«Un caso di autodistruzione» e il prezzo della verità

Al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume è andato in scena lo spettacolo con la regia e l’adattamento di Ivan Plazibat, parte della trilogia di Kristian Novak

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«Un caso di autodistruzione» e il prezzo della verità
Al centro Dea Presečki nei panni della professoressa. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Sono pochi gli spettacoli che possono causare un tale livello di disagio, rabbia e frustrazione nello spettatore come “Un caso di autodistruzione” (Slučaj vlastite pogibelji), di Kristian Novak, con la regia e adattamento di Ivan Plazibat. Il progetto, una coproduzione con il TNC di Varaždin, in seno al consorzio C-TNC (K-HNK), conclude la trilogia del Međimurje iniziata con gli spettacoli (e i romanzi) “Črna mati zemla” (Terra madre nera) e “Ciganin, ali najljepši” (Zingaro, ma il più bello).

Un clima sempre più cupo
La prima scena dello spettacolo sembra quasi l’inizio di un musical, con una trentina di ragazzi delle superiori che ballano eseguendo una coreografia. L’atmosfera è spensierata e gli studenti sono forse un po’ troppo rilassati e sciolti, si prendono la libertà di lanciarsi frecciatine e vola persino qualche parolaccia. La giovanissima professoressa (Dea Presečki) lascia passare, dimostrando da subito di voler applicare metodi educativi moderni e più permissivi. La docente non solo si avvicina agli studenti lasciando loro la libertà di esprimersi come vogliono, ma usa anche un gergo vicino ai ragazzi, parlando di Facebook, di Gen Z e ripetendo persino le parolacce che sente. Si tratta del gruppo teatrale di una scuola di provincia del Međimurje e con questa libertà inusitata la professoressa vuole incoraggiare gli studenti ad aprirsi e a riporre in lei la loro fiducia, prima di passare alla preparazione dello spettacolo vero e proprio, l’“Antigone” di Sofocle. In uno degli esercizi di recitazione in cui i ragazzi sono invitati a dire ciò che li rende furiosi, arrabbiati, astiosi nei confronti del mondo escono, però, delle parole troppo pesanti da… digerire.

Una rete a maglie fitte
Kristian Novak ha descritto con maestria una società provinciale in cui è impossibile dire o fare qualcosa senza che ciò si venga a sapere. Un evento all’apparenza insignificante, avvenuto tra i banchi di scuola, ha il potenziale di diventare il sassolino che farà scaturire una valanga che travolgerà tutta la comunità. L’autore cala il lettore (in questo caso lo spettatore) nella quotidianità di una comunità che sta vivendo un momento delicato. Poco tempo addietro un giovane poliziotto si è tolto la vita a causa di pressioni subite da un potente concittadino il cui figlio era stato multato per eccesso di velocità. Sapendo che da più di un anno il poliziotto stava raccogliendo prove materiali sulla corruzione dei suoi colleghi, le domande alla notizia del suo suicidio si fanno sempre più forti e anche i ragazzi della scuola vengono coinvolti nel dibattito. Il problema è che nessun uomo è un’isola e una volta aperti certi temi con gli studenti, ancora minorenni, è inevitabile che lo vengano a sapere anche i genitori, di cui alcuni fanno parte di questa rete di corruzione. Anche se i diretti interessati cercano di… disinnescare questa bomba a orologeria, risolvere la situazione con il dialogo, l’esplosione è inevitabile.

Un taglio cinematografico
Lo spettacolo “Un caso di autodistruzione” è suddiviso in diverse scene minori. Sul palcoscenico si trova una sorta di gabbia di ferro che funge da corridoio di entrata e uscita degli attori, mentre ai lati si svolgono le scene. Ciò permette di presentare più scene se non parallelamente, almeno senza uno scarto dovuto al cambio di scenografia. Un altro elemento innovativo è l’utilizzo del video, ma non in senso di proiezione di un filmato preparato in precedenza, ma nel senso di presentazione di scene che avvengono nel backstage, nei camerini o per i corridoi dello “Zajc”. Il video è in bianco e nero, quasi a indicare uno scarto temporale rispetto al presente, il ricordo di qualcosa che è avvenuto in un altro luogo e in un altro tempo. Il passaggio veloce da una scena all’altra, tipico del cinema, è ciò che rende questo spettacolo dinamico e interessante nonostante la lunga durata di tre ore e mezza. Quello che viene ripreso dal cinema e che non attecchisce bene nel grande ambiente del Teatro fiumano, è la recitazione veloce, poco chiara, gergale, che purtroppo ha portato a non poche incomprensioni. I dialoghi più chiari sono quelli fatti a tavolino, dato che i tavoli erano dotati di microfono, o comunque quelli recitati dagli attori più attempati ed evidentemente più esperti.

Il problema della lingua
Un altro elemento a sfavore di questo tipo di recitazione è l’utilizzo del dialetto kajkavo del Međimurje, che rende ancor più ostica la comprensione. Non si fa uso, infatti, di dialettismi inseriti in un croato standard, ma del dialetto vero e proprio, soprattutto per quanto riguarda i discorsi in famiglia. Alcuni elementi si possono cogliere dal contesto, ma altri, che sono anche abbastanza importanti per comprendere la trama, purtroppo vanno perduti. Sicuramente lo spettacolo è stato apprezzato maggiormente da coloro che hanno letto il libro in precedenza e che quindi hanno potuto concentrarsi meno sul parlato.

Sacrificarsi o meno in nome della giustizia
Tornando al tema dello spettacolo – la corruzione capillare che parte dalle forze dell’ordine e si allarga a tutte le sfere della società –, è interessante vedere come la questione è stata trattata dall’autore, il quale pone lo spettatore di fronte a una serie di dilemmi. Innanzitutto i personaggi devono decidere se alzare la voce e affrontare il problema, anche a costo di mettere a repentaglio il posto di lavoro, le relazioni sociali o la propria vita. In secondo luogo ci sono i media, di cui tutti sembrano avere timore per il loro potere di ampliare le voci fuori dal coro, ma anche di distorgere e manipolare i fatti.
La professoressa (Dea Presečki) e il poliziotto Marli (Karlo Mrkša), personaggi principali di questa vicenda, scelgono strade diverse e affrontano le conseguenze delle loro azioni a modo proprio. La questione è sempre la solita: scendere a compromessi con la corruzione per il quieto vivere o sacrificarsi in nome della giustizia? Restare o scappare? Fare parte di un sistema immorale o immolarsi sull’altare della verità?
Indipendentemente dalla scelta non solo dei personaggi, ma di tutti noi che siamo venuti a contatto con situazioni simili, resta l’amaro in bocca.

Uno spettacolo difficile
Tirando le somme, dunque, “Un caso di autodistruzione” è un progetto interessante e dinamico, molto attuale e ben fatto. Invita alla riflessione e trasmette un messaggio profondo e importante. Non è, però, un pezzo che si guarda con spensieratezza, ma esige concentrazione e (possibilmente) un’infarinatura di dialetto kajkavo.
I ruoli principali sono interpretati da Dea Presečki, Karlo Mrkša, Marko Cindrić, Ljubomir Kerekeš e Hana Hegedušić. Gli attori principali sono stati affiancati da tutto l’ensemble del Dramma di Varaždin, nonché da tre attori del Dramma Croato dello “Zajc”: Mario Jovev, Jasmin Mekić e Deni Sanković. La scenografia è di Liberta Mišan, i costumi di Petra Pavičić, le musiche di Hrvoje Nikšić, il disegno luci di Vesna Kolarec.

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