Un dittico verista intriso di sentimenti e intensità

Al TNC «Ivan de Zajc» hanno debuttato «Cavalleria rusticana» e «Pagliacci», due opere per la regia di Dražen Siriščević, che hanno inaugurato la stagione lirica

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Un dittico verista intriso di sentimenti e intensità
Al centro Ivan Momirov nei panni di Canio nei “Pagliacci”. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Amore, gelosia, tradimenti e convenzioni sociali hanno tenuto banco l’altra sera al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, dove ha avuto luogo la prima première della stagione lirica con “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci”. Le due opere brevi, composte rispettivamente da Pietro Mascagni nel 1890 e da Ruggero Leoncavallo nel 1892, vengono spesso allestite insieme e sono considerate le più rappresentative opere veriste.

Una pratica tradizionale
Questo abbinamento è stato sperimentato per la prima volta al Metropolitan Opera House di New York il 22 dicembre 1893, mentre in Italia andarono in scena soltanto due giorni dopo al Teatro Politeama Reinach di Parma. Mascagni consolidò la pratica dirigendo entrambe le opere nel 1926 al Teatro alla Scala di Milano. Ci pare, pertanto, piuttosto giustificata la scelta della dirigenza dello “Zajc” di seguire la tradizione e mettere in scena insieme le due opere, anche se tecnicamente quella di “Cavalleria rusticana” non è una première, ma una riproposizione dell’opera che ha avuto la sua prima rappresentazione il 27 gennaio 2021 in una versione adeguata alle allora vigenti misure antipandemiche. Va anche detto che “Cavalleria rusticana” fa ormai da tempo parte del repertorio del Teatro, in quanto per diversi anni veniva proposta a Fiume nell’ambito della manifestazione “Notti estive fiumane” sfruttando il suggestivo ambiente della piazza dinanzi alla Cattedrale di San Vito e la chiesa stessa.

La pedana d’intralcio
Se la versione “pandemica” dell’opera era limitata a uno spazio ristretto, in quanto la scena era occupata quasi interamente dall’Orchestra sinfonica di Fiume nel rispetto della distanza di almeno due metri tra ciascun membro dell’organico – il che aveva reso necessaria la realizzazione di una pedana nel proscenio al fine di creare uno spazio aggiuntivo nel quale poter mettere in scena il melodramma -, la versione “post-pandemica” dell’opera ha proposto sostanzialmente pochi cambiamenti. Ci è sembrata strana la scelta del regista Dražen Siriščević (che ha firmato la regia di entrambe le opere) di mantenere la pedana, a forma di croce, leggermente inclinata verso la platea, al centro del palcoscenico, in quanto questa limita notevolmente i movimenti dei solisti e del Coro dell’Opera in veste di popolani e popolane. La regia si è così rivelata troppo statica, soprattutto per quanto riguarda il Coro, che era limitato a stare in piedi o seduto ai lati della pedana e sullo sfondo del palcoscenico. In poche parole, questo elemento scenografico ci è sembrato superfluo e d’intralcio, nonostante la sua valenza simbolica. Stando a Siriščević, infatti, “‘Cavalleria rusticana’ si svolge sulla superficie della croce in una mattina di Pasqua. I ‘Pagliacci’ condividono questa croce nella bellezza travolgente del sacrificio d’amore”. Ci ha pure lasciati perplessi sentire la gioiosa musica introduttiva, che vede l’esecuzione del coro “Gli aranci olezzano” – nel quale in una bella mattinata primaverile di Pasqua gli uomini lavorano nei campi e durante il riposo ammirano la bellezza delle donne -, e il coro tutto vestito di nero, immobile sul palcoscenico. L’idea del contrasto tra la bellezza della natura e della vita con la tragica storia di Santuzza e Turiddu è stata qui completamente eliminata.

Una scenografia scarna
Come nella versione del 2021, la scenografia è praticamente inesistente e si limita a proiezioni video di affreschi istriani che in un certo senso commentano la trama dell’opera. Anche se le proiezioni possiedono una valenza estetica e forniscono un ulteriore strato di lettura dell’opera, forse si avrebbe potuto fare un piccolo sforzo per dare “una marcia in più” alla messinscena. La parte musicale dell’allestimento è stata curata sapientemente dal Maestro Matteo Salvemini, che ha diretto l’Orchestra sinfonica e istruito il Coro, dando vita a un’esecuzione di notevole qualità da entrambi gli organici. L’unico neo è stato un intervento impreciso nell’intonazione di una parte della sezione dei soprani nel duetto di Santuzza con il coro nello splendido “Inneggiamo, il Signor non è morto”.

