Grazie infinite Mario Schiavato

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Grazie infinite Mario Schiavato

Linotipista per scelta, alpinista per passione, scrittore per vocazione. Una delle voci più autentiche, genuine, espressive e significative della letteratura contemporanea della Comunità Nazionale Italiana, quella di Mario Schiavato, s’è spenta. Se n’è andato in punta di piedi. Lo scorso 31 maggio aveva compiuto 89 anni (leggi qui lil ricordo di Roberto Palisca). In una delle ultime interviste che concesse al nostro quotidiano, alla domanda “È soddisfatto della propria vita?” rispose: “Pienamente. Ho avuto una vita ricca. Se rinascessi non cambierei nulla. Lo affermo avendo in mente le tante difficoltà, le delusioni e la miseria che ho incontrato nel mio cammino. Sono felice di aver avuto un matrimonio splendido, dei meravigliosi figli, dei nipoti altrettanto meravigliosi, dei fratelli, una famiglia numerosissima, delle soddisfazioni letterarie, tanti interessi, tanti viaggi… Non mi è mancato niente: 80 anni sono passati ed io non me ne sono neanche accorto”.
Fino a qualche anno fa, abitando proprio dietro al Palazzo della stampa, di tanto in tanto faceva ancora qualche capatina all’Edit. Qui aveva trascorso buona parte della sua carriera. Dopo aver fatto per un periodo il correttore di bozze del nostro quotidiano e il redattore tecnico del “Pioniere” e di altre pubblicazioni, avrebbe comodamente potuto, ma non volle fare il giornalista: per ben 40 anni fino al pensionamento, lavorò in stamperia come linotipista. Era uno dei migliori. A differenza di tanti altri suoi colleghi, mentre ribatteva i testi su piombo alla linotype, gli succedeva difficilmente di commettere errori. Persona erudita, di grande cultura, dai mille interessi, era sempre aperto al dialogo e parlare con lui di qualsivoglia argomento era sempre piacevole oltre che utile e istruttivo. Ma oltre a ricordarlo come tale, chi scrive ha ancora bene impressa la sua figura nella memoria ai tempi in cui da bambini, insieme ai nostri genitori, ci si recava in compagnia, nei fine settimana, in gita a Lisina o sul Monte Maggiore. Erano gli anni ’60-‘70. Noi ci si andava in macchina, spesso il sabato o la domenica. E immancabilmente lungo la strada in terra battuta che da Mattuglie saliva verso Rucavazzo, lo incontravamo con al seguito la sua comitiva di alpinisti. Lui, agile, sempre in testa al gruppo, bastone in mano, scarponi e calzettoni di lana ai piedi, zaino sulle spalle. Un colpo di clacson a mo’ di saluto, si abbassava il finestrino e si scambiavano le prime due chiacchiere. Qualche ora dopo ci si rivedeva al rifugio. Sempre di buon umore, gentile e sorridente, quando di tanto in tanto, sorseggiando insieme a lui un tè caldo, ci raccontava delle sue avventure di montagna, nell’immaginario collettivo di noi bambini a quei tempi appariva come un Jack London. E che gioia quando, dopo averlo conosciuto di persona, sfogliando in classe le pagine del “Pioniere”, (oggi “Arcobaleno”) trovavamo, in calce a un racconto o a una fiaba la sua firma. Nell’ambito della produzione letteraria della Comunità Nazionale Italiana non sono molti gli autori che scrivono o hanno scritto per l’infanzia. Per rispondere alle esigenze di un pubblico di piccoli lettori chi scrive deve saper abbandonare visioni e prospettive da adulto per diventare per il bambino un compagno di viaggio, che parla con lui, agisce come lui, fa le cose che fa lui. Un compito non semplice che Mario Schiavato sapeva fare eccellentemente, adottando la prospettiva infantile con estrema naturalezza, prestando attenzione alle vicende di ogni giorno, alla semplicità della vita quotidiana, all’innocenza dell’età dell’infanzia (“Quelli della piazzetta”, “I ragazzi del porto”).
Da ragazzi, quando a scuola o in Comunità, al ritorno da uno dei suoi tanti viaggi per il mondo o al rientro da qualche grande importante scalata, teneva una delle sue interessantissime conferenze che accompagnava sempre con la proiezione di diapositive, oltre che con magnifiche descrizioni di atmosfere e paesaggi, ci sembrava Ernest Hemingway. Già allora ci rendevamo conto che, oltre ad essere un eccellente narratore, era un grande uomo. Anni dopo, da giovani, leggendo i suoi racconti, i suoi reportage, ma soprattutto più tardi, da adulti, riflettendo sul contenuto dei suoi libri più impegnati (“Terra rossa e masiere”, “L’eredità della memoria”, “Il ritorno”), avremmo iniziato ad apprezzarlo ancora di più per l’ennesima delle sue innumerevoli doti: era e resterà una delle migliori penne della nostra Comunità nazionale.
Grazie di tutto; grazie infinite, Mario Schiavato.

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