PUNTI DI VISTA La maledizione di Montezuma

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PUNTI DI VISTA La maledizione di Montezuma

L’ennesimo, drammatico calo demografico della Comunità Nazionale Italiana registrato dall’ultimo censimento in Croazia è la testimonianza di una sconfitta: quella, cocente, della stessa minoranza, che non ha saputo o potuto opporsi adeguatamente all’assurdità e all’ingiustizia dell’ennesima “conta”, e quella della politica che non è riuscita, in Croazia, a dare una risposta moderna ed europea alla questione dei diritti delle comunità nazionali, accusando un abissale ritardo nel campo del rispetto dei diritti umani.

È difficile dire come si possa reagire, da italiani, di fronte alle cifre del censimento; a questi numeri che segnano, in un decennio, la perdita di quasi un quarto dei cittadini formalmente dichiaratisi di “nazionalità italiana”: più di quattromila connazionali – la popolazione complessiva di una località istriana di media grandezza – scomparsi, volatilizzati nel breve volgere di due lustri.

Potremmo semplicemente ignorare l’impianto del censimento e la sua assurda, cinica “aritmetica dell’assimilazione” ribadendone l’inadeguatezza, la non corrispondenza alla realtà e alla vera consistenza numerica e della nostra Comunità, il suo anacronismo e la sua inefficacia quale strumento statistico e di “gestione” delle questioni nazionali, il suo “antieuropeismo” e la sua sostanziale antidemocraticità. Stendere, dunque, un pietoso velo di silenzio e dire semplicemente: non lo accettiamo! Non ci riguarda, non ci rappresenta!

Oppure potremmo ribellarci, protestare con veemenza accusando la palese ingiustizia e l’inefficacia del sistema di tutela delle minoranze – di tutte e della nostra in particolare – in Croazia, l’inadeguatezza del bilinguismo, del rispetto dei diritti, dell’inclusione sociale e politica, dell’autonomia e della soggettività della nostra Comunità nazionale. Chiedendo di rivedere l’impianto legislativo, le modalità della sua applicazione, l’attuazione di una nuova e diversa politica nei confronti dei gruppi nazionali minoritari.

Rivendicando, ove possibile, anche delle forme di “riparazione” per i torti subiti con l’esodo e con gli effetti di una pervicace politica di assimilazione: chiedendo la conseguente applicazione dei trattati bilaterali, come l’accordo italo-croato del 1996, realizzando soluzioni atte a favorire lo sviluppo di una dimensione economica della minoranza, di un processo di “ritorno” culturale, di rilancio, di cura e formazione dell’identità nazionale, di nuove ed efficaci forme di “discriminazione positiva”(doppio voto, L2 obbligatoria nelle scuole della maggioranza, estensione del bilinguismo, parificazione linguistica a tutti i livelli, posti garantiti nell’amministrazione pubblica, piena autonomia e autofinanziamento delle nostre istituzioni ecc.). Chiedendo l’eliminazione definitiva di ogni forma di conta nazionale, bandendo una volta per tutte lo strumento penalizzante e discriminatorio del censimento nazionale e impostando l’avvio di serie indagini demografiche e sociologiche per capire realmente come aiutare la minoranza.

Ma il problema è la “trappola” in cui, con i censimenti nazionali (prima jugoslavi e poi croati, sloveni sino al 2002), siamo stati invischiati: un meccanismo perverso diventato strumento di gestione delle politiche nazionali e dei rapporti nei confronti delle minoranze. Un sistema che ci impone cinicamente di riconoscere la nostra sconfitta dopo avere subito, per decenni, il peso di una strisciante assimilazione. Di avvalorare il censimento inteso come misura della quantità numerica di un gruppo e, insieme, quale parametro per la sua tutela, per l’affermazione di un “quantum” di diritti umani. L’applicazione, dunque, di un riferimento oggettivo – il numero, la quantità – usato per esprimere un valore sempre e comunque soggettivo, volontaristico: l’appartenenza e l’identità nazionale. L’immisurabile: la riduzione della coscienza nazionale, di un valore profondamente umano, sensibile, intimo, socialmente e psicologicamente mutabile, a numero, a mero oggetto.

Come può il censimento nazionale “misurare” le delicate dinamiche presenti nei matrimoni misti, nel complesso fluttuare delle relazioni sociali, o i fattori dipendenti dalle pressioni ambientali, economiche o politiche? Come può decifrare le complesse motivazioni soggettive degli individui, ridurle a numero, a un “sì” o a un “no”? E comprendere la complessità, la pluralità di un territorio, soggetto, da sempre, a grandi trasformazioni, costanti immigrazioni esterne, a grossi e costanti flussi di emigrazione, al peso dell’invecchiamento demografico, al difficile approccio al problema dell’identità – in un ambiente sempre più ibridato e globalizzato – delle giovani generazioni? Lo stesso vale per la “lingua materna”, codice complesso e soggettivo in una società “mobile” e “liquida” come quella odierna, ove è sempre più difficile decifrare e intercettare gli stati e le dichiarazioni di “coscienza” e appartenenza, tanto più se espresse in un contesto pluralistico, “ibrido”, fatto di matrimoni e famiglie “miste”, ove gli standard identificativi sono multipli e complicati.

È la “maledizione di Montezuma” al contrario: l’anatema contro i “conquistadores” – un gran mal di pancia – che colpisce invece il popolo assoggettato. Che accompagna il tentativo azteco di sfuggire alla morsa degli invasori invitandoli nel proprio palazzo, combattendoli e al contempo proclamandoli “divini”: l’accettazione dell’ineluttabile. Per noi i censimenti nazionali, sino a che verranno perpetuati, saranno una maledizione: una minaccia contro cui combattere, un nemico da odiare o da ignorare, e allo stesso tempo un “capestro”, un dio malefico – il numero, la “reductio ad unum” – a cui non potremo sottrarci. L’unico modo per vincere la battaglia dei censimenti è quella di eliminarli per sempre; di chiedere vengano definitivamente aboliti. Con l’entrata della Croazia nell’Eurozona e nell’area Schengen, dal prossimo gennaio, il più grande regalo alla nostra Comunità nazionale potrebbe essere quello della rinuncia definitiva di Zagabria all’applicazione della conta nazionale. Per fare sì che una Comunità autoctona venga tutelata, difesa e riconosciuta in quanto tale, non per il suo numero, il suo essere “uno, nessuno o centomila”: ma per il semplice fatto che esiste da secoli su un territorio, ne rappresenta l’essenza, il pluralismo, l’identità.

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