ECONOMIA E DINTORNI Il turismo nella morsa del Covid: crisi di filiera, ma anche sociale

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ECONOMIA E DINTORNI Il turismo nella morsa del Covid: crisi di filiera, ma anche sociale

Dal punto di vista quantitativo, viaggi e turismo sono i settori più colpiti dal Covid-19. Alcuni autorevoli sociologi hanno definito il turismo come un’invenzione della modernità, inizialmente riservata a élite molto ristrette e sviluppata massicciamente nel secondo dopoguerra. Per identificare il turismo come comparto economico si è realizzata una doppia evoluzione: quella tecnologica, che attraverso lo sviluppo industriale di trasporti e comunicazioni ha reso possibile strutturare viaggi rapidi ed economici; e quella sociale, che ha generato la figura del turista in viaggio, grazie al conseguimento del tempo libero retribuito. Ovviamente il tempo libero è una condizione necessaria, ma non sufficiente: affinché si possa viaggiare occorre un’adeguata disponibilità economica per supportare i costi dei desideri. E la storia sociale ci insegna che finché non è stata istituzionalizzata la retribuzione in periodi di non lavoro le vacanze e i viaggi di svago sono stati possibili solo per i ceti più elevati. Oggi il 95 per cento dei turisti è in ferie retribuite o gode di una pensione.

Il «Bank Holiday Act»

Il primo atto ufficiale al riguardo, denominato “Bank Holiday Act”, fu approvato in Inghilterra nel 1871 e prevedeva quattro giorni di ferie solo per i dipendenti delle banche in Inghilterra, Galles e Irlanda. Da lì il modello, che valeva appunto per poche categorie di lavoratori, fu esportato con successo in Canada e negli USA. Lo Stato che per primo ideò un periodo di ferie “pagate” esteso a tutti i lavoratori fu la Francia; il progetto di legge fu presentato e approvato nel 1925, ma la legge venne promulgata dal Front Populaire solo undici anni dopo, il 20 giugno 1936. In Italia il tema è stato trattato per la prima volta nel 1927 durante il regime fascista con la Carta del Lavoro, ma solo con la Costituzione del 1948 vengono ufficialmente introdotte le ferie retribuite come le intendiamo oggi. Questo è quanto possiamo apprendere dalle fonti (Naj Ghosheh, Working conditions law report 2012; International Labour Organization, A global review, 2013; e Focus.it).

Voglia di libertà

Le due evoluzioni, tecnologica e sociale, hanno trasformato la vita di una notevole parte dell’umanità anche dal punto di vista mentale, facendo emergere una percezione tangibile del concetto di libertà. Avendo la pandemia pesantemente limitato l’esercizio della mobilità, la volontà di viaggiare è divenuta sostanzialmente una rivendicazione politica di libertà (ci è gradito richiamare un riferimento storico piuttosto recente: in Germania Est una richiesta di visti turistici fu la causa prossima che provocò il crollo del muro di Berlino nel 1989). I provvedimenti di legge promulgati in seguito alla prima, alla seconda e alla terza ondata della pandemia hanno imposto le ben note limitazioni a spostamenti anche molto brevi, con le già esaminate ricadute sull’economia globale; ma hanno anche evidenziato il principio politico secondo cui impedire ai cittadini di essere turisti significa privarli di un elemento qualificante del concetto di libertà.

La filiera economica

Quale arido dato numerico, ma indicativo delle dimensioni del business che stiamo analizzando, dobbiamo ricordare al lettore che solo in Italia le strutture alberghiere e gli hotel sono 33mila, per un totale di oltre un milione di camere. La crisi del turismo ha determinato il crollo dell’industria alberghiera, che in Italia ha finora registrato perdite nette per 32 miliardi di euro; al lordo, ma dobbiamo considerare anche le conseguenti perdite prodotte sulle contigue filiere strategiche, che rischiano di collassare irrimediabilmente. L’industria turistico alberghiera è infatti da decenni traino determinante per i settori collaterali, dall’alimentare ai servizi. Ora è quasi completamente ferma da oltre un anno, e il suo crollo trascina a fondo le altre filiere, con ricadute negative sui bilanci delle aziende correlate e interdipendenti.

