IL COMMENTO Schengen si è rotta

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IL COMMENTO Schengen si è rotta
Foto Roni Brmalj

“Schengen non è morta, ma è rotta, quindi dobbiamo ripararla”. A proferire queste parole è stato il ministro degli Interni austriaco, Gerhard Kerner, a margine dell’ultimo vertice, in Lussemburgo, dei ministri degli interni dell’Unione europea. Al suo fianco l’omologa tedesca Nancy Faeser sostanzialmente gli ha dato ragione. Per Vienna e Berlino, che di fatto – e da tempo – mal sopportano, spesso violandole, le regole di Schengen sulla libera circolazione, il ripristino dei controlli alle frontiere interne è “necessario” per fare fronte alla crescente pressione migratoria ed ora anche per rispondere alle minacce del terrorismo, a seguito della crisi mediorientale e alla recrudescenza dell’estremismo islamico.

La sterzata a favore del temporaneo ripristino dei controlli alle frontiere interne, dopo l’esempio francese causato dall’emergenza attentati, è stata immediatamente seguita da molti Paesi del nord e centro-est Europa fra cui, oltre all’Austria e alla Germania, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, cui si sono aggiunte pure l’Italia e la Slovenia, portando complessivamente a 11 il numero degli Stati pronti a sospendere Schengen.

Ha destato sorpresa la decisione del governo italiano di ripristinare, dal 21 ottobre, i controlli ai confini terrestri con la Slovenia in base all’articolo 28 del Codice delle frontiere Schengen (Regolamento Ue 2016/339), ovvero adottando quella che viene definita una “procedura specifica” nei casi che richiedono un’azione immediata a seguito di una grave minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza interna. Una decisione strana e inattesa in quanto la minaccia terroristica non sembra avere coinvolto direttamente l’Italia (infatti lo stesso ministro degli Esteri italiano Tajani ha rilevato in questi giorni che in Italia non vi è il rischio di attentati, pur non potendo abbassare la guardia), mentre per quanto riguarda la pur massiccia pressione migratoria (140.000 arrivi sulle coste italiane, 85 p.c. in più rispetto al 2022 e 16.000 persone entrate irregolarmente, quest’anno, nella sola Regione Friuli Venezia Giulia, dalla cosiddetta “rotta balcanica”) questa, presente da tempo, non si configura come una minaccia “improvvisa” che giustifichi un’azione immediata.

Le stesse considerazioni valgono anche per la Slovenia che sembra semplicemente essersi “allineata” alle scelte compiute dall’Italia e da altri otto Paesi europei.

Al vertice al Lussemburgo, che pochi giorni fa ha dato indirettamente la “stura” alla temporanea sospensione delle regole sulla libera circolazione, convocato su iniziativa svedese, hanno partecipato tutti i cosiddetti “Paesi dublinanti”, ovvero quelli di “secondo approdo” dei migranti che sbarcano in Europa. Ne emerge che da questo gruppo di Stati la sospensione di Schengen è stata vista soprattutto come una misura per limitare la circolazione dei migranti illegali già presenti in territorio europeo (e fra questi, di qualche potenziale terrorista) da un Paese all’altro dell’Unione.

Un chiaro “scaricabarile” nei confronti dei Paesi di primo ingresso (l’Italia e la Grecia, per la sfera mediterranea), la Slovenia (indirettamente) e la Croazia (cui spetta la responsabilità del controllo dei confini esterni) per quanto riguarda la “rotta balcanica”.

L’Italia ha avvertito il pericolo di rimanere “imbottigliata”, ovvero di trovarsi in casa un numero considerevole di migranti impossibilitati a recarsi negli altri Paesi europei, e la Slovenia altrettanto. Entrambe hanno cercato di spostare il “problema” verso il territorio dei propri “vicini”.

Un’evidente prova del fallimento europeo sulla riforma del Trattato di Dublino (che attualmente impone la presentazione della richiesta d’asilo e di protezione umanitaria solo al Paese di primo ingresso), sul respingimento e sugli accordi per la ridistribuzione dei migranti (oltre che su un efficiente controllo e gestione comuni dell’emergenza migratoria e dei confini esterni).

