quella di origine ma si sono portate appresso tutto ciò che le contraddistingue: l’allegria, la vivacità, la falsa modestia, la voglia di comunicare, la risata coinvolgente, gli aneddoti, i ricordi e le speranze. Ma questo ed altro in una delle prossime edizioni di Esuli FVG.

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