DIARIO DI UN DIPLOMATICO I miei sindaci italiani preferiti

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DIARIO DI UN DIPLOMATICO I miei sindaci italiani preferiti

Un Ambasciatore, quando arriva nel Paese di destinazione, all’inizio del suo mandato, fa un tour de force per introdursi non solamente negli ambienti diplomatici della capitale, ma anche nella società e negli ambienti politici a livello locale. Un cardine importante del sistema politico italiano sono i sindaci. Nell’ordinamento italiano il sindaco è l’organo monocratico a capo del governo di un Comune. Denominato anche primo cittadino, il sindaco governa il Comune, assieme alla Giunta e al Consiglio comunale. E così, dovunque andassi in Italia, una tappa obbligatoria era la visita, di protocollo, al sindaco della Città in cui mi trovavo.
Il primo sindaco che incontrai, a un paio di giorni dall’entrata in carica, fu il primo cittadino di Trieste, Roberto Cosolini. Invece di recarmi in Municipio, preceduto dall’avviso al cerimoniale come già si usa, lo vidi e lo conobbi alla Barcolana, la famosa regata di Trieste, per poi incontrarlo alla serata della Comunità croata di Trieste, un ricevimento organizzato da Giancarlo Damir Murkovic, presidente pluriennale di questo sodalizio. L’incontro fu più che cordiale, e posso dire che allacciammo subito un rapporto d’amicizia, anche perché lui era venuto varie volte a Fiume. Poi, quando gli menzionai che mia nonna era triestina, Emilia Godina di Servola, mi chiese se avevo ancora dei parenti a Trieste; e quando cominciai a enunerarli tutti, si rallegrò perché li conosceva, anche bene, per aver lavorato con alcuni di essi. E così, invece di passare dal Comune, ci incontravamo sempre alla Barcolana. Indi quando il sindaco di Fiume Vojko Obersnel venne a Trieste con la mostra del Museo civico fiumano su Francesco Drenig, curata dall’intraprendente direttore Ervin Dubrović, fui, insieme ai due sindaci e a Dubrović stesso, anch’io a inaugurare la mostra. E, naturalmente, suggellammo la nostra amicizia con dei brindisi di ottimo Friulano, l’ex Tocai al quale gli ungheresi hanno, con gelosia, tolto il nome, ma non il gusto buonissimo.
Il secondo sindaco era già un amico di vecchia data, Piero Fassino di Torino. Ci eravamo conosciuti ancora all’inizio degli anni Novanta, quando era venuto in missione a capo di una delegazione del Partito Democratico della sinistra, per tentare di mediare fra i tre partiti socialdemocratici della Croazia. Io lo avevo incontrato, quella volta, in veste di responsabile agli affari esteri dell’Azione socialdemocratica della Croazia, capeggiata dal leader storico della “Primavera croata”, Miko Tripalo. Questo partito era stato fondato nel 1994 da un gruppo di intellettuali e personalità pubbliche e della cultura e inoltre da molti ex membri del Partito socialdemocratico capeggiato da Ivica Račan, scontenti della politica opportunistica verso il nazionalismo croato e della tattica possibilista e attendista di Račan.
Fassino ci aveva, allora, incitato a riunire le forze, proprio per creare in Croazia un Partito socialdemocratico forte, in grado di confrontarsi con le spinte dell’estrema destra nazionalista e sconfiggere l’opportunismo e il carrierismo di Račan e del suo entourage politico. Tripalo era un politico navigato e aveva aderito all’iniziativa, che proveniva non solo dai Democratici di sinistra italiani, ma anche dall’Internazionale socialista. Correva l’anno 1994 e ormai si prevedeva una resa dei conti finale con le milizie serbe della “Krajina” e quello che si voleva prevenire era un inutile ulteriore spargimento di sangue. Ma Račan, molle e duttile quando si trattava di criticare la politica del Presidente croato Tuđman, aveva rifiutato l’iniziativa. Nel 1995 ci fu il Congresso dell’Internazionale socialista a Barcellona e io ci andai come rappresentante del partito di Tripalo. Anche lì Fassino tentò di convincere i delegati dei tre partiti socialdemocratici a riunire le loro forze. Fassino aveva il mandato dell’Internazionale socialista e lì a Barcellona c’era anche Robin Cook, il dinamico ministro degli Esteri di Tony Blair, che si era unito agli sforzi dei socialisti europei per farci ragionare. Il partito di Tonči Vujić decise di unirsi a Račan, che voleva evitare un confronto di idee con Tripalo, un politico croato con un carisma più grande del suo. Gli sforzi di Fassino furono vani; poco dopo Tripalo morì e alle elezioni del 1995 il partito non riuscì a varcare la soglia per entrare in Parlamento. Nel frattempo, molti transfughi passarono dalla parte di Račan, e altri, tra i quali c’ero anch’io, si ritirarono dalla vita politica del Paese.
Ma il mio legame con Fassino continuò e quando nel 1996 tradussi la «Storia degli italiani» di Giuliano Procacci, fu lui a intervenire personalmente affinché questo libro venisse stampato in Croazia. In qualità di viceministro agli Esteri fece mandare Procacci, a quell’epoca senatore della Repubblica, alla presentazione del libro in Croazia. Ci fu anche la presentazione a Fiume e Procacci ne fu molto soddisfatto.
E così, tra i primi sindaci che incontrai in Italia ci fu proprio Piero Fassino, amico di vecchia data. E quando il premier croato Zoran Milanović venne a Torino per una conferenza dei premier socialisti europei, ebbe da parte del Comune di Torino un trattamento speciale, non riservato agli altri primi ministri europei. Purtroppo, Milanović alla fine si stufò e saltò il ricevimento che il sindaco di Torino gli offrì alla fine della conferenza, con mio grande disappunto. “Non preoccuparti”, mi disse Fassino, “ormai mi ci sono abituato, con la tua gente!”. E non potei che dargli ragione…

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