Non soltanto ho.re.ca

Come sappiamo i consumi turistici generano importanti fatturati B2C (ristorazione, trasporti, agenzie viaggi, cultura, arte e tempo libero) e intense connessioni tra le imprese B2B, alcune di rilevante peso strategico per il Paese. In sintesi, il 55 p.c. dei flussi in uscita delle aziende alberghiere alimenta il business degli altri settori complementari. Il comparto più direttamente condizionato è quello alimentare, che include il canale generalista ho.re.ca e un firmamento di aziende (medie e piccole) altamente specializzate; ma la crisi del settore turistico alberghiero comprime pesantemente anche l’edilizia, l’impiantistica, l’arredamento, i servizi, l’organizzazione di eventi, e altri operatori manifatturieri. Ulteriore considerazione emblematica delle conseguenze di tale situazione: fino al 2019 abbiamo assistito a una costante politica degli investimenti rivolti al comparto alberghiero per una media di circa 3 miliardi di euro l’anno, soprattutto rivolti a migliorie e innovazioni, investimenti ora completamente assenti.

Il crollo di fiducia

Ma non sarà facile ripartire come se il Covid sia stato solo una brutta dimenticabile parentesi. Quanto più dureranno le limitazioni dettate dall’emergenza, tanto più le imprese falliranno, le catene di rifornimento saranno interrotte, le filiere si bloccheranno; e come di consueto assisteremo a una pesante ricaduta sociale con aumento della disoccupazione o, nella migliore delle ipotesi, con alcuni addetti specializzati sotto occupati in altri settori a scarso valore aggiunto. Ulteriore, e già visibile, conseguenza negativa è il crollo di fiducia degli investitori, che preferiscono rivolgere attenzioni a settori più difficilmente condizionabili dal virus. Basti pensare che le diffuse restrizioni di viaggio e il massiccio calo della domanda hanno prodotto a livello mondiale, nel solo periodo marzo-dicembre 2020, una perdita stimata di 1.300 miliardi di dollari, oltre 11 volte la perdita registrata durante la crisi economica globale del 2009.

Sostenere i più deboli

La maggior parte degli esperti vede un ritorno ai livelli pre-pandemia non prima del 2023, con una visione dinamica che rischia di favorire mete già affermate a discapito dei Paesi in via di sviluppo, che dipendono in massima parte dagli arrivi internazionali. Per certi piccoli Stati, per lo più di natura insulare, il turismo è infatti l’unica “merce” da esportare, in molti casi fonte dell’80 p.c. del Pil. Come sempre, alle gravi conseguenze delle grandi crisi economiche conseguono disastri dal punto di vista sociale, ove vengono messi in discussione i più elementari livelli di sopravvivenza di ampi strati della popolazione. I cosiddetti Paesi ricchi dovranno contribuire decisamente alla ripresa del comparto turistico: requisiti importanti saranno sanità e sicurezza, affollamenti contenuti e una migliore distribuzione dei visitatori. Ma tutto ciò sarà possibile solo riequilibrando offerta e investimenti verso i Paesi più deboli e meno garantiti.

Che cosa aspettarsi dal futuro

Tema molto serio è che la crisi del turismo non vede per il momento una data di fine, anche se, onde non demolire anche la prossima stagione estiva, è legittimo attendersi: una possibile regressione della pandemia; un costante incremento della campagna vaccinale; un conseguente auspicabile allentamento delle misure restrittive sui viaggi. Si ricorda che il periodo giugno-settembre pesa per oltre i due terzi sull’industria del turismo in Italia, evidenziando ancora di più le interconnessioni dell’industria alberghiera con alcune importanti filiere del Made in Italy. A nostro parere è impossibile far ripartire la crescita mondiale senza il turismo: l’economia mondiale sta prendendo atto che proprio la pandemia ha dimostrato il ruolo nevralgico del settore, a maggior ragione nei Paesi a vocazione turistica come l’Italia, la Spagna o la Croazia, dove mediamente contribuisce al 18 p.c. del Pil e al 20 p.c. dell’occupazione. È quasi banale ribadire che senza il turismo si bloccano gli alberghi, i ristoranti e in generale tutte le attività riferibili all’ospitalità; rischiano di scomparire l’industria aeronautica e la cantieristica da crociera; si ridimensiona quella del trasporto pubblico e automobilistica; si contrae ulteriormente l’edilizia. Ed è logico attendersi ripercussioni nella siderurgia, nell’elettronica e nelle comunicazioni.
A mero titolo esemplificativo, leggiamo i dati diffusi da Assoaeroporti Italia: i passeggeri segnano un calo del 70 p.c. nel 2020 rispetto al 2019; nel complesso del periodo marzo-novembre sul trasporto aereo italiano, abbiamo perso 130 milioni di passeggeri; abbiamo chiuso l’anno 2020 con meno di 53 milioni, rispetto ai 194 milioni del 2019; la previsione prima della pandemia era di consuntivare il 2020 con oltre 200 milioni di viaggiatori. 

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