Interpretazioni di alto livello
Pochi cambiamenti si sono avuti anche nella sezione dei solisti, dove ha nuovamente dominato la scena la primadonna Kristina Kolar nei panni di Santuzza, uno dei ruoli che hanno senza dubbio segnato la sua carriera. Vocalmente sempre affidabile ed espressiva, Kolar ha offerto un’interpretazione ben modellata e convincente, anche dal punto di vista della recitazione. Ci ha colpiti in particolar modo la scena in cui Santuzza, per vendicarsi di Turiddu che la tradisce con Lola, racconta tutto ad Alfio, marito di Lola che, pazzo di gelosia e offeso per il tradimento di sua moglie decide di uccidere Turiddu. In Santuzza, però, la soddisfazione della vendetta si tramuta immediatamente in rimorso per aver messo in pericolo l’uomo che ama e questo cambiamento è ben visibile sul volto di Kristina Kolar. Nel ruolo di Turiddu si è esibito per la prima volta a Fiume il giovane tenore italiano Ivan Defabiani, offrendo un’interpretazione sentita e vocalmente potente, anche se non abbiamo percepito particolare affiatamento del tenore con Kristina Kolar. Nella serenata che apre l’opera, “O Lola, ch’ai di latti la cammisa”, ha avuto dei problemi con l’intonazione e di controllo della voce. Sofija Cingula si è esibita nei panni di mamma Lucia, mentre Robert Kolar ha ripreso il ruolo di Alfio. Nei panni della seducente Lola si è esibita Ivana Srbljan. Scene di Alan Vukelić, costumi di Sandra Dekanić, luci di Dalibor Fugošić, filmati video di Vedran Perišić Pero. Il pubblico ha apprezzato anche questo allestimento di “Cavalleria rusticana”.

Vivacità e intensità
Ha fatto seguito l’opera “Pagliacci”, con la quale la campagna siciliana è stata sostituita da una tragedia che si consuma sul palcoscenico, dando vita a uno spettacolo nello spettacolo. Ruggero Leoncavallo scrisse il libretto e la musica dell’opera, mentre questa fu rappresentata per la prima volta al Teatro dal Verme di Milano il 21 maggio 1892 con la direzione di Arturo Toscanini. A differenza della prima opera, “Pagliacci” è concepita in modo più dinamico, anche se la scena è la stessa di “Cavalleria rusticana”. L’unico cambiamento è il carro della compagnia teatrale, mentre sullo sfondo vengono proiettate foto d’epoca in bianco e nero di Fiume, risalenti all’inizio del XX secolo. I membri del Coro, che impersonano il pubblico del paesino accorso a vedere la commedia, si muovono su tutto lo spazio del palcoscenico, salendo e scendendo dalla pedana a croce che anche qui continua ad essere d’intralcio. La scena è ravvivata anche dai costumi colorati e dall’introduzione delle maschere carnascialesche di Žejane e di Grobnico.

Emozioni e interpretazioni coinvolgenti
La parola che descrive al meglio i “Pagliacci” dell’altra sera è “intenso”. Si è trattato in ogni senso di una messinscena ricca di forti emozioni, in cui la trama e le coinvolgenti interpretazioni dei solisti hanno mantenuto alta la tensione nel pubblico. L’Orchestra è stata un forte sostegno ai solisti, anche se in alcuni momenti ha “soffocato” con una dinamica troppo intensa i loro interventi canori. Il Coro è stato un pubblico chiassoso e divertente, offrendo una vivace interpretazione. Nei panni di Canio, il capocomico, si è esibito il tenore bulgaro Ivan Momirov, che con la sua potente e squillante voce e l’ottima dizione italiana ha interpretato con passione il ruolo del marito tradito. Nella celeberrima aria “Vesti la giubba” ha espresso con fervore tutta la disperazione del suo personaggio. Il soprano sloveno Mojca Bitenc (Nedda/Colombina) si è distinta per la sua voce pastosa e agile e l’espressività della sua interpretazione. Ha dimostrato particolare affiatamento con il baritono Davor Nekjak (Silvio) nelle scene d’amore, che sono risultate particolarmente convincenti. Nei panni di Tonio/Taddeo si è esibito il baritono italiano Domenico Balzani, impersonando con grande verve il comico geloso e vendicativo. Sempre affidabile Marko Fortunato (Beppe). Anche in questo caso, le scene sono state curate da Alan Vukelić, i costumi da Sandra Dekanić e le luci da Dalibor Fugošić. Il pubblico ha premiato con prolungati applausi entrambi gli allestimenti, anche se ha dimostrato più inclinazione verso la seconda messinscena, in quanto più dinamica e incisiva.

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