INSEGNANDO S’IMPARA God save the Queen

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INSEGNANDO S’IMPARA God save the Queen

Elisabetta II di Windsor era la regina del Regno Unito, a capo di varie nazioni del Commonwealth e per di più una signora di una certa età, per cui la sua morte, non riguardandoci direttamente ed essendo occorsa nell’ordine naturale delle cose, non dovrebbe toccarci più di tanto. Allora perché molti di noi si sentono improvvisamente spaesati e anche un po’ orfani?

Uno dei motivi che spiegano questo vuoto improvviso può essere il fatto che per noi la regina è sempre esistita; con i suoi 70 anni di regno è stata una presenza costante nella vita della maggior parte di noi che siamo cresciuti con la sua immagine sempre presente sullo sfondo degli avvenimenti mondiali che ci hanno accompagnati. Inoltre, nonostante in Europa siano tuttora in vigore altre 10 monarchie (sei regni – Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda, Belgio e Spagna; tre principati – Monaco, Andorra e Liechtenstein e un granducato – Lussemburgo), lei era LA regina. I monarchi dei Paesi scandinavi si perdono nella nebbia delle cose malricordate. Qualche nome, Margherita, Beatrice, ma volti sconosciuti ai più. I sovrani spagnoli sono più familiari e sia l’ex regina Sofia sia l’attuale regina Letizia sono abbastanza riconoscibili. Ma l’unica concorrenza in notorietà che aveva Elisabetta proveniva dallo sfavillante Monaco con il glamour hollywoodiano di Grace e delle sue figlie. Ma come sappiamo lì è finita in tragedia e poi si trattava “solo” di una principessa.

La superiorità in status mondiale quasi naturale della corona inglese era stata proclamata anche dall’esiliato re Faruq d’Egitto che, nel 1965 in punto di morte sembra avesse detto: “Nel XXI secolo resteranno solo cinque re: quelli dei mazzi di carte e l’inquilino di Buckingham Palace”. Ma per sette decenni è stata l’inquilina di Buckingham Palace a farci compagnia e il senso di perdita che ha provocato la sua scomparsa è causato probabilmente dal fatto che la consideravamo una di famiglia.

Questa familiarità proveniva indubbiamente dal fatto che l’archetipo di questa regina, molto bene delineato nei suoi tratti, sia stato creato molto presto e sia rimasto sostanzialmente immutato nel tempo. Con gli anni l’unica cosa che è cambiata nell’immagine della sovrana è stato il colore dei capelli, il volto ammorbidito dall’età, il corpo leggermente appesantito e il passo più curvo e incerto. Tutto il resto è rimasto uguale; dalla pettinatura al rossetto, dai cappellini alla foggia del suo abbigliamento che era unico ed apparteneva solo a lei. La regina non seguiva la moda e nemmeno la faceva. In compenso aveva creato una rappresentazione iconica di sé stessa che era diventata un simbolo riconoscibile ovunque con le sue scarpette dal tacchetto comodo i suoi tailleur squadrati in tinta unita in tutti i colori possibili, dai rossi, azzurri e verdi squillanti, alle tonalità pastello che solo gli inglesi osano portare. Anche i suoi abiti da cerimonia, pur essendo ornati da dettagli preziosi, mantenevano una linea sobria dall’eleganza senza tempo. Poi c’era l’altra immagine, quella del tempo libero passato nelle residenze di campagna con la regina ricoperta di tweed, stivaloni ai piedi e l’immancabile fazzolettone legato sotto il mento. Anche i suoi cani di razza corgi erano diventati indissolubilmente “i cani della regina” e ne completavano il quadro.

Ma il mito di Elisabetta II oltre che all’immagine esteriore, proiettava anche caratteristiche e valori meno effimeri ma estremamente efficaci e duraturi. Una totale dedizione al proprio ruolo e al lavoro che ne consegue, costanza di comportamento e di carattere, tenacia nelle avversità, profonda riservatezza riguardo alle proprie opinioni e sentimenti e soprattutto un naturale senso di dignità, sono i tratti che gli inglesi riconoscono nella loro regina.

Il rapporto tra il popolo e la corona è molto più rivelatorio in lingua originale che in traduzione. Noi parliamo di sovrani che regnano sui sudditi, in inglese i sudditi diventano soggetti (subjects) e nel suo primo discorso alla nazione, all’annuncio della morte di suo padre, la giovane principessa aveva promesso di dedicare la sua vita al servizio (service) dei propri soggetti appunto. Promessa che ha mantenuto nei settant’anni seguenti, tanto che fino a due giorni prima di morire con i lividi della flebo sulle mani, la sovrana continuava a lavorare, incontrando ufficialmente il neoeletto primo ministro Liz Truss. Per tutti questi motivi la regina godeva di un affetto smisurato da parte degli inglesi, affetto che aveva traballato solo in occasione della morte della principessa Diana (altra icona che ispirava adorazione), ma che si era ripreso subito ed è durato fino alla fine.

Durante i tre anni in cui è stato primo ministro, Boris Johnson ne ha combinate di tutti i colori e sembrava immune alle critiche ed esente da ripercussioni, ma è stata la regina che ha indirettamente fatto crollare la sua popolarità. Quando nel 2022 sono emersi tutti i dettagli del vergognoso gozzovigliare a Downing Street mentre tutti stavano isolati nel lockdown e la gente moriva di Covid senza il conforto dei propri cari, è stata proprio l’immagine dell’aprile del 2021, della regina sola e in lutto, con il volto coperto dalla mascherina nera, gli occhi affranti dal dolore, al funerale del marito, il principe Filippo D’Edimburgo, che ha infiammato l’ondata di indignazione in modo irreversibile, culminando con le sue dimissioni.

Infine, per non dimenticare che la regina aveva anche un notevole senso dell’umorismo, riguardatevi la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra del 2012 e vedrete un attore vero, Daniel Craig, che interpreta un personaggio finto, James Bond, ma che ingaggia una regina vera, Elisabetta II, per fare una scena di lancio con paracadute dall’elicottero finta (controfigure) per far apparire la sovrana in veste ufficiale all’inaugurazione vera. Geniale.

È un vero peccato che se ne sia andata!

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