Due Europe a confronto

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Due Europe a confronto

La campagna elettorale per le Europee 2019 è ormai alle ultime battute. Diversi elettori sono già chiamati alle urne: è il caso ad esempio dei cittadini italiani residenti all’estero che abbiano intenzione di votare per i candidati del Bel Paese al Parlamento di Strasburgo. Dai sondaggi e dalle analisi degli opinionisti emergono da tempo segnali precisi su quelli che potrebbero essere gli umori dei cittadini. Nell’insieme a livello continentale il tema dell’immigrazione è stato quello che ha tenuto banco maggiormente nella campagna elettorale: tutti gli altri argomenti sono passati in secondo piano. Inevitabile che fosse così, vista la difficoltà dell’Unione europea di trovare un linguaggio comune su questo e su altri temi scottanti. Forse su nessun argomento come su questo si è palesata la differenza tra la parte occidentale e quella centro-orientale del Vecchio continente, tra i Paesi “storici” della Comunità europea e quelli entrati nell’UE alla spicciolata dopo la caduta della Cortina di ferro. Paesi questi ultimi in cui, in diversi casi, la transizione può dirsi tutt’altro che conclusa.
Mentre a occidente il dilemma è tra accoglienza, propugnata in genere dalla sinistra e dagli ambienti cattolici, e flussi controllati senza ermetiche chiusure, a oriente siamo dinanzi a un blocco pressoché totale. Senza differenze di rilievo, piaccia o no, tra i vari schieramenti politici. Potranno cambiare i toni, la retorica, ma l’essenza resta quella. A parte, poi la liberalizzazione delle quote per i lavoratori stranieri, quando si finisce – complice anche l’esodo strisciante della manodopera – in determinati comparti come l’edilizia e il turismo con il ritrovarsi con l’acqua alla gola. L’emergenza immigrazione potrebbe sicuramente alimentare il serbatoio di voti delle destre sovraniste nella parte occidentale dell’UE, anche se le ultime disavventure di queste correnti, specie in Austria, fanno sì che i risultati siano tutt’altro che scontati. In Croazia i sovranisti di destra – questo va specificato perché anche a sinistra c’è qui chi si definisce sovranista e parla di difesa degli interessi nazionali – sono più che altro un’incognita, una mina vagante per l’Accadizeta trattandosi di transfughi da questo partito dopo l’inizio dell’era moderata, quella di Plenković.
Se c’è qualcosa che unisce est e ovest è il fatto che le Europee siano viste più che altro come un banco di prova per le forze politiche sul piano interno, come un test in fatto di quotazioni elettorali, con l’occhio sempre rivolto ai futuri appuntamenti elettorali nazionali. Nel caso della Croazia tutti i sondaggi danno quasi per certa la suddivisione dei seggi tra HDZ, SDP, Coalizione di Amsterdam, Most e Barriera Umana. Se i socialdemocratici viaggiano sempre attorno ai tre seggi per l’Accadizeta il quinto, che inizialmente sembrava scontato, potrebbe essere a rischio. Proprio a causa delle eterne vicissitudini interne, con la cosiddetta ala destra che potrebbe essere tentata di non fare quadrato con il resto del partito per giocare un tiro mancino all’attuale leadership. Ma non è escluso che alla fine gli elettori non badino a questi “giochetti”. Fatto sta che i partiti che vanno per la maggiore non si sono impegnati troppo nella tradizionale guerra dei manifesti. Lo ha fatto a sorpresa e con rara efficacia, il Partito democratico autonomo serbo di Milorad Pupovac, che è arrivato anche a coinvolgere nella sua campagna elettorale incentrata sulla tolleranza nomi noti del panorama croato come Ćiro Blažević e Nikica Gabrić. A dare una mano al partito principale della minoranza serba, paradossalmente, come evidenziato dallo stesso SDSS nei piccoli manifesti aggiunti a quelli iniziali, giganteschi, strappati e imbrattati, sono stati i soliti, a dir poco, vandali. Dagli stadi alla politica, evidentemente, il passo è breve per certi slogan. Che sono un boomerang per chi li usa.

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