L’incantesimo della libera circolazione, di un’Europa senza frontiere, a meno di un anno dall’entrata anche della Croazia nell’area Schengen, che di fatto aveva aperto, lo scorso primo gennaio, nuove speranze e prospettive per le nostre regioni, abbattendo definitivamente i confini fisici in uno spazio geografico veramente ampio, in tutto l’Adriatico orientale, e nell’intera area di insediamento storico della Comunità italiana, si è sciolto come neve al sole di fronte ai ritardi, ai disaccordi e all’insipienza della politica europea e, soprattutto, a causa degli egoismi degli Stati nazionali. Dopo sedici anni di assenza di barriere fra Italia e Slovenia oggi ci ritroviamo nuovamente a dover esibire i documenti per spostarci, viaggiare e vivere da “europei”.

I provvedimenti adottati dagli undici Paesi europei, e in particolare dall’Italia e dalla Slovenia, oltre ad arrecare incalcolabili disagi ai lavoratori frontalieri e alle popolazioni di confine, alle prospettive di integrazione sociale, umana, culturale ed economica, alla qualità della vita e alle relazioni quotidiane della gente in quest’area, ed a causare un gravissimo “vulnus” alle minoranze, rischiano inoltre di essere inutili e inefficaci.

Sappiamo bene che la gran parte degli immigrati illegali non passano i confini dei Paesi europei attraverso i valichi interazionali, ma “bucano” le frontiere seguendo i sentieri nei boschi lungo le centinaia di chilometri di “limes” terrestri (o marittimi). Non hanno bisogno di documenti per sfidare il sogno europeo. Gli eventuali o potenziali terroristi non si mettono in coda al confine assieme ai turisti e ai lavoratori frontalieri; seguono e conoscono altre rotte, per loro più ovvie e sicure. Spesso, anzi nella maggior parte dei casi sono già presenti, da decenni, o persino dalla nascita, nel territorio europeo, dove si sono radicalizzati anche a causa di un’inefficace politica di integrazione. Anche gli immigrati di “secondo approdo”, ovvero quelli, già entrati, che cercano di raggiungere i Paesi europei più ricchi e sviluppati, se non in regola, trovano il modo di superare facilmente i tradizionali punti di controllo internazionali.

Riportando centinaia di poliziotti a presidiare i posti di confine si rischia inoltre di sguarnire i controlli di “retrovalico” e quelli lungo le centinaia di chilometri di “frontiera aperta” tra i boschi e i campi; uno sciupio di risorse preziose, anche per quanto riguarda il contrasto del terrorismo.

Certo: la reintroduzione dei controlli ai confini può essere un deterrente, ma non risolve il problema, anzi rischia di complicarlo indebolendo lo “spirito”, i valori, e gli stessi principi dell’UE. Fomentando la sfiducia, fra i cittadini europei, nei confronti delle istituzioni, della capacità di tenuta, delle prospettive future dell’Unione europea.

”Schengen si è rotta”: non avremmo mai voluto sentire questa frase, frutto di un’Europa incapace di affrontare le sue grandi sfide, di guardare al futuro, di sentirsi realmente unita. E di assistere ai nuovi rigurgiti degli egoismi nazionali, alla preponderanza degli interessi dei singoli Stati, a scapito di una reale visione comune, del nostro destino europeo. Senza la libera circolazione l’UE rischia di diventare una parola vuota, un ideale tradito, anche se da più parti si ribadisce che Schengen non è morta e che i suoi valori non verranno intaccati.

Il primo gennaio scorso ci è stata data una speranza. La Comunità Nazionale Italiana in Slovenia e Croazia ci ha creduto, convinta di avere compiuto un grande balzo in avanti, di avere raggiunto un importante traguardo storico, di avere infranto, idealmente, il nostro “muro di Berlino”, una delle tante barriere della nostra storia difficile e travagliata.

Ora stiamo provando una profonda delusione. Siamo indignati. Speriamo si tratti di una misura temporanea, la più breve possibile. E che ai principali valichi si trovi il modo di evitare ulteriori disagi per i frontalieri, istituendo delle corsie preferenziali.

Noi ci crediamo e continueremo a lottare in tutti i modi per un’Europa veramente unita, per il superamento di inutili e anacronistiche barriere.

Schengen si è rotta: riusciremo a rivivere il nostro sogno, a recuperare la nostra fiducia nella capacità delle istituzioni europee e nazionali di mantenere le proprie promesse? Cosa fare affinché il diritto alla libera circolazione non diventi aleatorio, incerto, qualcosa di instabile, in balia di qualsiasi difficoltà?

Facciamo attenzione non si rompa, con Schengen, la nostra speranza di cittadini europei.

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